Photoshop avanzato
Il contrasto – Tre livelli d’analisi
– Il Macrocontrasto (o contrasto globale)
– Il contrasto locale
– Il Microcontrasto
Breve premessa
Che cos’è il contrasto? In parole povere non è altro che la differenza di luminosità tra ombre e luci.
In questo articolo intendo spiegare la differenza che esiste fra tre concetti che si basano su questa definizione e che approfondirò a livello pratico (tecniche di postproduzione)
Conoscere le differenze fra le tre proprietà consente di capire immediatamente come agire al meglio su una fotografia.
I tre concetti
Andiamo quindi subito a vedere quali sono questi tre concetti di cui vi parlo dall’inizio dell’articolo:
Il Macrocontrasto (o contrasto globale): è la differenza di luminosità tra chiari e scuri nell’intera immagine;
Il Contrasto locale: come il contrasto totale, esprime una differenza di luminosità tra chiari e scuri, ma non nell’intera immagine, bensì in un’area più o meno estesa di quest’ultima;
Il Microcontrasto: misura la differenza di luminosità tra le zone chiare e scure nei piccoli particolari dell’immagine.
1 – Il Macrocontrasto
Come detto, il macrocontrasto riguarda l’intera immagine. Agiscono sul macrocontrasto le tecniche più semplici e basilari di contrasto: in Photoshop sono curve, valori tonali (detti livelli nelle versioni precedenti a CS6) e lo strumento luminosità/contrasto. Il problema del macrocontrasto è che, si rischia di perdere il dettaglio nelle alte luci e nelle ombre in quanto vengono inevitabilmente avvicinate (e spesso raggiungono) rispettivamente i livelli di bianco e nero. Si può risolvere questo problema, come vedremo nell’articolo sul macrocontrasto, utilizzando in modo particolare le curve in modo da lavorare solo sui mezzitoni senza alterare i toni estremi.
Molte volte, però, l’immagine è di per sé già ben contrastata, ma nonostante ciò può apparire piatta. In questi casi può essere utile lavorare sul contrasto locale.
2 – Il Contrasto Locale
Il contrasto locale riguarda un’area dell’immagine. Ogni volta che applichiamo qualche regolazione del contrasto globale (curve, valori tonali, luminosità/contrasto) selettivamente solo su una parte della nostra immagine attraverso le maschere di contrasto, stiamo modificando il contrasto locale.
Vi sono anche funzioni di Photoshop che agiscono direttamente sul contrasto locale, senza bisogno di utilizzare le maschere di livello. Un esempio è la maschera di contrasto (unsharp mask), la quale ricerca i contorni presenti nell’immagine e contrasta un raggio di pixel da noi definito attorno ad essi (scurendo dalla parte del lato meno luminoso e schiarendo dalla parte di quello più luminoso). Questa tecnica quindi non andrà ad agire sul contrasto dell’intera immagine, ma preserverà da questa operazione le zone che non presentano bordi (per esempio un cielo senza nuvole).
3 – Il Microcontrasto
Nel momento in cui andiamo ad agire sul contrasto in prossimità dei bordi dell’immagine, in modo analogo a quanto spiegato nel paragrafo precedente, utilizzando però un raggio talmente basso che il contrasto della foto non cambia in modo significativo ma aumenta notevolmente la nitidezza percepita, allora stiamo lavorando sul microcontrasto, il quale serve principalmente per migliorare il livello di sharpness (nitidezza percepita). Con il microcontrasto, andiamo infatti a contrastare una piccolissima zona attorno ai bordi presenti nell’immagine e in questo modo i dettagli più piccoli diventano più evidenti e quindi più nitidi all’occhio umano.
Conclusioni
Molto spesso in una foto, andremo a lavorare su tutti e tre i livelli di contrasto. Non c’è una regola per sapere quando e su quale livello lavorare, ma il fotografo lo capirà osservando l’immagine e sperimentando. Conoscere la tecnica è però condizione necessaria per sapere quando applicarla, il resto arriverà con l’esperienza.
Il Macrocontrasto (o contrasto globale)
Introduzione – l’istogramma
Il macrocontrasto (detto anche contrasto globale) è il livello più semplice del contrasto di una foto .Una foto con un elevato contrasto globale presenta luci prossime al bianco e ombre vicine al livello del nero.
Per misurare il contrasto globale di una foto, si utilizza l’istogramma, uno strumento formato da 256 barre (o livelli o valori tonali) verticali poste una di fianco all’altra, le quali rappresentano orizzontalmente pixel via via più luminosi (la prima barra corrisponderà quindi al nero e l’ultima al bianco). L’altezza di queste barre rappresenta il numero di pixel corrispondenti al livello di luminosità della barra considerata. Se un’immagine ha quindi un istogramma che presenta solo la prima (o l’ultima) barra, mente tutte le altre hanno altezza nulla, significa che l’immagine è totalmente nera (o bianca).
L’immagine qui sopra presenta un istogramma più complesso: vi sono un buon livello di neri (principalmente le ombre sotto gli alberi), molti toni intermedi presenti in quantità variabili e infine un picco poco prima del livello del bianco (che corrisponde al cielo), che ho deciso di non portare più a destra in modo da ottenere un cielo non troppo luminoso che secondo me in questa foto darebbe soltanto fastidio.
Quando e come gestire il macrocontrasto
Aumentare il contrasto globale di un’immagine significa quindi andare ad estendere l’istogramma, portando le ombre verso il nero e le luci verso il bianco (e alterando quindi anche i mezzitoni). Un’immagine poco contrastata appare più piatta di un’immagine con un buon livello di contrasto (che presenta una maggiore tridimensionalità); tuttavia aumentando il contrasto di una foto, andremo a degradarne la qualità. Si tratta quindi di trovare il giusto compromesso e questo varierà a seconda della foto su cui lavoreremo.
In una foto di un paesaggio completamente avvolto dalla nebbia, dove si distingono soltanto le sagome, l’istogramma corretto presenterà inevitabilmente molti mezzitoni, mentre saranno poche (o totalmente assenti) luci ed ombre. Una foto di un paesaggio innevato (molti bianchi) dovrà invece avere un istogramma con un buon livello di alte luci, e così via.
Ma con quali strumenti è possibile modificare il contrasto globale di una foto? In Photoshop abbiamo a disposizione: curve e valori tonali (oltre allo strumento automatico luminosità/contrasto). Bene, andiamo ora ad analizzarli!
1 – Lo strumento Luminosità/contrasto
Il primo strumento permette di effettuare due regolazioni e non è personalizzabile. Personalmente lo sconsiglio mentre consiglio di affidarsi a curve e valori tonali, che sono molto più precisi.
In ogni caso, per utilizzare questo strumento in Photoshop, andiamo su Immagine->Regolazioni->Luminosità/Contrasto. Possiamo regolare separatamente luminosità e contrasto.
Aumentando (diminuendo) la luminosità, sposteremo tutti i livelli dell’immagine verso destra (sinistra), ottenendo un’immagine nel complesso più (meno) luminosa.
Aumentando il contrasto, Photoshop stirerà il grafico, schiarendo le luci e scurendo le ombre (e di conseguenza agirà anche sui mezzitoni), ottenendo un’immagine nel complesso più contrastata (e viceversa).
Due strumenti ancora più immediati (che sconsiglio di nuovo) sono “Immagine->Contrasto automatico” (che regola automaticamente il contrasto) e “Immagine->Tono automatico” (che regola automaticamente il contrasto separatamente sui tre canali, in genere rosso, verde e blu).
2 – I Valori tonali
Lo strumento Valori tonali (Immagine->Regolazioni->Valori Tonali in Photoshop CS6 – Immagine->Regolazioni->Livelli nelle versioni precedenti ) permette di “tagliare” una parte dell’istogramma. È utile in tutti quei casi in cui l’istogramma dell’immagine non copre le alte luci e/o le ombre, ma vi è un vuoto prima dei livelli di nero o di bianco che appiattisce la foto. Se il vuoto si trova prima del nero, sposteremo verso destra il primo triangolino (quello nero) fino a raggiungere il punto in cui comincia l’istogramma. Se invece il vuoto è in prossimità del bianco, porteremo a sinistra l’ultimo triangolino (bianco).
In questa foto, per scelta ho lasciato comunque un buon livello di margine sia a destra che a sinistra poiché ritagliando un ulteriore porzione di grafico avrei ottenuto ombre troppo scure e luci troppo chiare.
Personalmente, sconsiglio di utilizzare il triangolino centrale (grigio) e di utilizzare lo strumento valori tonali soltanto per tagliare gli estremi dell’istogramma. Per agire invece sui toni intermedi senza toccare alte luci e ombre, consiglio di utilizzare lo strumento curve che, a differenza dei valori tonali, è molto più personalizzabile.
3 – Le curve
È probabilmente il miglior strumento di Photoshop per lavorare sul contrasto globale. Aprendo lo strumento (Immagine->Regolazioni->Curve), troviamo una linea diagonale che si estende sull’istogramma. Ora, per modificare il contrasto, non dobbiamo fare altro che selezionare due o punti cliccando sulla diagonale e spostarli. Spostando un punto verso destra, andremo a scurire la porzione di pixel la cui luminosità corrisponde alle barre dell’istogramma vicine al punto selezionato; spostandolo verso sinistra, le schiariremo. In genere quindi, andremo a creare una curva a “S”, poiché in questo modo scuriamo le ombre e schiariamo le luci (aumentando il contrasto).
Nella foto sopra ho effettuato una correzione sulle curve come si vede dall’immagine stessa in modo tale da aumentare il contrasto. Il bello delle curve è che luci ed ombre estreme, a differenza di quanto accade con i valori tonali, non vengono toccate (o comunque vengono modificate in modo marginale). In questo modo possiamo aumentare il contrasto dei toni intermedi senza degradare ombre e luci quando queste sono già al limite.
Ma soprattutto, con le curve possiamo agire su molti punti, andando a modificare solo determinati livelli di luminosità. Nell’immagine sopra per esempio ho creato due punti d’ancoraggio A e B e ho lavorato sui punti C e D, in modo che le ombre sotto A e le luci sotto B non venissero toccate (modificando solo il contrasto dei mezzitoni). Personalmente, sconsiglio di utilizzare troppo punti (solitamente non più di 4-5) per le regolazioni sulle curve, sennò si rischia di ottenere spiacevoli artefatti.
Conclusioni
Conoscere gli strumenti curve e valori tonali è il primo passo per restituire alle vostre foto un corretto livello di contrasto globale e quindi di tridimensionalità. Ora non vi resta che provare fino al punto in cui troverete per ogni foto la combinazione che vi soddisfa. Curve e valori tonali sono tra l’altro i due strumenti basilari su cui si basano molte tecniche avanzate, come il contrasto con le maschere di luminosità e le correzioni selettive sul contrasto locale.
Il contrasto locale
Perché lavorare sul contrasto locale?
Lavorare sul contrasto locale significa intervenire sul contrasto non dell’intera immagine, bensì di una parte (più o meno estesa di essa).
Dalla definizione precedente si intuisce quanto questo strumento possa essere utile nel caso in cui stiamo effettuando la postproduzione di un’immagine che presenta già un buon livello di contrasto globale (istogramma che tocca o quasi gli estremi), ma che nonostante ciò continua ad apparire piatta e poco tridimensionale.
Le regolazioni sul contrasto locale, non devono assolutamente sostituire quelle sul contrasto globale (curve e valori tonali), ma devono essere lo step successivo: ciò significa che prima andrò a lavorare sul contrasto globale con curve e valori tonali e successivamente, se lo riterrò opportuno, andrò ad agire sul contrasto locale.
Le tecniche di post produzione
Possiamo lavorare sul contrasto locale in diversi modi, ottenendo risultati completamente diversi, quindi sarà necessario fare chiarezza sulle diverse tecniche.
Photoshop mette a disposizione il potente strumento Maschera di contrasto (Unsharp mask) mentre Camera Raw o LightRoom (sempre della Adobe) ci forniscono l’altrettanto utile strumento Chiarezza (Claricity).
Un terzo metodo è quello di selezionare con le maschere di livello una sola parte dell’immagine (per esempio il cielo, il prato, un viso, un occhio, ecc…) e di lavorare con curve e livelli tonali su questa selezione; questa tecnica più sofisticata prende il nome di Regolazione selettiva del contrasto.
Bene! ora possiamo imparare come e quando usare queste tecniche: vi consiglio di leggere con attenzione e di paragonare i vari esempi per capire a cosa effettivamente servono questi tre strumenti (che, pur agendo tutti sul contrasto locale, portano a risultati nettamente diversi).
1 – La Maschera di contrasto
Lo strumento più utilizzato per modificare il contrasto locale è la Maschera di contrasto (in Photoshop CS6: Filtro->Nitidezza->Maschera di contrasto). L’algoritmo della Maschera di contrasto individua i bordi presenti nell’immagine e li contrasta (scurendo il lato più scuro e schiarendo quello più chiaro).
Possiamo agire su tre livelli: il parametro “Fattore” indica la quantità di contrasto da applicare, “Raggio” indica l’estensione delle aree attorno ai bordi sulle quali la maschera di contrasto agirà, mentre “Soglia” indica all’algoritmo di ignorare i bordi meno marcati (indica per l’appunto una soglia sotto la quale non agire, per evitare di aumentare eccessivamente il rumore nelle zone in cui non serve aumentare il contrasto).
Personalmente, imposto la Soglia su 0 (o comunque su un valore molto basso) e poi regolo Fattore e raggio. Una volta che ho trovato una combinazione Fattore-Raggio che dà all’immagine un livello corretto di contrasto locale, provo a modificare inversamente Fattore e Raggio (aumento Fattore e diminuisco Raggio o viceversa) fino a quando trovo la combinazione ottimale che mi consente di avere la giusta quantità di contrasto locale senza creare artefatti.
Nella foto qui sopra ho aumentato il contrasto locale con la maschera di contrasto lavorando sull’immagine originale (32 MegaPixel) con i seguenti valori: Fattore 9%, Raggio 32 pixel, Soglia 0.
2 – Chiarezza (Camera Raw o Lightroom)
Questo è uno degli strumenti che preferisco e che uso, a differenza della Maschera di contrasto, nella postproduzione della maggior parte delle mie foto. Chiarezza è simile a una maschera di contrasto con raggio elevato che però agisce principalmente sui mezzitoni: in questo modo potremo aumentare ulteriormente il contrasto senza degradare l’immagine nei toni estremi. L’unico lato negativo di questo strumento è che non è presente in Photoshop, ma lo troviamo solo su Camera Raw o Lightroom. Nessun problema: vediamo come agire …..
Ho aperto il file Raw con Camera Raw (lo stesso si può fare con LightRoom) e, senza aggiungere chiarezza, l’ho importato in Photoshop (è il livello Sfondo). Poi ho aperto di nuovo il Raw, ho impostato Chiarezza a +80, l’ho importato in Photoshop e l’ho sovrapposto al livello Sfondo chiamandolo Chiarezza. Poi ho impostato il livello Chiarezza come invisibile e ho lavorato sugli altri parametri (bilanciamento colore, contrasto globale, saturazione, ecc…) attraverso i livelli di regolazione mantenendo il contrasto leggermente più basso del dovuto. Infine, ho impostato il livello Chiarezza come visibile e ho regolato l’opacità fino al raggiungimento di un risultato ottimale!
Con Chiarezza, i tempi di lavoro saranno leggermente più lunghi che con la Maschera di Contrasto, ma i risultati sono a mio avviso nettamente migliori e gli artefatti quasi impercettibili.
3 – Regolazione selettiva del contrasto
Con questa tecnica andremo a creare delle maschere di livello nette per dei livelli di regolazione (Curve e Valori tonali) in modo tale da modificare il contrasto su un’area dell’immagine da noi definita. Si veda questo esempio.
In questa foto ho applicato una curva a S (vedasi Il Macrocontrasto (o contrasto globale)) solo sul prato senza quindi intervenire sul cielo, di per sé già abbastanza contrastato.
Conclusioni
Bene, ora non vi resta che provare! Ricordatevi sempre di rispettare un certo ordine nel vostro flusso di lavoro. Per quanto riguarda il contrasto, consiglio di partire regolando il contrasto globale, di passare successivamente a correzioni del contrasto locale e infine di impostare il giusto livello di microcontrasto in base all’uso che faremo della foto.
Il Microcontrasto
Introduzione
Il microcontrasto è il contrasto presente nei piccoli dettagli di una fotografia. È un concetto che dal lato pratico ha poco in comune con il contrasto globale dell’immagine .Il contrasto globale infatti incide sulla tridimensionalità di un’immagine; un aumento del microcontrasto invece porta ad un incremento della nitidezza (percepita) della foto. Ma questo perché? Semplicemente i piccoli dettagli (i bordi) dell’immagine sono più contrastati e all’occhio umano appaiono più netti e marcati, quindi più nitidi.
Non è un caso che per aumentare lo sharpening ( cioè la nitidezza o meglio l’acutanza) di una foto si debba agire sul microcontrasto. Vi sono svariate tecniche di sharpening più o meno sofisticate e per usi diversi ma tutte portano a un aumento del microcontrasto e quindi ad una maggiore acutanza della foto.
Il microcontrasto, a differenza di quasi tutte le altre regolazioni fatte in postproduzione dipende dall’uso a cui l’immagine è destinata: una foto per il web avrà un livello di microcontrasto diverso (sia per quantità che per tipo) da quello che andremo ad applicare per esempio sulla stessa immagine da stampare. Il mio consiglio quindi è questo: una volta terminata la post produzione archiviate le vostre foto senza aumentarne il microcontrasto; nel momento in cui vorrete stampare, pubblicare sul web o fare un qualsiasi altro uso di una di queste immagini, prendetela e applicate il livello adeguato di microcontrasto.
Aumentare il microcontrasto è un’operazione il più delle volte necessaria nel caso in cui dobbiamo ridimensionare l’immagine per utilizzarla ad una risoluzione minore: infatti ogni volta che ridimensioniamo l’immagine questa diventa più morbida e bisogna quindi ripristinare l’acutanza originale.
Tre principi generali
In questo articolo illustrerò le tecniche di post produzione sul microcontrasto che ritengo più efficaci. Tutte queste tecniche lavorano su spazi piccolissimi (i contorni degli elementi di una foto) e quindi su poche informazioni. Per evitare che ciò diventi un problema, è consigliabile lavorare sull’immagine ad una risoluzione maggiore di quella finale: applicare un livello di sharpening che all’occhio risulti eccessivo e ridimensionare l’immagine alla dimensione voluta. Ridimensionandola, l’immagine risulterà più morbida e lo sharpening in eccesso verrà controbilanciato. Se si aumenta il microcontrasto sull’immagine ad una risoluzione maggiore di quella finale però, l’algoritmo lavora su un numero di informazioni maggiore (i bordi sono più grandi) e il risultato è di gran lunga migliore. Qui sotto un confronto esplicativo.
I filtri Nitidezza, Nitidezza avanzata, Maschera di contrasto in Photoshop
I tre strumenti che utilizzo per regolare il microcontrasto delle mie foto sono i filtri “Nitidezza” (Filtro->Nitidezza->Nitidezza), “Nitidezza avanzata” (Filtro->Nitidezza->Nitidezza avanzata) e “Maschera di contrasto” (Filtro->Nitidezza->Maschera di contrasto). Nelle versioni di Photoshop precedenti alla CS6, il filtro Nitidezza si chiamava Contrasta, mentre il filtro Nitidezza avanzata si chiamava Contrasta migliore. La maschera di contrasto è conosciuta anche come Unsharp mask o USM.
Il filtro Nitidezza è uno strumento automatico, uno dei pochi (forse l’unico) che utilizzo nella postproduzione delle mie foto. Una tecnica che utilizzo molto è questa:
– Partendo dall’immagine a piena risoluzione e senza sharpening: unisco tutti i livelli, duplico il livello, imposto il metodo di fusione del livello in primo piano su “Colore” ;- ridimensiono l’immagine al doppio della dimensione finale;
– Applico 1,2,3 o 4 volte (a seconda dell’immagine) il filtro nitidezza sul livello in secondo piano;
– Riduco la foto alle dimensioni finali (ricordate di ridimensionare sempre l’immagine utilizzando il metodo di interpolazione “Bicubica per sfumature più omogenee”, si veda il paragrafo sull’interpolazione dell’articolo Photoshop – Preferenze e Prestazioni).
In alcune immagini ottengo risultati migliori applicando lo sharpening ad una risoluzione diversa dal doppio di quella finale (per esempio al triplo).Questo accade raramente, e soprattutto quando i dettagli da evidenziare sono molto piccoli. In questo caso solitamente può essere opportuno, una volta applicato il filtro nitidezza al triplo della dimensione finale, ridurre l’immagine al doppio della risoluzione finale e applicare un’altra volta il filtro.
Per alcune immagini, il filtro Maschera di contrasto si rileva più adeguato. Si tratta il più delle volte di quelle foto in cui è necessario aumentare l’acutanza delle linee più marcate di un’immagine senza però evidenziare i difetti più sottili. Il classico esempio è un volto: dovremo aumentare il microcontrasto sui contorni più definiti (occhi,naso,bocca,ecc…) evitando di far risaltare i difetti della carnagione. In questi casi utilizzo la maschera di contrasto impostando Raggio a 0,5 Pixel, soglia a 10 Livelli e circa e Fattore variabile in base alla dimensione dell’immagine(spesso attorno al 400-500%). Impostando una soglia pari a 10 Livelli, l’algoritmo ignorerà i bordi meno marcati (i difetti della carnagione) e aumenterà il microcontrasto solo sui contorni più netti. Per informazioni sul funzionamento della maschera di contrasto si veda Il contrasto locale.
Il filtro Nitidezza avanzata è il migliore per applicare lo sharpening su un’immagine alla risoluzione finale. Sarà quindi utile per modificare il microcontrasto delle foto da stampare a massima risoluzione o per piccole correzioni sul livello di sharpening di foto su cui abbiamo già lavorato con i due filtri precedenti. Lo sharpening a mio avviso deve essere il più fine possibile quindi applico il raggio minimo (0,1 pixel). Con un raggio così piccolo può essere necessario un Fattore maggiore di 500 (valore massimo); in questo caso applico il filtro due o più volte. Per quanto riguarda il campo Elimina, è molto consigliato scegliere il valore “Sfocatura con lente” .
Come usare i metodi di fusione
Spesso può capitare che la nitidezza di una foto non ci soddisfi ma nel momento in cui proviamo ad aumentare il microcontrasto, appaiano dei fastidiosi artefatti bianchi in alcuni punti dell’immagine. In questo caso può essere utile lavorare sui metodi di fusione.
Nell’immagine qui sopra, ho lavorato sullo sharpening sui livelli “Sharp, Sharp2, Sharp3”. Poi ho creato il livello “Sharp scuro” sul quale ho aumentato ulteriormente lo sharpening. Su questo livello però apparivano degli artefatti bianchi che ho eliminato semplicemente impostando come metodo di fusione “Colore più scuro”.
Sharpening selettivo/creativo
Nella maggior parte delle mie foto applico sharpening diversi su aree diverse dell’immagine con le maschere di livello. Si può anche andare oltre, rendendo lo sharpening uno strumento creativo. Nell’immagine qui sotto per esempio, ho applicato i filtri “Nitidezza” e “Nitidezza avanzata” solo sull’immagine in primo piano, per creare un forte effetto di tridimensionalità e di profondità nella foto.
Conclusioni
Lo sharpening è quello che serve per estrarre il massimo della nitidezza dalle nostre foto in ogni situazione. Seguendo i consigli che vi ho dato e sperimentando le varie tecniche sulle vostre foto, potrete ottenere ottimi risultati. Il mio consiglio è quello di non accontentarsi fino a quando l’immagine non appare “perfetta” e di preferire una foto un po’ più pulita e leggermente meno nitida piuttosto che una con troppo sharpening. Il microcontrasto è un ottimo strumento per esaltare l’acutanza di una foto, ma spesso si esagera e si arriva a rovinare la foto piuttosto che a migliorarla.
Saturazione del colore con Photoshop
La saturazione del colore è una delle tre leve della post produzione assieme alla luminosità e alla tonalità, secondo il modello dei colori HSB (Il flusso di lavoro nella Post Produzione).
La saturazione è l’intensità di un colore. Un colore saturo appare acceso e vivido e deciso, mentre un colore poco saturo risulta essere sbiadito, spento, tenue. La saturazione è nulla in un’immagine in bianco e nero, mentre è massima nei tre colori primari (rosso, verde, blu).
Gestire la saturazione con Photoshop non è semplicissimo. Gli strumenti di post produzione che agiscono sulla saturazione sono molto sensibili ed è molto facile (soprattutto per chi è alle prime armi) esagerare, ottenendo foto troppo sature e sgradevoli.
Inoltre gran parte dei fotografi sottovaluta la regolazione della saturazione delle foto, limitandosi ad utilizzare lo strumento semiautomatico Tonalità/saturazione di Photoshop. Niente di più sbagliato: sarebbe come limitarsi ad utilizzare soltanto lo strumento luminosità/contrasto per correggere il contrasto di una foto senza utilizzare i vari strumenti manuali come curve e valori tonali.
Ma quali altri strumenti utilizzare allora? Oltre al già citato strumento Tonalità/saturazione, vi spiegherò anche come e quando utilizzare lo strumento Vividezza, come usare la Maschera di contrasto per modificare la saturazione locale e come e perché utilizzare il metodo LAB per regolare la saturazione.
Quindi possiamo usare i metodi:
– Tonalità/Saturazione
– vividezza
– Maschera di contrasto
– Metodo Lab
Tonalità/saturazione
Lo strumento Tonalità/saturazione (Immagine->Regolazioni->Tonalità/saturazione) è lo strumento semiautomatico di Photoshop per regolare la saturazione delle nostre foto.
Come si vede dall’immagine qui sopra, consiglio di impostare la modalità “Composita”. Le altre modalità agiscono sui singoli toni di colore, ma per questo utilizzeremo le maschere di saturazione di cui parlerò in un articolo più avanzato.
Sconsiglio di utilizzare i comandi Tonalità e Luminosità di questo strumento. Per quanto riguarda il comando Saturazione, il funzionamento è molto semplice: spostando il cursore a destra aumenteremo la saturazione, spostandolo a sinistra la diminuiremo. La saturazione non va quasi mai diminuita. Quando invece dobbiamo incrementarla, molto raramente la porteremo a un valore maggiore di +20.
Nell’immagine qui sopra ho aumentato la saturazione di 13. In questo modo i colori risultano più puri e accesi. Portandomi oltre questo livello, avrei rovinato questa foto. Ricordatevi sempre di non esagerare con la saturazione: è molto facile sbagliare, nel dubbio fermatevi un po’ prima. Molti fotografi con le regolazioni sulla saturazione finirebbero qui; tuttavia ci sono altri metodi per aumentare la saturazione. Vediamoli!
Vividezza
Lo strumento Vividezza di Photoshop ci permette di controllare la saturazione delle nostre foto in modo più protettivo.
Quando aumentiamo la saturazione con lo strumento Tonalità/saturazione, il rischio è che i colori già abbastanza puri prima della regolazione risultino troppo saturi. Lo strumento vividezza ci aiuta ad aggirare questo problema: aumentando la vividezza infatti l’aumento della saturazione dei singoli colori di una foto è proporzionale alla loro saturazione. Ciò significa che ai colori più saturi la saturazione verrà aumentata di un certo livello, mentre la saturazione dei colori già più saturi verrà sì aumentata, ma in misura minore.
La conseguenza di ciò è che tutti i colori della foto avranno un livello sufficiente di saturazione e, restando entro certi limiti, non si avranno sgradevoli picchi di saturazione sui colori più saturi.
Per questo motivo solitamente potremo aumentare la vividezza in misura maggiore di quanto faremo con la saturazione.
Nell’immagine qui sopra ho voluto evidenziare che il comando Saturazione dello strumento Vividezza non va mai utilizzato. Il nome potrebbe ingannare: non è l’equivalente dello stesso comando presente in Tonalità/saturazione, ma dà risultati molto peggiori.
Lo strumento Vividezza non deve però sostituire lo strumento Saturazione, anzi. Personalmente consiglio prima di aumentare un po’ la saturazione senza portarla al limite e poi di agire sulla vividezza. La combinazione ideale Saturazione/Vividezza varia da foto a foto, la troverete con l’esperienza e dopo molti tentativi. Ma in casi particolari, né Vividezza né Saturazione ci permettono di ottenere risultati ottimali. Vediamo allora quali altri strumenti Photoshop ci mette a disposizione.
Saturazione locale con la Maschera di Contrasto
La maschera di contrasto (Filtro->Nitidezza->Maschera di contrasto) è uno strumento di Photoshop nato per modificare il contrasto locale) e il microcontrasto delle foto.
Tuttavia questa aumenta in modo marginale ma molto particolare anche la saturazione delle foto. Aumenta infatti la saturazione locale, ovvero la saturazione dei colori attorno ai bordi presenti nella foto. Questo perché per evidenziare i bordi (funzione principale di questo strumento) viene aumentato sia il contrasto che la differenza di tonalità tra i colori presenti agli estremi dei bordi. Quindi i colori vengono resi più intensi e quindi saturi in modo da risultare più marcati e in modo da mettere in risalto i bordi.
Per isolare questo effetto della maschera di contrasto, duplichiamo il livello di sfondo, chiamiamo il nuovo livello “Maschera Colore” e impostiamo il suo metodo di fusione su Colore (o su Saturazione, non fa differenza). Dopodiché sul livello “Maschera Colore” applichiamo la maschera di contrasto. In questo modo isoleremo gli effetti sulla saturazione senza alterare il contrasto.
Questo “trucco” è particolarmente utile per immagini ricche di piccoli dettagli (come può essere l’immagine qui sopra, alla quale ho applicato questo effetto selettivamente sugli edifici a sinistra del duomo e sulla scalinata, ottenendo un risultato che difficilmente avrei raggiunto altrimenti). Questa tecnica ovviamente ha meno effetto dove il dettaglio è minore, perché vi sono meno bordi da evidenziare.
Per quanto riguarda i tre parametri della maschera di contrasto, consiglio di lasciare Soglia a 0 e di sperimentare diversi livelli di Fattore e Raggio fino a trovare la combinazione che preferite. Nell’immagine sopra potete vedere i parametri che ho usato per la foto d’esempio.
Il medodo Colore Lab
Andando su Photoshop in Immagine->Metodo->Colore Lab, convertiremo lo spazio colore della nostra foto in Lab (solitamente l’impostazione di default in Photoshop è RGB). A differenza dello spazio colore RGB, il Lab ha la caratteristica di mettere su un livello (L) la luminosità e sugli altri due livelli (A,B) i colori. Qualsiasi regolazione sui canali A e B andrà quindi a modificare il bilanciamento del colore e/o la saturazione dei colori della nostra foto senza toccare la luminosità.
Nella stragrande maggioranza dei casi, è consigliabile usare questa funzionalità più avanzata piuttosto che il semplice strumento di Photoshop Tonalità Saturazione. Questo perché con lo spazio colore Lab si ottengono colori più simili a quelli da noi percepiti a differenza di quanto accade con il classico spazio colore RGB.
Per variare la saturazione senza toccare il bilanciamento dei colori, abbiamo bisogno di fare due regolazioni di segno opposto e di uguale intensità su ognuno dei due canali A e B. Più difficile a dirsi che a farsi!
Una volta convertito lo spazio colore in Lab, ci basterà aprire lo strumento Valori Tonali (nelle versioni di Photoshop precedenti alla CS6 si chiama livelli) e effettuare sui canali A e B due regolazioni di segno opposto nell’esempio (per esempio +20 sul livello del nero e -20 sul triangolino del bianco) come illustrato nell’esempio seguente:
Le differenze tra i due metodi si accentuano al crescere del livello di saturazione che andremo ad aumentare. Per piccole regolazioni si può anche lavorare in RGB.
Naturalmente potete anche lavorare con le curve ed altre funzionalità di Photoshop piuttosto che con i valori tonali per ottenere effetti diversi e sperimentare nuove tecniche.
Il Fotoritocco – Come eliminare i difetti dalle foto
Molto raramente abbiamo la possibilità di creare una composizione fotografica senza elementi di disturbo, soprattutto nei generi di fotografia esterni allo studio fotografico (paesaggio, architettura, matrimonio, ecc.).
In questi casi abbiamo due alternative radicalmente diverse tra cui scegliere. Possiamo infatti tentare di dare risalto a quelli che pensavamo fossero elementi di disturbo, trasformandoli in elementi di sfondo oppure addirittura nel soggetto principale dell’immagine.
L’esempio ideale è quello di un fotografo intento a catturare un paesaggio montano “deturpato” da tralicci dell’alta tensione, il quale decide di mettere questi al centro della composizione per esaltare la drammaticità della situazione.
Non sempre però si sceglie questa strada. Se ad esempio all’interno di un paesaggio incontaminato ci sono dei piccoli e isolati elementi di disturbo (come delle automobili parcheggiate in riva ad una spiaggia) che non possono aggiungere nulla alla foto o che non vorremmo inserire nella composizione, allora dobbiamo ingegnarci per evitarli.
I metodi sono sostanzialmente due e non per forza l’uno esclude l’altro, ma anzi spesso è da un loro utilizzo congiunto che si ottiene il meglio. Il primo consiste nell’escludere gli elementi di disturbo in fase di scatto cambiando la composizione che originariamente avevamo trovato, il secondo è il fotoritocco cioè l’eliminazione dei difetti in post produzione. In questo articolo approfondiremo proprio quest’ultimo argomento.
Il fotoritocco ha il pregio che permette di mantenere la composizione originale (non dovremo più spostare la fotocamera per evitare l’elemento di disturbo), ma ha anche il difetto che, se le zone da clonare sono ampie, un eccessivo cloning (sinonimo di clonazione/ritocco) può risultare artificioso, soprattutto se visto dagli occhi di un esperto e se eseguito da chi non ha abbastanza tecnica. In questo articolo quindi vedremo:
1) Quando usare il fotoritocco (quando cioè preferirlo alla revisione della composizione in fase di scatto);
2) Come effettuare il fotoritocco con Photoshop.
Quando usare il fotoritocco
Come detto, se abbiamo deciso di escludere l’elemento di disturbo, le soluzioni possibili sono due: escluderlo in fase di scatto o in post produzione.
1) Nel caso in cui gli elementi di disturbo sono piccoli e poco frequenti (una o due automobili in lontananza in un paesaggio, un piccolo brufolo su un viso, ecc.) possiamo scattare come se non ci fossero e rimuoverli in seguito in Photoshop senza che il fotoritocco sia minimamente osservabile sull’immagine finale;
2) Se abbiamo elementi di disturbo piccoli ma molto frequenti (molte automobile ben distanziate fra loro in lontananza, molti ma piccoli brufoli, ecc.), la clonazione in Photoshop sarà comunque molto efficace. Infatti il risultato finale nel fotoritocco è generalmente tanto migliore quanto più i punti da clonare sono piccoli (indipendentemente dalla loro frequenza). In fase di scatto quindi possiamo dare poca importanza agli elementi di disturbo, evitandoli soltanto se ciò non comporta un peggioramento nella composizione per risparmiarci parte della mole di lavoro in Photoshop;
3) Al crescere della dimensione dell’elemento di disturbo bisogna prestare sempre più attenzione alla fase di scatto, dato che diventa sempre più difficile ottenere un risultato pulito con il ritocco in Photoshop;
4) Quando l’ostacolo è troppo grande per essere cancellato con Photoshop, dobbiamo escluderlo in fase di scatto. L’esclusione può essere anche parziale se si prevede di poter recuperare la foto in Photoshop e un’esclusione totale dell’elemento avrebbe peggiorato la composizione.
Ma quando un elemento è troppo grande o abbastanza piccolo per essere cancellato in Photoshop? Ciò dipende dallo sfondo su cui questo si trova.
Se ad esempio l’oggetto da ritoccare è un palo della luce che ha attorno a sé solo un cielo azzurro completamente uniforme, il ritocco sarà un gioco da ragazzi anche se il palo occupa più della metà del cielo.
Se invece lo sfondo è più irregolare e quindi difficile da replicare (la facciata di una chiesa, un villaggio in lontananza, un persona, ecc.), l’elemento di disturbo dovrà essere molto più piccolo per poterlo cancellare agevolmente. Quindi:
Il fotoritocco è tanto più semplice quanto più lo sfondo è omogeneo, e viceversa.
Passiamo alla fase tecnica e vediamo come ritoccare le nostre foto in Photoshop.
Come effettuare il fotoritocco con Photoshop
In Photoshop uso essenzialmente quattro strumenti per il fotoritocco che in ordine di frequenza di utilizzo sono:
– il pennello correttivo,
– le maschere di livello,
– il pennello correttivo al volo,
– il pennello
La combinazione che utilizzo più di frequente (circa il 90% dei casi) è pennello correttivo + maschere di livello. Vediamoli nel dettaglio!
Una volta selezionato il pennello correttivo, la vostra barra delle opzioni sarà uguale a quella qui sopra.
Il pennello correttivo permette di campionare un’area di un’immagine e di clonarla per coprire l’elemento di disturbo.
Selezionate la dimensione (in base alla dimensione dell’oggetto da clonare) e la durezza (sto sempre sotto il 10% per evitare artefatti) del pennello.
Dopodichè passate al metodo: Photoshop imposta “Normale” come metodo di default. Tuttavia nella stragrande maggioranza dei casi dovremo usare il metodo “Sostituisci”. Con quest’ultimo si fa una clonazione identica dell’area campionata. Con “Normale” invece Photoshop mantiene in parte la luminosità e/o il colore dell’elemento coperto, rendendolo spesso ancora parzialmente visibile e quindi si avrà un fotoriticco innaturale e incompleto.
L’opzione Campiona sarà quasi sempre impostata su “Tutti” tranne il caso in cui vogliamo campionare solo dal livello selezionato (Opzione “Livello Attuale”).
Per selezionare l’area da campionare, tenere premuto Alt: il cursore cambierà. A questo punto basta cliccare sull’area dell’immagine da campionare. Ora il pennello mostrerà l’area campionata. Non ci resta che dipingere al di sopra dell’elemento di disturbo dopo aver selezionato un’area adatta come campione e questo sparirà.
L’immagine qui sopra permette di capire molto bene come funziona.
L’immagine precedente è un ritaglio al 100% di una mia foto. La clonazione è stata eseguita con pennello correttivo. Per ottenere il cloning qui sopra ho lavorato con pennelli piccolissimi (sempre sotto i 10px di raggio) e con zoom dal 200% al 400%. Il tempo impiegato non è indifferente per poter ottenere risultati di questo livello.
Il pennello correttivo al volo funziona come il pennello correttivo con la sola differenza che con il primo non dobbiamo campionare un area ma dovremo solo dipingere sull’elemento da cancellare. L’algoritmo di Photoshop si occupa di generare il contenuto in base allo sfondo circostante. Essendo uno strumento semi-automatico, è meno potente del semplice pennello correttivo. Infatti Photoshop non può sapere con precisione quale sia l’elemento di disturbo e quale il soggetto da mantenere.
Qui sopra un confronto tra pennello correttivo al volo e pennello correttivo sullo stesso ritaglio di prima. Come vedete la precisione degli strumenti non è nemmeno paragonabile, soprattutto se come nel caso qui sopra la foto è particolarmente complessa. Può essere invece paragonabile al pennello correttivo semplice (se non migliore) nel caso di sfondi perfettamente omogenei o semplici (cielo blu, mare, muro, ecc.).
In combinazione al pennello correttivo, spesso utilizzo le maschere di livello. Questa è la mia tecnica:
Creo un nuovo livello vuoto in primo piano e applico a questo una maschera di livello bianca;
Seleziono il livello vuoto(Cloning) e dipingo con il pennello correttivo su questo. Avendo impostato l’opzione Campiona tutti, verranno campionati i livelli sottostanti (Sfondo). Durante questa fase possiamo dipingere anche oltre l’elemento di disturbo: è importante coprire totalmente quest’ultimo piuttosto che cercare di essere precisi e di non coprire le aree circostanti.
Una volta cancellati tutti gli elementi di disturbo, selezioniamo la maschera di livello e lo strumento pennello, impostiamo il colore su nero e andiamo a nascondere eventuali ritocchi eccessivi o a rendere più graduali le transizioni con un pennello sfumato.
L’immagine qui sopra (ritaglio al 200%) mostra l’efficacia della maschera di livello nel rifinire i contorni di un ritocco. Al punto 1 c’è la foto originale; al punto 2 viene applicato il ritocco con pennello correttivo; al punto 3 le maschere di livello.
L’ultimo strumento che utilizzo è il pennello semplice di Photoshop. Può tornare utile nel caso in cui abbiamo un cielo uniforme davanti al quale c’è un elemento che vogliamo eliminare. Si utilizza un pennello sfumato con colore uguale a quello del cielo e si dipinge sull’elemento di disturbo. Sconsiglio però questa tecnica perchè non ci sarà mai un cielo perfettamente uniforme, vuoi per i difetti della macchina fotografica (rumore), vuoi per le lievi sfumature sempre presenti nel cielo. Una tinta unita risulterebbe quindi innaturale.
In questi casi lo strumento più adatto è il pennello correttivo al volo (sempre con metodo Sostituisci) che si dimostra anche migliore del pennello correttivo.
Fotoritocco nel workflow
Quando effettuare il fotoritocco durante il nostro flusso di lavoro in Photoshop?
Anche se la correzione di difetti come l’aberrazione cromatica va assolutamente fatta prima di qualsiasi altra modifica (l’aberrazione cromatica peggiora con la postproduzione), solitamente il fotoritocco è l’ultimo passo nella mia post produzione, giusto prima dello sharpening.
Infatti al termine della post produzione l’immagine è solitamente più contrastata e quindi, essendo i contorni più definiti, risulta più facile notare eventuali difetti nel cloning.
Nei casi in cui l’elemento di disturbo sia talmente grande da coprire gran parte della composizione e da impedirci quindi di eseguire la post produzione con una buona visione della foto, può essere utile effettuare il fotoritocco in via anticipata (subito dopo la correzione dell’aberrazione cromatica).
Fotoritocco…poco etico?
Uno degli argomenti più discussi in ambito fotografico è la presunta mancanza di “etica fotografica” di chi esegue il fotoritocco. Secondo i sostenitori di questa tesi, la “vera fotografia” si fa con la fotocamera e non con Photoshop.
Se questi soggetti fossero nati negli anni ‘30 sarebbero contrari alla fotografia a colori perchè beh…”La vera fotografia è quella in bianco e nero”. Se fossero vissuti nell’800 sosterrebbero che la fotografia è la rovina dell’arte perchè insomma, “la vera arte è la pittura!”. Se fossero nati in un ipotetico 2100 allora sarebbero fermamente convinti che “La vera fotografia è quella che si faceva un tempo, con Reflex e Photoshop” e non ci sarebbe modo di smuoverli. In sostanza:
Chi rifiuta Photoshop e il fotoritocco non ha più etica degli altri fotografi, è solo indietro di mezzo secolo!
Fino a pochi anni fa sui forum di fotografia si leggevano infinite discussioni dove alcuni sostenevano che i veri fotografi non devono fare post produzione. Oggi questi si sono accorti che evitare la post produzione equivale ad avere un’automobile a benzina e spingerla a mano, così hanno cominciato a fare post produzione evitando le forme più massicce e il fotoritocco e quindi oggi, sugli stessi forum, criticano chi ne fa uso. Quando fra pochi anni si accorgeranno che lo stesso discorso vale per il fotoritocco più pesante, ecco che cominceranno ad usarlo e si schiereranno contro la nuova tendenza (magari il 3D?) salvo poi rivedere di lì a qualche anno la loro posizione e imparare ad utilizzarla quando gli altri saranno già esperti nel settore.
Senza poi contare tutti coloro che non amano abbastanza la fotografia da imparare ad utilizzare seriamente Photoshop e preferiscono convincersi che la vera fotografia si faccia senza post produzione.
Quindi non fatevi condizionare da chi sostiene certe assurdità e imparate ad usare al meglio tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per poter ottenere il massimo. Perchè come sostengo sempre, oggi la differenza non la fanno più reflex, l’ottica o la pellicola, ma Photoshop e la nostra fantasia/tecnica in fase di post produzione.
Script di Photoshop
Vorreste automatizzare una serie di operazioni in Photoshop ma le azioni non sono più sufficenti?
Non c’è dubbio, gli script sono proprio ciò che state cercando.
Cos’è uno script? Uno script è un programma informatico. Quindi per creare uno script bisogna conoscere un linguaggio di programmazione. Nel caso specifico degli script di Photoshop, possiamo utilizzare tre linguaggi: JavaScript, VBScript, AppleScript. In questa guida mi riferirò al JavaScript poichè è il più usato dei tre e funziona sia su Windows che su Mac.
In questo articolo vedremo prima come installare ed eseguire uno script (il che è alla portata di tutti), mentre nella seconda parte vedremo come creare uno script. Quest’ultima parte è rivolta solo a coloro che hanno già dimestichezza con uno dei tre linguaggi indicati poco prima.
Usare uno script
Utilizzare uno script è alla portata di tutti. Uno script è un file con estenzione jsx (o più raramente js o jsxbin).
Per utilizzare lo script abbiamo due alternative: possiamo installarlo oppure possiamo lanciarlo senza doverlo installare.
Per installare lo script copiatelo nella cartella apposita (C:ProgrammiAdobeAdobe Photoshop CSXScripts su Windows; ApplicazioniAdobe Photoshop CSXScripts su Mac, dove X è la versione del vostro Photoshop).
Dal prossimo avvio, potrete eseguire lo script direttamente da Photoshop: lo trovate nel menu “File->Script” sotto lo stesso nome del file che avete copiato.
La seconda alternativa è eseguire lo script senza installarlo. Da Photoshop andate su “File->Script->Sfoglia…”, scegliete il vostro script e caricatelo. In questo modo è possibile eseguire lo script senza che questo venga caricato ad ogni avvio di Photoshop.
Creare uno script
In questa seconda parte dell’ articolo non vi voglio spiegare il linguaggio JavaScript (che dovreste imparare come prerequisito), nè gli oggetti, le funzioni e le proprietà specifici di ExtendScript (l’estensione di JavaScript creata dalla Adobe); a questo proposito vi rimando alle documentazioni sullo scripting in Photoshop e su ScriptUI (scriptUI è il modulo di ExtendScript che definisce l’oggetto window, ovvero le finestre di dialogo con cui l’utente finale interagisce con lo script).
Voglio invece parlare di Adobe ExtendScript Toolkit. Cos’è ExtendScript Toolkit? Per creare uno script si potrebbe usare un semplice editor di testo. Tuttavia ExtendScript Toolkit, l’ambiente di sviluppo di ExtendScript, rende il lavoro più facile.
Infatti, come vedete dall’immagine qua sopra, ExtendScript colora il codice in modo da renderlo più leggibile, aiuta l’utente in fase di scrittura mediante l’auto suggerimento (punto 1 nell’immagine), dispone di una Console JavaScript (punto 2), permette di eseguire il debug del codice all’interno di uno dei software Adobe installati sul PC attraverso l’interfaccia che vedete nell’immagine (punto 3) e molte altre funzionalità.
L’interfaccia è molto intuitiva. Ciò che davvero conta nella buona riuscita dello script è il vostro livello di competenza con il JavaScript. Una volta completato lo script e verificato il suo funzionamento con il debug, non vi resta che esportarlo. Fate click su “File->Salva con nome...” e scegliete il nome del file e la cartella di destinazione. A questo punto il vostro file è pronto per essere eseguito in Photoshop. È possibile anche salvare il file con estensione jsxbin (File->Esporta in formato binario...): il file viene criptato e nessun utente potrà leggerlo. Lo scopo è proprio quello di evitare che il codice venga manipolato. Tuttavia non è assicurata la compatibilità di un file jsxbin sulle versioni di Photoshop precedenti alla CS4.
Infine vi segnalo l’interessante plugin Scripting Listener (lo trovate a questa pagina) Il quale registra in un file di testo il codice corrispondente ad ogni azione che eseguite in Photoshop. È molto utile: potete ad esempio eliminare un livello di un’immagine di Photoshop, copiare il codice che Scripting Listener ha loggato e inserirlo nel vostro script all’interno della funzione eliminaUnLivello() per poterla poi richiamare in qualsiasi punto dello script.
Per installare Scripting Listener, se siete su Mac scaricate il file dmg, decomprimetelo e copiate la cartella Utilities in ApplicazioniAdobe Photoshop CSXPlug-ins.
Se siete su Windows, scaricate il file zip, decomprimetelo e copiate la cartella Scripting_Win32 (o Scripting_Win64, a seconda dei bit del vostro sistema operativo)in C:ProgrammiAdobeAdobe Photoshop CSXPlug-ins.
Dal prossimo avvio di Photoshop comparirà sul Desktop il file di testo ScriptingListenerJS. Qui vengono loggate man mano tutte le vostre operazioni. L’unico modo per disattivare Scripting Listener è eliminare la cartella che avete copiato in fase di installazione.
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