I blog di Alessioempoli

Data 11 maggio 2017

RELIGIONE – 5°

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               RELIGIONE – 5°

 

ESISTENZA DI DIO

 

L’esistenza di Dio costituisce una delle fondamentali questioni aperte della filosofia e in particolare della metafisica.

I filosofi nel corso della storia hanno presentato un’estrema varietà di argomentazioni a favore o contro l’esistenza di Dio o anche in sostegno dell’irresolubilità della questione e della sospensione del giudizio (agnosticismo).

La teologia si occupa fin dai tempi della Grecia antica della natura e delle opere di Dio o degli dei.

 

1) In Occidente, il termine Dio si riferisce tipicamente al concetto monoteistico di un essere supremo, ovvero un essere del quale non si può pensare nulla di più grande secondo la definizione di Anselmo d’Aosta: Deus est ens quo nihil maius cogitari potest (definizione contenuta ne Il Proslogion del 1077). Una definizione comune in questa tradizione afferma che Dio possiede ogni perfezione possibile incluse qualità quali onniscienza, onnipotenza e una perfetta benevolenza. Comunque, questa definizione non è l’unica possibile. Le religioni politeistiche usano la parola Dio per diversi esseri che sono tutti ritenuti come esistenti.

 

Molti panteisti hanno utilizzato nomi diversi da “dio” connotando e nominando il principio-origine-causa come Essere, Logos, Ragione, Intelligenza, Spirito, Assoluto ecc.

 

Dio secondo l’ebraismo

Il monoteismo assoluto degli ebrei è l’elemento più importante della loro identità etnico-religiosa. Oltre a questo, Dio per gli ebrei è trascendente, immateriale e invisibile (quindi anche impossibile da raffigurare in una qualunque maniera); onnisciente, onnipotente e onnipresente; geloso e benevolo, sovrano e giudice, severo ma misericordioso, Dio per gli ebrei è il sommo regnante, creatore e legislatore dell’universo.

 

Dio secondo il cristianesimo

Dio, secondo il cristianesimo, non è conoscibile dall’uomo, se egli stesso non si rivela a lui. Secondo il cattolicesimo, l’uomo può arrivare a provare l’esistenza di Dio attraverso percorsi filosofici e logici, ma non può comunque arrivare alla sua conoscenza con la pura ragione: usando cioè le parole di Tommaso d’Aquino, la ragione può arrivare a conoscere il quia est di Dio («il fatto che Egli è») ma non il quid estche cosa è»), che è oggetto di mistero della fede; per sapere “chi” è Dio occorre il dato della Rivelazione. Dio si è rivelato agli uomini «nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» e in generale nella storia di Israele, testimoniata dalla Bibbia.

 

La piena e definitiva rivelazione di Dio si è avuta con Gesù Cristo, poiché egli è al tempo stesso Figlio di Dio (e dunque Dio egli stesso) e uomo per effetto dell’incarnazione

Tale rivelazione è stata tramandata nei Vangeli e in generale nel Nuovo Testamento, ed approfondita nella riflessione successiva. Dio secondo la religione cattolica è dunque (primo dogma) Uno e Trino, una Sostanza in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Padre e il Figlio, l’Essere e il Pensiero (il Logos) sono in una reciproca dimensione relazionale di amore, espressa (e personificata) dallo Spirito Santo.

 

Dio è personale, eterno, onnipotente, onnisciente, perfettissimo, creatore dell’universo, provvidenza e salvezza degli uomini, creature poste al vertice dell’ordine del creato. Il secondo dogma del Cristianesimo è la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Verbo eterno del Padre, che si incarnò in forma umana, nascendo dalla Vergine Maria. Dopo aver predicato l’amore infinito di Dio verso gli uomini, portò a compimento la sua missione con la sua passione e morte in croce. Il Padre lo resuscitò il terzo giorno (Pasqua di Risurrezione), aprendo agli uomini la possibilità della redenzione. Mandò poi lo Spirito Santo sui suoi discepoli, che formarono la Chiesa.

 

 

Argomentazioni a favore dell’esistenza di Dio

 

Le prove metafisiche o ontologiche sono quelle che nel tempo sono state proposte da diversi pensatori. Tra le più celebri forme in cui queste sono proposte, vi sono l’argomento ontologico del Proslogion di Anselmo d’Aosta e le “cinque vie” di Tommaso d’Aquino, con le quali gli autori intendono provare l’esistenza di Dio come primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo ordinatore.

 

1) Argomento ontologico di Anselmo d’Aosta

Anselmo d’Aosta, teologo cattolico vissuto nel Medioevo, con la prova “ontologica” intende dimostrare che Dio, «l‘Essere di cui non si può pensare nulla di più grande», esiste non solo come idea ma realmente, mediante un’argomentazione tutta interna alla logica (a priori), ossia un’argomentazione che non necessita dei dati dell’esperienza. Secondo Anselmo, infatti, anche l’ateo possiede implicitamente l’idea di Dio: persino l’insipiente che «dice in cuor suo Dio non esiste» deve convincersi che sia pensabile intellettualmente qualcosa di immensamente grande, che abbia il massimo di tutte le qualità, tale per cui non è possibile pensare alcunché di maggiore. Ad esempio non conosciamo l’essere più buono al mondo, ma riusciamo nella nostra mente a concepire l’essenza di una bontà assoluta e insuperabile.

 

Ammettiamo dunque che «ciò di cui non si può pensare il maggiore» esista nel solo intelletto, e non nella realtà; ma se è dunque nel solo intelletto, si può almeno pensare che esista anche nella realtà, il che sarebbe maggiore di quello che non poteva essere minore di nient’altro: vi aggiungeremmo infatti la fondamentale caratteristica della reale esistenza. Ne seguirebbe un paradosso: qualcosa sarebbe maggiore del più grande. A questo punto, chi nega ancora che a un tale concetto dell’intelletto corrisponda una realtà, necessariamente si contraddice, perché solo attribuendogli l’esistenza riusciremmo a pensarlo davvero come «il più grande».

 

Ciò che esiste nella realtà, secondo Anselmo, ha più valore di ciò che esiste nel solo intelletto, secondo la concezione tipicamente platonica che identificava il Bene con l’essere. L’albero esiste nella realtà e quindi anche nell’intelletto, mentre non tutto quel che esiste nella mente esiste anche nella realtà (ad esempio un cavallo alato). Ma non si può concepire Dio come il massimo delle qualità senza attribuirgli una reale esistenza, poiché anche l’esistenza è una qualità.

 

Confutazione di Gaunilone

Il monaco benedettino francese Gaunilone (994-1083), pur non mettendo in dubbio l’esistenza di Dio, contestò la prova a priori di Anselmo nel suo Liber pro insipiente. Secondo Gaunilone non ci si può fondare sull’esistenza nel pensiero per concludere l’esistenza nella realtà sensibile (si possono pensare cose impossibili), per cui la definizione di divinità presa da Anselmo o è dedotta da qualcosa d’altro (dato di rivelazione, quindi non è prova a priori) o è completamente arbitraria e quindi si pone il problema della stessa pensabilità della definizione. In altri termini, egli obiettava che «se io penso un’isola perfettissima, allora questa esiste anche nella realtà?».

 

Anselmo obiettò alla critica sostenendo che non si potevano porre sullo stesso piano Dio e un’isola, poiché la sua prova era applicabile solo alla perfezione massima, ovvero Dio, «ciò di cui non si può pensare nulla di più grande». La seconda obiezione di Gaunilone fu la seguente: «ammettendo che la prova di Anselmo sia valida, com’è possibile che la mente umana, limitata, riesca ad ospitare il pensiero dell’infinita figura di Dio?». Anselmo rispose che la sua prova definiva Dio soltanto attraverso la teologia negativa, negandogli cioè ogni difetto ed imperfezione, affermando soltanto che Dio è, ma non che cosa Egli è. Inoltre, nel cap. XV del Proslogion, Anselmo asserisce che Dio è sempre più grande di ciò che possa essere pensato su di Lui.

 

Rielaborazione di Cartesio

Cartesio (René Descartes) propose, nella quinta delle Meditazioni metafisiche, una prova analoga a quella di Anselmo d’Aosta ma leggermente differente: per Dio egli intende una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente, ovvero la somma di tutte le perfezioni la cui idea è innata nell’intelletto, ed improducibile da esso stesso, al pari dell’idea di infinito attuale.

 

Se Dio assomma tutte le perfezioni, contenute in sé come note di un concetto, non può mancare dell’esistenza; se non esistesse, sarebbe meno perfetto della perfezione che gli era stata accordata. Pensare un Dio perfettissimo manchevole dell’attributo dell’esistenza è contraddittorio, dice Cartesio: «Come pensare un monte senza valle».

 

Rielaborazione di Leibniz

Gottfried Wilhelm Leibniz, sia nello scritto del 1701 “Sulla dimostrazione Cartesiana dell’esistenza di Dio” che nella “Monadologia” nel 1714, svilupperà l’interpretazione cartesiana dell’argomento Anselmiano, e lo riformulerà in una maniera prettamente logica. Per Leibniz, infatti, la prova dell’esistenza di Dio è ridotta alla riflessione logica sulla Sua possibilità: se Dio è possibile, necessariamente esiste.

 

Dio è quell’Essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza o natura, e allora basterà pensare la possibilità di un Essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza che ne avremo dimostrato l’effettiva esistenza. Basterà, dunque, dimostrare la non-contraddittorietà logica, per dimostrare l’esistenza di quell’Essere la cui esistenza è inclusa nella sua essenza. In Leibniz abbiamo l’estrema logicizzazione dell’argomento Anselmiano.

 

Confutazione formale di Kant

Kant, pur ammettendo l’esistenza di Dio come postulato indimostrabile, ne ha contestate le tradizionali dimostrazioni, alla cui inconsistenza occorre rimediare, secondo Kant, con argomentazioni più filosofiche e meno fideiste. Nella Dialettica trascendentale distingue tre generi di prove: ontologica, cosmologica e fisico-teologica. La prova ontologica, di cui è esempio la prova ontologica di San Anselmo, presume, secondo Kant, di poter pervenire dalla semplice idea di qualcosa alla sua esistenza reale, prescindendo dal dato di esperienza.

Egli immagina in proposito, in maniera piuttosto ironica, di avere in tasca cento talleri e di pensarne cento: quelli che lui pensa dovrebbero essere meno di quelli che ha in tasca, poiché ciò che è pensato è meno perfetto di ciò che è esistente. Ma pur continuando a pensarne cento, non per questo ne avrebbe di più in tasca. E quindi è per lui impossibile una prova di questo genere. La confutazione kantiana, partendo dal presupposto che il concetto di essere potesse avere senso solo se applicato alla realtà empirica e fenomenica, come modo di operare del nostro intelletto, fu a sua volta accusata di rinchiudersi in un nominalismo astratto, incapace di aprirsi al noumeno e quindi all’autentica realtà ontologica.

 

Lo stesso Kant, d’altronde, che già aveva preso posizione contro gli scettici, accusati di «aborrire ogni stabile edificazione del suolo», nella Critica della ragion pratica farà dell’esistenza di Dio un postulato o assioma dell’agire etico, ossia la condizione moralmente necessaria che dia senso alla legge morale, compensando le ingiustizie e impedendo nel mondo ultraterreno il ripetersi della contraddizione logica tra la sofferenza del giusto e la sua aspirazione a vivere secondo ragione.

 

Cinque vie di Tommaso d’Aquino

 

« Che Dio esista si può provare per cinque vie. »

(Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, questione 2, articolo 3)

Le dimostrazioni procedono generalmente dagli effetti alla causa, con una struttura tra loro simile. Hanno origine da diverse fonti, per esempio da Platone e Aristotele (che formularono per primi una prova sul Motore Immobile), dal pensiero neoplatonico (per quanto riguarda i gradi di perfezione della quarta via), e da altre fonti (alcuni pensatori musulmani sottolinearono la differenza fra essere contingente ed essere necessario che è chiave della terza via di Tommaso). Un argomento dei critici è che queste vie utilizzano ciò che in matematica si chiama regresso infinito. Questa struttura si ritrova pure nei paradossi di Zenone, che furono risolti a secoli di distanza, dimostrando che il regresso infinito non è contraddittorio, ed è ammissibile nella logica. Inoltre, dimostrerebbero l’esistenza di Dio, ma non la sua unicità. Ad esempio, il filosofo Eudosso di Cnido ipotizzò che esistessero 55 motori immobili differenti.

 

Via ex motu

« La prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all’atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all’atto se non mediante un essere che è già in atto. Per esempio, il fuoco che è caldo attualmente rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto diversi rapporti: così ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all’infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio. »

 

Via ex causa

« La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima; ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all’infinito nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell’intermedia, e l’intermedia è causa dell’ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l’effetto: se dunque nell’ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l’ultima, né l’intermedia. Ma procedere all’infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l’effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio. »

 

Via ex contingentia

« La terza via è presa dal possibile (o contingente) e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose (esistenti in natura sono tali che) possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c’era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in altro essere oppure no. D’altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all’infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio. »

 

 

Spiegazione

 

1) L’universo è un complesso di esseri contingenti.

2) Ma l’essere contingente esige l‘essere necessario come sua prima causa.

3) Dunque oltre l’universo esiste un essere necessario, creatore dell’universo, che è Dio.

L’universo è un complesso di esseri contingenti. Per spiegare questa prima affermazione basta guardare a ciò che ci circonda, l’universo che scorgiamo sensibilmente è composto da un’infinità di cose: noi uomini, gli animali, le piante, i minerali, gli astri, le cellule, gli elementi chimici, gli atomi e così via.. Tutti questi esseri, compreso l’uomo (come abbiamo detto) non sono necessari. Perché? Perché necessario è soltanto ciò che necessariamente è (quindi non può non essere) e che necessariamente è quello che è (quindi non può mutarsi).

 

Invece tutte le cose che compongono l’universo sono mutabili e di fatto continuamente mutano. I viventi nascono, crescono e muoiono; e durante la loro vita si evolvono e si modificano sempre. Le sostanze inorganiche sono ugualmente soggette a continue trasformazioni. Tutto in natura è soggetto a trasformazioni. Dunque tutti gli esseri che costituiscono l’universo sono contingenti. Ma l’essere contingente esige l’essere necessario come sua prima causa. L’uomo in quanto contingente può essere e non essere. Per esempio alla natura dell’uomo appartiene la razionalità (per cui un uomo senza razionalità è assurdo) ma non appartiene alla natura dell’uomo la bontà, per cui può essere buono e cattivo.

 

Se per sua natura l’essere contingente è indifferente ad essere e a non essere, vuol dire che non ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza; ed allora è chiaro che questa sua esistenza deve averla ricevuta da un altro, cioè ci deve essere un altro ente che sia la ragione sufficiente della sua esistenza, la causa che l’abbia determinato ad essere. Questa causa che l’ha determinato ad essere o è un essere contingente o è un essere necessario.

a) Se è contingente, neppure esso ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, che perciò deve essere causata da un altro essere; e riguardo a questo si riproduce la medesima questione.

 

Orbene non si può procedere all’infinito nella serie delle cause essenzialmente subordinate, altrimenti si avrebbe una serie infinita di anelli che stanno sospesi senza un fulcro di attacco, si avrebbe, cioè, una serie infinita di specchi che riflettono la luce senza un corpo per sé lucente, una somma di zeri che, per quanto prolungata, non può dare l’unità: dunque ci deve essere un essere necessario, un essere che abbia in sé la ragione sufficiente del proprio essere e che sia ragione sufficiente di tutti gli altri, causa prima dell’universo. Ed allora è evidente la conclusione: oltre l’universo esiste un essere necessario, creatore dell’universo, che è appunto Dio.

 

Via ex gradu perfectionis

« La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio. »

 

Via ex fine (o “argomento teleologico“)

« La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall’arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio. »

 

Prova di Locke

La prova dell’esistenza di Dio formulata da John Locke si basa sul seguente sillogismo:

– in ogni effetto non può essere contenuto nulla più di quanto sia contenuto nella causa (secondo il principio di causalità ex nihilo nihil);

– nel mondo esistono persone dotate di intelligenza;

– quindi la causa del mondo deve essere intelligente.

 

Argomentazioni empiriche

Altre argomentazioni a favore dell’esistenza di Dio si avvalgono di definizioni e assiomi. Ad esempio, alcune di queste argomentazioni richiedono solo che si assuma che esista un universo non casuale in grado di sostenere la vita. Tra queste troviamo:

 

1) L’argomentazione teleologica, che sostiene che l’ordine e complessità dell’universo mostrano segni di una volontà (telos), e che deve essere stato disegnato da un progettista intelligente dotato di proprietà che solo un Dio può avere.

2) L’argomentazione antropica si concentra su fatti basilari, come la nostra esistenza, per dimostrare Dio.

3) L‘argomentazione morale sostiene che la moralità oggettiva esiste e che quindi esiste Dio.

4) L’argomentazione trascendentale dell’esistenza di Dio, che sostiene che logica, scienza, etica e altre cose che prendiamo seriamente, non hanno senso se non c’è Dio. Di conseguenza le argomentazioni atee devono alla fine confutare se stesse, se pressate con rigorosa coerenza. Per contro esiste anche una argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio.

 

Argomentazioni deduttive

Le argomentazioni deduttive partono da premesse di tipo logico formale per arrivare ad affermazioni sul piano dell’esistenza, la quale viene ammessa per non urtare il principio di non contraddizione, avvalendosi dunque di una sorta di ragionamento per assurdo. Il passaggio dalla possibilità logica alla necessità dell’esistenza avviene perché ogni altra ipotesi che neghi l’esistenza di Dio risulterebbe logicamente impossibile. In questa categoria rientra in particolare:

 

la prova ontologica di Gödel: Kurt Gödel nel suo trattato di matematica “Ontologischer Beweis” fornisce una dimostrazione logica dell’esistenza di Dio nel 1941, rivista nel 1954 e nel 1970. In questo libro, sostiene con argomenti matematici le sue convinzioni teologiche. Secondo la prova ontologica di Gödel, Dio è un Essere che assomma in sé le qualità positive di tutti gli enti reali. Dio deve esistere necessariamente come fondamento dell’ordine matematico dell’universo. La dimostrazione gödeliana, che parte da cinque assiomi e si avvale di un rigido teorema logico-formale, si basa sul fatto che non sarebbe logicamente plausibile ammettere la possibilità di un unico Essere provvisto di tutte le “proprietà positive”, tra cui la stessa esistenza, senza attribuirgli una realtà effettiva, perché ciò sarebbe una contraddizione in termini.

 

Argomentazioni induttive

Le argomentazioni induttive sostengono le loro conclusioni attraverso il ragionamento induttivo.

Un altro insieme di filosofi asserisce che le prove dell’esistenza di Dio presentano una probabilità abbastanza alta, anche se non la certezza assoluta. Un numero di punti oscuri, essi sostengono, rimane sempre. Allo scopo di superare queste difficoltà c’è necessariamente o un atto di volontà, un’esperienza religiosa, o il discernimento della miseria del mondo senza Dio, così che alla fine il cuore prenda una decisione. Questa visione è sostenuta, tra gli altri, dallo statista britannico Arthur Balfour nel suo libro The Foundations of Belief (1895). Le opinioni portate avanti in questo lavoro vennero adottate in Francia da Ferdinand Brunetière, editore di Revue des deux Mondes. Molti protestanti ortodossi si esprimono allo stesso modo, come ad esempio il Dott. E. Dennert, presidente della Kepler Society, nel suo lavoro Ist Gott tot?.

 

Argomentazioni soggettive

Le argomentazioni soggettive si affidano principalmente sulla testimonianza o l’esperienza di determinati testimoni, o sulle proposizioni di una specifica religione rivelata.

 

– L’argomentazione dei testimoni dà credibilità alle testimonianze personali, contemporanee o storiche.

–  Una variante è l’argomentazione dei miracoli, che si affida alle testimonianze di eventi sovrannaturali per stabilire l’esistenza di Dio.

– L’argomentazione cristologica o religiosa è specifica di religioni come il cristianesimo, e asserisce ad esempio che la vita di Gesù, come scritta nel Nuovo Testamento, ne stabilisce la credibilità, e quindi possiamo credere nella verità delle sue dichiarazioni su Dio. Un esempio di ciò è il Trilemma presentato da C.S. Lewis in Mere Christianity.

– L’argomentazione della maggioranza sostiene che persone di tutte le epoche e in luoghi diversi hanno creduto in Dio, quindi è improbabile che non esista.

 

 

Argomentazioni basate sulla credenza personale

La Scuola Scozzese guidata da Thomas Reid insegna che il fatto dell’esistenza di Dio viene da noi accettato senza conoscenza delle ragioni, ma semplicemente per un impulso naturale. Che Dio esista, dice questa scuola, è uno dei principi metafisici fondamentali, che accettiamo non perché siano evidenti in sé o perché possono essere provati, ma perché il senso comune ci obbliga ad accettarli.

– L’argomentazione da una base propria sostiene che la fede in Dio è “propriamente basilare”, vale a dire, simile ad affermazioni come “vedo una sedia” o “sento dolore”. Tali convinzioni sono non-falsificabili e quindi, non possono essere né provate né confutate; esse riguardano convinzioni percettive o stati mentali indiscutibili.

– In Germania, la Scuola di Friedrich Heinrich Jacobi insegnava che la nostra ragione è in grado di percepire il sovrasensibile. Jacobi distingueva tre facoltà: sensi, ragione, e comprensione. Così come i sensi hanno una percezione immediata delle cose materiali, la ragione ha una percezione immediata dell’immateriale, mentre la comprensione porta queste percezioni alla nostra consapevolezza e le unisce l’una con l’altra. L’esistenza di Dio quindi non può essere provata—Jacobi, come Kant, rigettava il valore assoluto del principio di causalità—, deve essere sentita dalla mente.

– Il grande illuminista francese Voltaire ripeteva un aforisma molto significativo che recita “Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo”. Seguace fin dalla giovinezza del deismo inglese, e in particolare di Samuel Clarke e di Antony Collins, elabora alla fine della sua vita una forma di teismo che così enuncia nel Dizionario filosofico:

« Il teista è un uomo fermamente persuaso dell’esistenza di un Essere supremo tanto benigno quanto potente, il quale ha formato tutti gli esseri estesi, vegetanti, o dotati di sentimento, o di sentimento e ragione; e perpetua la loro specie, e punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose. Il teista non sa in qual modo Iddio punisce, né come egli premia […] Le difficoltà che si oppongono all’idea della Provvidenza non lo scuotono nella sua fede, […] Egli è sottomesso a questa Provvidenza, benché non ne scorga se non alcuni effetti e alcune apparenze; […] La sua religione è la più antica e la più estesa, perché la semplice adorazione di un Dio ha preceduto tutte le dottrine del mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli intendono, mentre questi popoli non si intendono fra di loro. »

Nello stesso tempo Voltaire si pronuncia duramente contro l’ateismo con queste parole:

 

« Che l’ateismo è un mostro assai pericoloso in quelli che governano; che lo è anche nelle persone di studio, se pure la loro vita è innocente, perché dal loro studio esso può arrivare sino a quelli che vivono in piazza; e che, se non è certo funesto quanto il fanatismo, è tuttavia quasi sempre fatale alla virtù. »

– Nel suo Emilio, Jean-Jacques Rousseau asseriva che quando la nostra comprensione pondera circa l’esistenza di Dio, non incontra altro che contraddizioni. Gli impulsi del nostro cuore, comunque, hanno più valore della comprensione, e questo ci proclama chiaramente le verità della religione naturale, ovvero l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.

– La stessa teoria venne sostenuta in Germania da Friedrich Schleiermacher (morto nel 1834), che assumeva un senso religioso interno per mezzo del quale sentiamo le verità religiose. Secondo Schleiermacher, la religione consiste solamente di questa percezione interna, e le dottrine dogmatiche non sono essenziali.

– Molti teologi protestanti moderni seguono le orme di Schleiermacher, e insegnano che l’esistenza di Dio non può essere dimostrata; la certezza di questa verità è fornita solamente dalla nostra esperienza interiore, dai sentimenti e dalla percezione.

– Anche la cristianità modernista nega la dimostrabilità dell’esistenza di Dio. Secondo questa, possiamo conoscere qualcosa di Dio solo tramite l’immanenza vitale, vale a dire che, in circostanze favorevoli, il bisogno di divino che dorme nel nostro subconscio, diventa conscio e risveglia il sentimento religioso o l’esperienza in cui Dio si rivela a noi. In condanna di questa visione il giuramento contro il modernismo formulato da Papa Pio X dice: “Deum… naturali rationis lumine per ea quae facta sunt, hoc est per visibilia creationis opera, tanquam causam per effectus certo cognosci adeoque demostrari etiam posse, profiteor” (“Dichiaro che per illuminazione naturale della ragione Dio può certamente essere conosciuto e quindi la Sua esistenza può essere dimostrata tramite le cose fatte, ovvero tramite l’opera visibile della creazione, in quanto la causa è nota attraverso i suoi effetti“).

 

Argomentazioni matematiche

Il matematico italiano Vincenzo Flauti (1782-1863) pubblicò la “Teoria dei miracoli“, una dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio. George Boole (1815-1864), inventore dell’algebra della logica, nel capitolo XIII del suo libro “The Laws of Thought” (MacMillan 1854) espresse in formule la dimostrazione dell’esistenza di Dio ideata dal teologo non conformista Samuel Clarke (1675-1729), giungendo alla conclusione che la dimostrazione non è valida. Altri autori hanno espresso considerazioni riguardo ai limiti notevoli, in merito all’esito indeterminato del prodotto o divisione di due grandezze infinite, e al prodotto di una grandezza nulla per infinito.

 

Punto di vista di Kierkegaard

Dio non esiste, Egli è eterno. Secondo Kierkegaard il termine stesso esistenza applicato a Dio è improprio. Il filosofo cristiano dichiara che la fede è un paradosso (non l’assurdo o l’irrazionale) e sostiene che Dio deve essere accettato per fede e basta, Dio non va “spiegato“: «Dio non pensa, Egli crea. Dio non esiste, Egli è eterno. L’uomo pensa ed esiste e l’esistenza separa pensiero ed essere, li distanzia l’uno dall’altro nella successione». Vi è quindi una differenza assoluta fra uomo e Dio fra ciò che è finito e infinito. Si possono mediare differenze relative, non la differenza assoluta.

 

Sebbene la fede sia un rischio, Kierkegaard sostiene che la sua accettazione non è irrazionale: Il credente non solo possiede, ma usa la ragione, rispetta le credenze comuni, non ascrive a mancanza di ragione se qualcuno non è cristiano; ma per quello che riguarda la religione cristiana egli crede contro la ragione e in questo caso adopera la ragione per accertarsi che crede contro la ragione. Il cristiano non può accettare l’assurdo contro la sua ragione perché questa si accorgerebbe che è assurdo e lo respingerebbe. Egli adopera, quindi, la ragione per diventare consapevole dell’incomprensibile e poi si attacca ad esso e crede anche contro la ragione. La fede è quindi un rischio perché richiede l’adesione personale ad affermazioni che oggettivamente non presentano alcuna garanzia e sono in stridente contrasto con i normali criteri di verità. La fede è un rischio perché il suo oggetto è il paradosso, una verità che oltrepassa gli schemi della ragione umana, una verità priva di evidenza oggettiva. Per Kierkegaard quindi la fede è imprescindibile dalla credenza in Dio ed è la sola qualità che ci deve consentire di accettare la sua esistenza.

 

 

ARGOMENTAZIONI CONTRO L’ESISTENZA DI DIO

 

Nei secoli si sono formulate diverse argomentazioni orientate a difendere che Dio o un qualunque essere superiore non esisterebbe; a dimostrare che la sua possibile esistenza sarebbe intrinsecamente priva di significato, assurda, contraddittoria rispetto ai fatti e ai dati scientifici o alla realtà storica; o infine a mettere in luce che non ci sarebbero motivi sufficienti per poterci credere.

 

Antichità classica

 

Diagora

Il pensiero di Diagora di Milo, noto come l’ateo e perseguitato in vita per il suo ateismo, non è noto se non in misura frammentaria ed attraverso fonti terze, peraltro in misura prettamente aneddotica. Nel De Natura Deorum Cicerone riporta che un amico di Diagora aveva cercato di convincerlo dell’esistenza degli dèi ricordandogli quante immagini votive erano state erette in onore degli dèi da varie persone come ex voto per essere sopravvissute a tempeste in alto mare, al che Diagora avrebbe ribattuto ricordandogli quante immagini votive non erano state erette in onore degli dèi da coloro che invece erano morti per naufragio.

 

Nella medesima opera l’autore racconta come l’equipaggio di una nave su cui era imbarcato Diagora accusasse questi per aver attirato su di loro la collera degli dèi nella forma di una forte tempesta, al che Diagora rispose chiedendo se anche le altre imbarcazioni coinvolte dalla tempesta avessero Diagora a bordo. L’autore cristiano Atenagora di Atene scrisse nel II secolo d.C. che gli Ateniesi avevano perseguitato Diagora perché aveva apertamente dichiarato l’inesistenza degli dèi. Autori greci contemporanei al filosofo affermano che una delle argomentazioni che portava a sostegno di questa sua tesi era la mancata punizione divina di numerosi atti d’empietà e crudeltà commessi dagli uomini.

 

Crizia

Crizia, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., tratta ne il Sisifo la dissoluzione del tradizionale concetto di nomos (dal greco legge) sul quale le polis dell’antica Grecia erano fondate e che ricomprendeva in sé i concetti di legge giuridica, sociale e religiosa. Ribaltando lo schema tradizionale, che voleva il diritto positivo fondato sulla morale divina, egli fonda nella paura del divino il vero caposaldo del potere politico, identificando con l’invenzione degli dèi il fondamento per la nascita della civiltà.

 

La divinità assume le caratteristiche di uno strumento politico atto al governo. Secondo Crizia, il divino è stato inventato dai governanti affinché gli uomini smettessero di infrangere le leggi di nascosto, convincendoli nella loro sfera personale dell’esistenza di una forza soprannaturale in grado di osservarli in qualsiasi momento e in seguito giudicarli. Egli non solo spiega razionalmente la religione, ma pretende di dimostrare la debolezza intrinseca della legge positiva e della morale collettiva.

 

Queste sono infatti frutto di convenzione, relative e basate sull’apparenza: come prima di lui aveva osservato il sofista Antifonte, giusto è colui che, di fronte a testimoni, si comporti in ossequio alla legge per evitare biasimo e pene, ma che poi, in privato, si comporti secondo la propria natura (physis). Qui sta appunto, anche per Crizia, la debolezza della legge, poiché essa cessa di avere valore quando l’individuo si trova solo. Qualsiasi oratore, poi, è in grado a parole di rigirare la legge a proprio vantaggio, insozzando ciò che di buono vi è in essa. Piuttosto che sul nomos, dunque, una società ordinata si dovrebbe basare sulla moderazione del singolo individuo. Come scrisse nel Piritoo, «un carattere nobile è più saldo della legge», poiché nessuno sarà mai in grado di storpiarlo.

 

Evemero da Messina

A cavallo tra il IV ed il III secolo a.C. Evemero da Messina veicolò, attraverso La Storia Sacra, l’evemerismo. Evemero cercò di spiegare razionalmente la genesi degli dei, ritenendo che l’origine del concetto di “dio” fosse da rintracciarsi nella divinizzazione progressiva subita da personaggi storici di spicco, quali antichi sovrani e fondatori di regni e città.

In tal modo egli negava esplicitamente la natura divina degli dei, affermandone l’origine umana. In linea con questa impostazione, egli cercò di interpretare razionalmente gli antichi miti, epurandoli degli elementi mistici e fantasiosi e cercando di identificarne il nucleo storico di fondo.

 

Lucrezio

Risulta incerto se Lucrezio (98-53 a.C.) si sia semplicemente limitato a esportare l’epicureismo di Epicuro in ambito latino o se avesse radicalizzato questa corrente filosofica facendone una forma di ateismo.

 

Sin dal primo libro del De rerum natura egli enuncia che gli dèi non esistono e che il mondo si è fatto da sé, scrivendo:

 

(LA)

« Quas ob res ubi viderimus nil posse creari de nihilo, tum quod sequimur iam rectius inde perspiciemus, et unde queat res quaeque crearivet quo quaeque modo fiant opera sine divom »

(IT)

« E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla, allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l’oggetto delle nostre ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia senza opera alcuna di dèi. »

Nel Libro V Lucrezio spiega perché il mondo si è fatto da solo:

 

« Ma ora spiegherò con ordine come il caotico ammasso di materia abbia stabilmente formato la terra, il cielo, le profondità marine, il corso del sole e della luna. Infatti di certo gli elementi germinali delle cose non si disposero ognuno al suo posto per il criterio d’una mente sagace né pattuirono i moti che ognuno avrebbe dovuto imprimere, ma poiché i numerosi germi della natura in molteplici modi ormai da tempo infinito sospinti dagli urti e dal loro stesso peso sogliono spostarsi velocemente,

aggregarsi in ogni guisa e produrre tutte le combinazioni »

 

 

Età moderna

 

Jean Meslier

« La vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione dipenderebbe solo da voi, se riusciste a mettervi d’accordo; avete tutti i mezzi e le forze necessarie per liberarvi e per rendere schiavi i vostri stessi tiranni. I vostri tiranni, infatti, per quanto potenti e terribili possano essere, non avrebbero alcun potere su di voi senza voi stessi […] E così non vi sia tra di voi religione diversa da quella della saggezza e della moralità, da quella dell’onestà e della decenza, della franchezza e della generosità d’animo; non ci sia religione diversa da quella che consiste nell’abolire completamente la tirannide e il culto superstizioso degli dèi e dei loro idoli, nel mantenere viva la giustizia e l’equità ovunque, nel lavorare in pace e nel vivere tutti in una società ordinata, nel mantenere la libertà e, infine, nell’amarvi l’un l’altro e nel salvaguardare da ogni pericolo la pace e la concordia tra di voi […]. »

(Jean Meslier, testamento di Jean Meslier)

 

Nel 1729, alla morte del prete Jean Meslier, veniva reso pubblico il suo testamento, dal titolo di Memoria dei pensieri e delle opinioni di Jean Meslier, prete, curato di Ètrèpigny e di Balaives, su una parte degli errori e degli abusi del comportamento e del governo degli uomini da cui si dimostrano in modo chiaro ed evidente le vanità e le falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo, affinché sia diretto ai suoi parrocchiani dopo la sua morte e per essere usata da loro e da tutti i loro simili quale testimonianza di verità. In questo testo il sacerdote chiedeva perdono per quanto di falso aveva predicato in tutta la vita e per aver mentito nell’esercizio di una vocazione spirituale divenuta non più consona alle sue convinzioni filosofiche.

 

Meslier mise in dubbio la coerenza della religione cristiana attraverso una critica all’attendibilità e alla verità storica dei Vangeli, contestandone le ritenute contraddizioni interne, alla Bibbia in generale, affermando la falsità delle presunte profezie dell’Antico Testamento, e alla dottrina e morale cristiane, enumerando quelli che a suo parere erano gli errori insiti in queste. Egli riteneva che la fede, in quanto “credenza cieca”, fosse un principio di errori, di illusioni e di raggiri e che la divinità e l’anima fossero invenzioni umane.

 

Meslier sostenne che la religione origina dalla paura e che i tiranni se ne servono e la sostengono per imporre il proprio potere: idealizzando la sofferenza, la povertà e il dolore e condannando il piacere, la religione – in particolare quella cristiana – disarma gli uomini e li lascia alla mercé dei soprusi del potere. Monarchi, nobili e sacerdoti sono parassiti che il popolo deve abbattere per riappropriarsi della terra, dato che in natura tutti gli uomini sono uguali ed a loro appartengono i beni e la terra che lavorano. Egli ritiene che tutto quanto avviene nella storia non può né deve essere attribuito a Dio, in quanto solo la natura, eterna e già di per sé perfettamente regolata, basta a spiegare i mutamenti storici.

 

Paul Henri Thiry d’Holbach

« Ci dicono con tono grave che «non c’è effetto senza causa»; ci ripetono ogni momento che «il mondo non si è fatto da sé». Ma l’universo è una causa, non è per niente un effetto. Non è per niente un’opera, non è stato per niente «fatto», poiché era impossibile che lo fosse. Il mondo è sempre esistito; la sua esistenza è necessaria. (…) La materia si muove per la sua propria energia, per una conseguenza necessaria della propria eterogeneità. »

(Paul Henri Thiry d’Holbach, Il buon senso, ossia idee naturali opposte alle soprannaturali; paragrafo 39)

Il barone Paul Henri Thiry d’Holbach, sotto lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud, pubblicò sotto questo falso nome il Sistema della Natura e Il Buon Senso rispettivamente nel 1770 e nel 1772. Nelle due opere nega l’esistenza dell’anima, descrivendo l’uomo come “un essere puramente fisico“, e sostiene materialisticamente che materia e moto formano il mondo, il quale è auto-creato, eterno e governato da un rigido determinismo fondato sulla legge della causalità.

 

Conseguentemente a questa impostazione, la libertà è una pura illusione e con essa il libero arbitrio; in realtà l’uomo cerca ciò che ritiene utile al proprio benessere, secondo una sorta di legge fisica naturale, su di una “gravitazione dell’individuo su se stesso“, fondata sul concetto di necessità. Egli ritiene che la ragione e l’esperienza dimostrino quanto afferma, arrivando a definire l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima sciocche superstizioni, mantenute in vita dagli interessi del clero che sfrutta l’ignoranza del popolo.

 

Egli è convinto che assolutismo politico e oppressione clericale sono sostanzialmente solidali e debbono quindi essere combattuti insieme, affermando che «Senza la Corte la Chiesa quasi non può prosperare, lo Spirito Santo vola con un’ala sola. È a corte che in ultima istanza si decide l’ortodossia. Gli eretici sono sempre coloro che non pensano come alla corte. Le divinità di quaggiù regolano comunemente la sorte delle divinità di lassù. Senza Costantino Gesù Cristo sulla terra avrebbe fatto una assai magra figura».

 

D’Holbach esalta l’ateismo, concepito come passo necessario verso la virtù essendo che “la vera virtù è incompatibile con la religione“: il virtuoso è ateo e conosce le leggi della natura e la propria natura, sa ciò che essa gli impone e pertanto può seguirla, assecondando il proprio impulso verso la felicità. Pertanto, che non si debba condannare la ricerca del piacere e della felicità terrena, purché l’interesse singolo non contraddica l’interesse collettivo: la condotta di ognuno deve riuscire a conciliargli la benevolenza dei propri simili, necessaria alla sua stessa felicità, e pertanto dev’essere diretta all’utilità del genere umano.

 

Ludwig Feuerbach

Ludwig Feuerbach ne l'”Essenza del cristianesimo” (1841) afferma che la religione, con particolare riferimento a quella cristiana, ha un contenuto positivo che consente di scoprire quale sia l’essenza dell’uomo. Infatti, secondo Feuerbach l’uomo di fronte alle difficoltà della vita si affida ad un soggetto altro rispetto a lui, che è idealmente slegato dai tipici limiti umani e che egli chiama dio e, quando un soggetto entra in un rapporto essenziale e necessario con un oggetto trascendente (come dio appunto), questo significa che questo oggetto è la vera e propria essenza del soggetto, proiettata. Dio dunque non è altro che l’oggettivazione ideale dell’essenza dell’uomo che in Dio proietta se stesso.

 

La religione è l’oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell’uomo, la proiezione di essi in un ente immaginario, che viene falsamente considerato indipendente dall’uomo e nel quale tali aspirazioni si trovano pienamente realizzate idealmente.

Nella religione è dunque l’uomo a fare Dio a propria immagine e somiglianza attraverso un processo psichico di assolutizzazione dell’umano.

Non quindi Dio che ha creato l’uomo, ma viceversa (Non è Dio che crea l’uomo, ma l’uomo che crea l’idea di Dio afferma Feuerbach).

 In Dio e nei suoi attributi l’uomo può quindi scorgere oggettivati i suoi bisogni e i suoi desideri e, dunque, ri-conoscerli.

Feuerbach ne conclude che «la religione è la prima, ma indiretta coscienza che l’uomo ha di sé».

La conoscenza che l’uomo ha di Dio non è altro, allora, che la conoscenza che l’uomo ha di sé stesso, ma solo con la filosofia ciò può giungere a piena consapevolezza.

Secondo Feuerbach la colpa del cristianesimo nei confronti del genere umano è stata l’aver condotto all’ascetismo, alla fuga dal mondo, al sacrificio e alla rinuncia e in ultima analisi alla spogliazione delle qualità umane a favore di Dio. Rispetto al cristianesimo, il panteismo ha il merito di aver riconosciuto che il divino non è un’entità personale, ma è il mondo stesso.

 

Lo sviluppo della religione consiste dunque in una progressiva negazione di Dio da parte dell’uomo, la quale va di pari passo con la consapevole riappropriazione della propria essenza umana.

Quanto c’è di vero e di essenziale nel cristianesimo deve quindi essere negato come teologia per essere conservato come antropologia.

In quanto antropologia, la filosofia si assume il compito di liberare l’essenza dell’uomo e dalla sua alienazione religiosa in un ente estraneo. Secondo Feuerbach è ateo non chi elimina Dio, il soggetto dei predicati religiosi, bensì chi elimina i predicati con i quali Dio è designato nell’esperienza religiosa, come bontà o saggezza o giustizia. Anche quando si è riconosciuta la non esistenza di Dio come entità separata, questi predicati infatti permangono nella loro verità, ma come possibilità e prerogative dell’essenza umana.

 

L’inizio della filosofia non è dunque Dio o l’Assoluto, come in Hegel, ma ciò che è finito, determinato e reale. La filosofia dell’avvenire, in quanto antropologia, riconoscendo il finito come infinito, deve partire, non da come aveva fatto Hegel, dal pensiero autosufficiente, inteso come soggetto capace di costruirsi con le sue proprie forze, bensì dal vero soggetto, di cui il pensiero è soltanto un predicato. Esso è l’uomo in carne e ossa, mortale dotato di sensibilità e bisogni: in questo consiste l’umanesimo di Feuerbach.

 Occorre dunque partire da ciò che dà valore al pensiero stesso, ossia dall’intuizione sensibile perché veramente reale è soltanto ciò che è sensibile.

Solo attraverso i sensi un oggetto è dato come immediatamente certo: il sensibile infatti non ha bisogno di dimostrazione, perché costringe subito a riconoscere la sua esistenza.

 

In questa prospettiva, la natura non si trova più ridotta a semplice forma estraniata dello spirito, come avveniva in Hegel, ma diventa la base reale della vita dell’uomo. L’argomento genealogico che utilizza Feuerbach a prima vista può sembrare molto convincente ma ha un difetto logico, non prova infatti la non esistenza di Dio: esso mette solo in evidenza un processo psicologico di proiezione che non tocca la questione dell’esistenza di Dio. Dio potrebbe infatti essere riconosciuto tramite questa proiezione delle più alte aspirazioni umane, così come potrebbe invece trattarsi di un’illusione umana: il problema rimane irrisolto.

 

 

Marx e l’oppio dei popoli

« La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli. »

(Karl Marx, Critica della filosofìa hegeliana del diritto pubblico)

Nell’introduzione alla «Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico», articolo pubblicato sugli “Annali franco-tedeschi” nel 1844, Karl Marx, in contrasto con Ludwig Feuerbach che sosteneva che l’epoca in cui viveva segnava il tramonto della religione, precisa come nella religione coabitino un’istanza critica oltreché quella illusoria teorizzata da Feuerbach. Se per Feuerbach la religione è frutto della coscienza capovolta del mondo, per Marx ciò è dovuto al fatto che la società stessa è un mondo capovolto. La religione è espressione, è critica della miseria reale in cui l’uomo si trova, con la sua stessa presenza denuncia l’insopportabilità del reale per l’uomo.

 

La religione è «il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d’una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l’oppio dei popoli», ottunde i sensi nel rapporto con la realtà, è un inganno che l’uomo perpetra a sé stesso. Incapace di cogliere le motivazioni della propria condizione l’uomo la considera come dato di fatto (causa del peccato originale) cercando consolazione e giustificazione nei cieli religiosi. Una concreta liberazione dalla religione non si avrà eliminando la religione stessa bensì cambiando le condizioni e i rapporti in cui l’uomo si trova degradato e privato della sua propria essenza, ossia attraverso l’emancipazione politica e umana del proletariato.

 

Nietzsche: nichilismo e morte di Dio

« Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! »

(Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Frammento 125)

 

Friedrich Nietzsche afferma che la società a lui contemporanea è “malata”, perché fondata su illusioni e convenzioni che gli individui accettano passivamente: in tal senso egli stigmatizza la sua società, che definisce “nichilista“, fondata su “menzogne” che impediscono all’uomo di rivelare la parte “dionisiaca” del suo essere e di diventare superuomo. Tra queste illusioni l’autore pone “dio“: egli afferma che “Dio è morto” nel senso che il concetto di “dio” risulta essere divenuto non più necessario per spiegare il mondo e per capire la propria vita, cosicché tale concetto esprime una realtà non più creduta o cercata e si è rivelato per il suo carattere puramente illusorio.

 

In tal senso, nell’annunciare la “morte di dio”, egli afferma che il sistema di convinzioni su cui si è basata la società “malata” per secoli è venuto meno sin dal suo concetto fondante, il concetto di dio. Egli prefigura dunque il necessario superamento di questa società e l’arrivo del superuomo: il superuomo è “dio” e “creatore” per sé stesso, perché egli determina da sé il proprio mondo e i suoi valori e le sue regole, essendo cosciente della intrinseca soggettività dell’etica. Celebre è la figura dell’uomo folle ne La gaia scienza (1882), che gira in pieno giorno con una lanterna accesa, urlando “Cerco Dio!”, attirandosi così lo scherno dei presenti.

 

Alla richiesta di spiegazioni l’uomo afferma che Dio è morto, ovvero che nessuno crede più veramente. Ma nell’atto stesso di compiere questa affermazione si trova di fronte allo scetticismo e all’indifferenza, quando non alla derisione. Egli stesso si definisce come il “testimone” di un omicidio compiuto dall’intera Umanità. E allora: “Vengo troppo presto” egli ammette, poiché gli uomini non sono ancora pronti ad accettare questo cambiamento epocale. I valori tradizionali sono sempre più pallidi, sempre più estranei alla coscienza, ma i nuovi valori, quelli della gioiosa accettazione della vita e della fedeltà alla terra, sono ancora al di là dell’orizzonte: “Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino”.

 

L’annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l’ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell’atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all’apollineo nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il “senso dell’essere”, ma che prima o poi, secondo l’autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.

 

 

Argomentazioni empiriche

 

Le argomentazioni empiriche si basano su dati empirici per dimostrare le proprie conclusioni.

 

– “Nella cornice del razionalismo scientifico si giunge al credo nella non-esistenza di Dio, non a causa di una certa conoscenza, ma per via di una scala decrescente di metodi. A un estremo, possiamo respingere con fiducia gli dei personali dei creazionisti su solide basi empiriche: la scienza basta a concludere oltre ogni ragionevole dubbio che non c’è mai stata un’alluvione planetaria e che la sequenza evoluzionistica del cosmo non segue nessuna delle due versioni della Genesi. Più ci spostiamo verso un Dio deistico e definito incoerentemente, più il razionalismo scientifico fruga nella sua cassetta degli attrezzi e si sposta dalla scienza empirica alla filosofia logica informata dalla scienza. In ultima analisi, gli argomenti più convincenti contro un Dio deistico sono la Legge di Hume e il rasoio di Occam. Questi sono argomenti filosofici, ma costituiscono anche le fondamenta di tutta la scienza e non possono quindi essere scartati come non-scientifici. La ragione per cui riponiamo la nostra fiducia in questi due principi è perché la loro applicazione nelle scienze empiriche ha portato a spettacolari successi nel corso degli ultimi tre secoli.”

 

L’argomentazione delle rivelazioni inconsistenti contesta l’esistenza della divinità biblica mediorientale chiamata Dio come viene descritta nelle sacre scritture, come la Tanakh ebraica, la Bibbia cristiana o il Corano musulmano, identificando le contraddizioni tra le differenti scritture, quelle all’interno di una singola scrittura o le contraddizioni tra le scritture e i fatti noti.

 

– La teodicea (o “problema della giustizia di Dio“) in generale e le argomentazioni logiche ed evidenziali del male in particolare, contestano l’esistenza di un dio che sia contemporaneamente onnipotente e omnibenevolo, sostenendo che un tale dio non permetterebbe l’esistenza del male o della sofferenza percepibili, la cui esistenza può essere facilmente dimostrata. Tale argomento viene anche detto argomento morale: se Dio esistesse sarebbe non-morale dal punto di vista della comprensione umana, quindi inutile come riferimento. L’argomento non verte strettamente sull’esistenza di qualsiasi divinità, perciò viene sostenuto anche da teisti e altri gruppi oltre che da atei. Inoltre, essendo Dio infinito, per sua stessa natura dovrebbe contenere in sé il male, principio che cozza contro un dogma cattolico che dichiara che da Dio procede solo il bene senza la minima presenza di male in esso.

 Questo argomento viene contestato dai deisti concependo il male come assenza di bene, che appunto è l’essenza di Dio.

 

L’argomentazione del disegno insufficiente contesta l’idea che un dio abbia creato la vita, sulla base del fatto che le forme di vita mostrano una progettazione scarsa o malevola, che può essere spiegato facilmente usando l’evoluzione o il naturalismo.

Un risultato sperimentale che mostra con evidenza che è il caso a governare la sequenza delle mutazioni, è quello ottenuto da un gruppo di ricercatori dell’Oregon sull’evoluzione di un recettore dei glucocorticoidi: la sequenza delle mutazioni è risultata irreversibile, cosa incompatibile con l’idea di un disegno preordinato.

 

– L’argomentazione della non credenza contesta l’esistenza di un dio onnipotente che vuole che gli esseri umani credano in lui, sostenendo che un tale dio farebbe un lavoro migliore per raccogliere i credenti. Questa argomentazione viene contestata dall’affermazione che Dio vuole mettere alla prova gli uomini per vedere chi ha più fede, ma a sua volta viene respinta dalle argomentazioni relative all’onniscienza (non ha senso che Dio metta alla prova gli uomini, perché essendo onnisciente sa già come andrà a finire e di fatto questo mina irreversibilmente il concetto di libero arbitrio).

 

Argomentazioni deduttive

Le argomentazioni deduttive cercano di dimostrare le loro conclusioni con il metodo deduttivo a partire da premesse vere.

 

– Il paradosso dell’onnipotenza e gli altri paradossi teologici, sono una delle molte argomentazioni che sostengono che le definizioni o descrizioni di un Dio sono logicamente contraddittorie, e dimostrano così la sua non esistenza.

 

L’argomentazione del libero arbitrio contesta l’esistenza di un dio onnisciente dotato di libero arbitrio sostenendo che le due proprietà sono contraddittorie.

 

L’argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio contesta l’esistenza di un creatore intelligente, dimostrando che un tale essere renderebbe dipendenti logica e morale, il che è incompatibile con l’affermazione presupposizionalista che esse sono necessarie, e contraddice l’efficacia della scienza. Una linea di argomentazione più generale basata sull’argomentazione trascendentale della non esistenza di Dio, cerca di generalizzare questa argomentazione a tutte le caratteristiche necessarie dell’universo e a tutti i concetti di dio.

 

– La controargomentazione dell’argomentazione cosmologica (“l’uovo o la gallina“) dichiara che se l’universo è stato creato da Dio perché doveva avere un creatore, allora Dio a sua volta avrebbe dovuto essere stato creato da un altro dio, e così via. Questo attacca la premessa che l’universo sia la “causa seconda” (dopo Dio, che si sostiene essere la “causa prima”). Una risposta comune a questo è che Dio esiste al di fuori del tempo e dell’universo, e quindi non necessita di una causa. Questa concezione genera alcuni problemi logici: in primo luogo cozza contro la natura infinita di Dio, non può esistere un “altrove” a un Dio che tutto permea e organizza; in secondo luogo, tale affermazione ricondurrebbe al rasoio di Occam facendo coincidere il caso con quello del primo argomento empirico: il modello logico causale non sarebbe più vantaggioso poiché dipende da un elemento senza causa, elemento che quindi è in più rispetto al necessario. Il fatto di spiegare il mondo e l’universo come creazione di dio è un rimandare la spiegazione, per il fatto che ora dall’inspiegabilità dell’universo si passa nell’assai più complessa inspiegabilità di Dio.

 

Il noncognitivismo teologico, come usato in letteratura, cerca solitamente di confutare il concetto di Dio mostrando che esso è inverificabile e senza significato.

 

Il paradosso di Curry mostra come il concetto di causa prima, una delle forme più generali cui si può ricondurre l’idea di Dio, si rivela privo di significato quando si prova ad esprimerlo nel linguaggio formale della logica matematica.

 

 

Argomentazioni induttive

Le argomentazioni induttive sostengono le loro conclusioni tramite il metodo induttivo.

 

L’argomentazione atea-esistenzialista della non esistenza di un essere senziente perfetto, sostiene che poiché l’esistenza precede l’essenza, ne consegue dal significato del termine senziente che un essere senziente non può essere completo o perfetto. La questione viene affrontata da Jean-Paul Sartre in L’essere e il nulla. Secondo Sartre Dio sarebbe pour-soi [un essere per sé; un essere cosciente] che è anche en-soi [un essere in sé; una cosa]: il che è una contraddizione in termini. L’argomentazione viene riecheggiata nel romanzo di Salman Rushdie, Grimus: “Ciò che è completo è anche morto.” Hegel nella Fenomenogia dello Spirito sostiene che l’essere, come ogni cosa non pensata in relazione al suo contrario, come l’essere concepito come essere-per-sé, cade e diventa il suo contrario, appare identico al nulla. Tale movimento di pensiero è anche un movimento di essere, che trova nel divenire una sintesi superiore e successiva all’apparente identità di essere e nulla, che non è un’identità statica, ma un’identità dinamica, un evento nel pensiero che si ripete nell’essere.

 

L’argomentazione del “nessun motivo” cerca di mostrare che un essere onnipotente o perfetto non avrebbe alcuna ragione di agire in alcun modo, in particolare creando l’universo, perché non avrebbe desideri, in quanto il concetto stesso di desiderio è soggettivamente umano. Siccome l’universo esiste, c’è una contraddizione, e quindi, un dio onnipotente non può esistere. Questa argomentazione viene sposata da Scott Adams nel libro God’s Debris.

 

Argomentazioni ontologiche

Argomentazioni ontologiche sono state avanzate da vari scienziati della seconda metà del XX secolo, tra i quali il biologo francese Jacques Monod, il fisico inglese Stephen Hawking e i fisici statunitensi Murray Gell-Mann e Lee Smolin. Essi affermano che l’indeterminismo del mondo sub-atomico, cioè il comportamento casuale delle particelle elementari e la casualità delle mutazioni e delle ricombinazioni genetiche in biologia molecolare, rendono non più necessaria l’esistenza di Dio.

 

 

Stephen Hawking

Stephen Hawking afferma:

 

« Poiché esiste la legge di gravità, l’universo può crearsi e si crea dal nulla. La creazione spontanea è il motivo per cui c’è qualcosa anziché nulla, per cui l’universo esiste, per cui noi esistiamo! Non è necessario invocare Dio […]. »

(Stephen Hawking e Leonard Mlodinow, The Grand Design, 2010)

 

Hawking sostiene da diversi anni l’ateismo, sebbene in passato abbia manifestato interesse per una visione panteista e non trascendente come quella di Albert Einstein, ad esempio nel capitolo finale del suo libro Dal Big Bang ai buchi neri. Egli sostiene, in un articolo del 2010, che Dio non può conciliarsi con la scienza e non è correlato col nostro mondo. Nei suoi libri non specifica mai se creda o meno nell’esistenza di un Dio o di un’altra entità superiore: in The Grand Design, scritto insieme al fisico Leonard Mlodinow, ha elaborato una teoria cosmologica che intende spiegare l’origine dell’universo, il quale, come dichiara lo scienziato in un’intervista sul Times, “non è stato creato da Dio”. Hawking oggi si dichiara ateo.

 

Anche riguardo al rapporto tra religione e scienza, Hawking sostiene che non sono conciliabili, in quanto come ha dichiarato sempre sul Times: “c’è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull’autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento. E la scienza vincerà perché funziona”. Nel 2011 ha dichiarato di non credere, a livello strettamente personale e senza farne una verità assoluta, nell’esistenza di un Dio creatore (senza esprimersi sulle religioni che invece non parlano di “creazione”), perché non è necessario per spiegare l’universo, e siccome prima del Big Bang non esisteva il tempo (come non esiste all’interno di un buco nero), non sarebbe esistito nemmeno il tempo per creare l’universo, oltre al fatto che, a livello subatomico le particelle elementari quantistiche, come quella che ha dato origine all’universo, possono apparire e scomparire spontaneamente.

 

Egli afferma che questa sia la spiegazione più semplice, proprio per lo stesso motivo per cui una malattia che è derivata da una causa fisica non ha bisogno di una metafisica per spiegarla, portando ad esempio la propria situazione personale. Allo stesso tempo non ha mai escluso la teoria del multiverso, ossia la possibilità di più universi, ognuno con la sua relativa nascita e le sue leggi fisiche peculiari.Hawking, nonostante non sia un credente, è membro della Pontificia accademia delle scienze.

 

Per contro Hawking non spiegherebbe come possa esistere una legge di gravità senza gravi,

così come non spiega come sia concepibile una legge che preceda l’universo dato che in realtà lo presuppone.

Hawking risponde a queste obiezioni che non c’è bisogno di un creatore per creare le leggi fisiche, in quanto semplicemente esse esistono intrinsecamente alla materia, sempre esistente sotto qualche forma oppure apparsa dal nulla prima di tutto, ma non esistendo allora lo spaziotempo si può dire che essa deriva da un istante senza tempo, un eterno presente, come quello dell’orizzonte degli eventi.

 

Jacques Monod

Scrive Jacques Monod nel 1970 chiudendo il saggio Il caso e la necessità:

 

« È la conclusione a cui necessariamente conduce la ricerca dell’autenticità. L’antica alleanza è infranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre. »

(Jacques Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, pp.163-164.)

 

Lee Smolin

Scrive Lee Smolin nel 1997:

 

« Dunque non c’è mai stato un Dio, non c’è mai stato nessun pilota che ha fatto il mondo imponendo un ordine al caos rimanendone poi al di fuori ad osservare e a prescrivere. E Nietzsche è morto. Oggi anche lui è morto. L’eterno ritorno, la morte termica eterna non rappresentano più una minaccia: non verranno mai come non verrà mai il regno dei cieli. Il mondo ci sarà sempre, e sarà sempre diverso, più vario, più interessante, più vivo, ma sarà sempre il mondo nella sua complessità e incompletezza. […] Tutto l’Essere è nelle relazioni tra le cose reali, sensibili. Tutto ciò che abbiamo come legge naturale è un mondo che si è costruito da sé. »

(Lee Smolin, La vita del cosmo, Einaudi 1998, p.382.)

 

 

Sintesi riassuntiva

Le posizioni di fronte all’esistenza o all’inesistenza di Dio possono essere schematicamente divise in tre campi: teiste, atee e agnostiche.

 

– per il teismo, esistono ragioni sufficienti per credere nell’esistenza di Dio o di divinità;

– per l’ateismo non esistono ragioni sufficienti o necessarie per affermare l’esistenza di Dio o di divinità; oppure, l’esistenza di Dio o di divinità è un impossibile dal punto di vista logico od ontologico;

– per l’agnosticismo l’esistenza di Dio è inconoscibile, oppure essa non è attualmente conosciuta (da notare che questa posizione è conciliabile con una delle due posizioni precedenti, dato che l’agnosticismo non riguarda la credenza, ma la conoscenza)

All’interno del teismo si possono distinguere il monoteismo, il panteismo e il deismo. Il teismo e l’ateismo si contrappongono portando a sostegno tesi per lo più logico-dialettiche sino al XIX secolo, dal XX anche ontologiche. Entrambi i campi possono essere a loro volta divisi in due gruppi ognuno, basati sul convincimento che la propria posizione sia o meno dimostrata definitivamente dalle argomentazioni.

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