Elenco argomenti
– Ortottica
– Esame della vista
– Test di Amsler
– Test di Ishihara
– Test per l’astigmatismo
– Test duocromatico
– Ottotipo per vicino
– Ottotipo per lontano
– Strabismo
– Ambliopia
– Motilità oculare
– Ipovisione
– Videoingranditore elettronico
– Piccoli telescopi
– IOL-Vip revolution
– Contattologia
– Lenti a contatto
– Ortocheratologia
– Applicazione lenti a contatto
– Astenopia
– Ergonomia visiva
– Test di Hess Lancaster
– Ecobiometria
– Occhio secco
– Oculometria
ORTOTTICA
L’ortottista (o dottore in ortottica e assistenza oftalmologica) è un professionista sanitario che lavora in campo oculistico aiutando appunto l’oculista, detto anche oftalmologo (da cui deriva il nome assistenza oftalmologica), con particolare competenza nella prevenzione, nella valutazione e nella riabilitazione visiva e dei disturbi motori e sensoriali della visione.
Questa figura si distingue nettamente da quella dell’oculista, medico specialista in oftalmologia. L’oculista è l’unico professionista abilitato ad eseguire diagnosi, interventi chirurgici sul bulbo oculare e i suoi annessi ed a prescrivere farmaci e terapie.
Le attività dell’ortottista, sia come dipendente di una struttura sanitaria che come libero professionista, comprendono:
–Esame della refrazione
– Valutazione e trattamento dello strabismo di qualsiasi origine e a qualsiasi età
– Valutazione e trattamento dell’ambliopia
– Valutazione e trattamento dei vizi refrattivi complessi
– Valutazione e trattamento dei disturbi complessi della motilità oculare e della visione binoculare anche conseguenti a patologie di origine neurologica, endocrinologica, traumatica ecc.
– Valutazione e riabilitazione degli handicap visivi infantili
– Riabilitazione delle anomalie della visione binoculare e deficit visivi che possono creare alterazioni della postura o scarse performance visive negli atleti e sportivi.
– Trattamento dell’ipovisione in età pediatrica e adulta
– Contattologia
– Prevenzione delle anomalie e dei disturbi visivi principalmente in età prescolare e scolare attraverso programmi altamente specializzati di screening nelle scuole materne ed elementari, nei consultori pediatrici, nei reparti di neonatologia e pediatria.
– Partecipazione alla prevenzione dell’astenopia, o sindrome da affaticamento visivo, che può colpire chi lavora al video terminale o PC
– Partecipazione attiva prima, durante e dopo l’intervento chirurgico sui muscoli extraoculari.Coadiuva il chirurgo oftalmologo sul dosaggio chirurgico.
– Partecipazione attiva prima, durante e dopo l’intervento di chirurgia refrattiva
– Assistenza oftalmologica in sala operatoria in interventi di chirurgia oftalmica (interventi del segmento anteriore, di cataratta, del segmento posteriore, di chirurgia refrattiva)
– Raccomandazioni di Ergonomia visiva per l’accessibilità alla lettura nei pazienti dislessici o con altri disturbi di apprendimento.
– Collaborazione con le altre figure mediche per la definizione di percorsi diagnostico – riabilitativi in pazienti neurologici e traumatizzati cranici.
– Esecuzione degli esami strumentali oculistici per la diagnosi delle patologie oculari:
– esame computerizzato e manuale del campo visivo
– elettrofisiologia
– tonometria
– ecobiometria
– topografia corneale
– pachimetria
– fluorangiografia
– Test di Schirmer
– tomografia ottica a coerenza di fase (OCT)
– esami diagnostici per glaucoma (es. HRT, GDX, FDT)
– test della sensibilità al contrasto
– test del senso cromatico (Test di Farnsworth, Tavole di Hishihara)
– schermo di Hess-Lancaster
– Test visuo-percettivi nei pazienti affetti da DSA (disturbi specifici di apprendimento).
La refertazione di tali esami rimane compito e peculiarità del Medico Oculista, così come la diagnosi e il trattamento delle patologie del sistema visivo, ivi comprese quelle oculomotorie in particolare di origine neurologica.
Riabilitazione ortottica
La riabilitazione ortottica si avvale di: Esercizi ortottici (training ortottico e trainig visivo), occlusioni e penalizzazioni, terapia prismatica, addestramento agli ausili ottici, educazione all’ igiene visiva, ecc..
La riabilitazione ortottica è rivolta al trattamento di:
– Ambliopia
– Deficit della motilità oculare: strabismo, paralisi e paresi muscolari oculari, nistagmo
– Disfunzioni accomodative e fusionali
– Alterazioni dell‘oculomotricità
– Astenopia (affaticamento visivo)
– Diplopia
– Alterazioni del campo visivo (emianopsia, ecc..)
– Ergonomia visiva per i videoterminalisti e per l’accessibilità alla lettura nei dislessici
– Anomalie della visione binoculare e deficit visivi che possono creare alterazioni della postura o scarse performance visive negli atleti e sportivi.
In Italia
La formazione dell’Ortottista è, da sempre (già dal 1954), solo ed esclusivamente universitaria ed il suo corso di laurea triennale in Ortottica è associato alla facoltà di Medicina e Chirurgia. L’Ortottista è l’unico professionista ad essere regolamentato, abilitato e specializzato in Italia nella Prevenzione, nella Valutazione e nella Riabilitazione dei disturbi visivi e nell’esecuzione di tutti gli esami oftalmologici (oltre ovviamente al Medico Oculista).
La professione di Ortottista – Assistente in Oftalmologia è regolamentata dal Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n. 74328, dalla legge n. 251 del 10 agosto 2000 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 208 del 06/09/2000.
Gli sbocchi professionali, dopo la Laurea e gli esami di abilitazione, sono impieghi presso:
– Strutture del Servizio Sanitario Nazionale o analoghe strutture private: ospedali, cliniche, ambulatori, studi medici, centri di riabilitazione
-Servizi di medicina: di base, legale, scolastica, preventiva, del lavoro, sociale.
– Istituti per ipovedenti.
– Istituti di neuropsichiatria infantile.
– Attività didattiche e di tutorato nei Corsi di Laurea e nei corsi di formazione e di aggiornamento
– Attività di ricerca clinica e sperimentale
– Lavoro autonomo, libero-professionale.
L’ortottista assistente in oftalmologia per effetto del DM 743/94 e della risposta del Ministero della Sanità alla Corte dei Conti (prot.900.6-PR II Ag 100/3507 del 10.12.04) valuta le disabilità visive ed esegue tutti gli esami di diagnostica oftalmica. In Italia l’ambliopia va prevenuta in ottemperanza al D. Lgs. 626 del 19 settembre 1994 come modificato dal D. Lgs. 242 del 19 marzo 1996.
Tra le associazioni di riferimento troviamo:
– a livello nazionale: AIOrAO (Associazione Italiana Ortottisti Assistenti in Oftalmologia) e ASMOOI (Associazione sindacale Medici Oculisti e Ortottisti)
– a livello europeo: OCE (Orthoptistes de la Communauté Européenne)
– a livello internazionale: IOA (International Orthoptic Association)
1) ESAME DELLA VISTA
Con il termine refrazione oculare (inglesismo del termine più generico rifrazione) intendiamo le caratteristiche rifrattive dell’occhio quando si trova allo stato di riposo; vale a dire le caratteristiche diottriche che possiede l’occhio in virtù della sua forma e di quella delle sue parti componenti, indipendentemente dall’azione muscolare, indipendentemente dall’accomodazione. Questo termine si applica allo stato rifrattivo dell’occhio quando i muscoli dell’accomodazione sono inattivi o paralizzati (per esempio sotto l’influenza dell’atropina o di un altro cicloplegico). Quindi, la refrazione oculare dipende dalla condizione anatomica delle parti costituenti l’occhio; l’accomodazione invece dipende dall’azione fisiologica dei muscoli.
Misura della refrazione
La misura della refrazione è l’esame visivo comunemente, e impropriamente, detto “misurazione della vista”. Solitamente, inizia con la determinazione della capacità visiva in termini di acuità. Qualora l’acuità visiva risulti compromessa, oppure siano presenti sintomi di affaticamento visivo o di alterazione della visione binoculare, si passa a determinare la presenza di un eventuale ametropia, ossia di un difetto ottico oculare che sfuoca le immagini sulla retina. Compito dell’esame rifrattivo è quello di determinare l’entità del difetto ottico e di prescriverne la correzione. L’entità del difetto è espressa in diottrie, l’unità di misura che indica la potenza delle lenti correttive. L’esame rifrattivo si avvale sia di metodi oggettivi, più grossolani, ma che non richiedono la diretta collaborazione del soggetto esaminato, sia di metodi soggettivi, più accurati, ma che richiedono invece la partecipazione attiva della persona esaminata. Gli esami oggettivi più comuni sono la schiascopia (o retinoscopia) e l’autorefrattometria. L’esame soggettivo si effettua con l’ausilio di lenti di prova o con il forottero. Se con la migliore correzione ottica non si ottiene una normale acuità visiva, ci sono altre cause che compromettono questa capacità. Queste possono essere:
– una non corretta maturazione visiva (ambliopia);
– opacità o irregolarità dei mezzi ottici oculari: cornea, cristallino, umor acqueo, umor vitreo:
– danni retinici;
– danni alle vie ottiche.
Compito di altri esami diagnostici è quello di stabilire queste eventualità. Il professionista che si occupa della misura della refrazione oculare è l’optometrista
– L’esame della refrazione è un’esame effettuato dallo specialista oculista durante il quale viene determinata la capacità visiva del paziente.
– Dopo l’esame della refrazione si arriva alla formulazione di una diagnosi e all’indicazione di un’eventuale prescrizione terapeutica.
Se viene riscontrato durante l’esame della refrazione un difetto visivo, generalmente viene prescritta una correzione ottica con lenti a tempiale o a contatto.Nel caso non vi siano particolari patologie concomitanti, locali o sistemiche, il controllo annuale è sempre consigliato.
Spesso ci viene chiesto perché i risultati di misurazione dei test della vista sono differenti, anche quando due esami sono effettuati in breve successione. I fattori che possono determinare risultati differenti nel test soggettivo della refrazione sono vari. Noi siamo in grado di indicarvi esattamente quali sono questi fattori e che cosa potete fare per assicurarvi risultati ottimali.
L’efficienza visiva dei nostri occhi subisce infatti lievi variazioni nel corso della giornata. Uno dei fattori che la influenza è il bioritmo. Le nostre condizioni fisiche non rimangono invariate nell’arco della giornata e quindi anche l’efficienza visiva dei nostri occhi è soggetta a variazioni. Il tasso ormonale e quello glicemico nel sangue svolgono un ruolo fondamentale nel determinare la qualità della nostra visione. Ad esempio, se vi sottoponete ad un controllo degli occhi prima di colazione, oppure se prima dell’esame avete bevuto poco, i risultati potrebbero venirne influenzati.
Oppure, prima di recavi dall’Ottico-Optometrista avete lavorato tutto il giorno al computer. Ne consegue che sbattete meno le palpebre ed i vostri occhi sono meno idratati dal liquido lacrimale. Questa condizione può determinare secchezza ed affaticamento degli occhi e quindi influenzare il risultato dell’esame.
I nostri suggerimenti:
– Quando vi recate dall’Ottico-Optometrista o dal Medico Oculista per l’esame della vista, cercate di essere il più possibile riposati e rilassati.
– Non sottoponetevi mai al test a stomaco vuoto o assetati.
– Tenete conto del vostro bioritmo e prendete un appuntamento per quando vi sentite in forma e riposati.
– Chi solitamente indossa lenti a contatto dovrebbe portare gli occhiali durante le 24 ore che precedono l’esame. Le lenti a contatto modificano la geometria della cornea e pertanto l’efficienza visiva durante l’esame.
– Le fluttuazioni nell’efficienza visiva sono spesso causate dall’assunzione di farmaci, ad esempio può essere pregiudicata la secrezione di liquido lacrimale. Ne consegue secchezza degli occhi e un possibile affaticamento visivo.
– Inoltre, è ben noto che il diabete può determinare fluttuazioni nell’efficienza visiva durante la giornata. A chi soffre di diabete si raccomanda di sottoporsi ad un esame della vista in momenti diversi durante la giornata e, se necessario, di consultare un Oftalmologo.
Esame della vista
L’esame del visus costituisce solitamente la prima parte della visita oculistica, ed è sicuramente la parte più famosa.
Un comune fraintendimento vuole che sia la parte più importante, finalizzata alla prescrizione degli occhiali. Dal punto di vista del Medico Oculista invece, la misurazione della vista è principalmente un indice generale della salute dell’occhio.
L’esame inizia con l’autorefrattometria, un esame in cui un apparecchio automatizzato misura l’occhio e fornisce dati di massima sulle lenti di cui l’occhio ha bisogno per raggiungere la visione più nitida.
Il paziente si siede quindi su una poltrona posta ad una distanza nota dalla tabella che presenta le lettere e gli viene chiesto di leggerle, prima con un occhio, con o senza lenti correttive, e poi con l’altro.
Successivamente viene misurata la visione per vicino, tramite la lettura di testi i cui caratteri hanno una dimensione nota.
Tramite questo esame si misura dunque l’acuità visiva, ovvero la capacità di distinguere due segni fra loro distinti (le linee di cui si compongono le lettere).
MISURAZIONE DELLA VISTA
STRABISMO
Lo strabismo consiste in una deviazione degli assi visivi causata da un malfunzionamento dei muscoli oculari estrinseci che può non dare conseguenze evidenti ma che spesso porta alla perdita di un importante indizio di profondità. Infatti la differenza tra le due immagini dei due occhi permette al sistema nervoso di valutare la distanza degli oggetti, purché queste due immagini siano simili abbastanza da venire associate.
Quando questa capacità di rilevare profondità è presente si dice che c’è stereopsi; un grado sotto a questa è la fusione delle immagini che dev’essere presente perché possa esserci stereopsi ma che può esistere in sua assenza. Il cervello riesce ad associare i segnali provenienti dalle due retine ma non ne trae informazioni (può capitare quando le parti che avrebbero dovuto svolgere quest’ultima funzione sono disabituate a farlo per problemi che erano presenti ed ora sono stati risolti); il terzo grado, basilare per la presenza degli altri due, è la percezione simultanea dei due occhi.
Disparità di fissazione
Una deviazione oculare rappresenta una mancanza di orientamento della fovea (la zona centrale della retina responsabile della visione distinta) verso un oggetto (l’allineamento corretto dei due occhi è detto invece ortoforico).
La disparità è causata da una differenza nel processo di fissazione dei due occhi in convergenza. Quando tale disparità è compresa nell‘area di Panum, ovvero in quella porzione di spazio in cui sussiste una tolleranza nel processo di convergenza, non si presentano deviazioni degli assi visivi; quando essa è, invece, superiore si manifesta eteroforia, ovvero una situazione di strabismo latente (eterotropia). In quest’ultimo caso lo strabismo è percepibile.
Classificazione
Lo strabismo è classificabile in:
– Eteroforia
– Eterotropia
Inoltre, si divide in:
– Strabismo concomitante (la deviazione si mantiene costante nelle differenti direzioni dello sguardo), del quale esistono due forme:esotropia ed exotropia.
– Strabismo incomitante (la deviazione varia nelle differenti direzioni dello sguardo).
La deviazione può essere:
– verso l’interno (strabismo convergente) oppure
– verso l’esterno (strabismo divergente), o
– verso l’alto o il basso (strabismo verticale).
Esiste poi il cosiddetto pseudostrabismo: in questo caso il disturbo è solo apparente perché l’anomalia è data dalle palpebre e dalle orbite.
Eteroforia
L’eteroforia (o strabismo latente) è rilevabile annullando il processo di fusione delle immagini; in questo caso non è per nulla compromessa la visione binoculare.
Eterotropia
L’eterotropia (o strabismo manifesto) è la condizione in cui si ha la perdita della visione binoculare: un occhio appare deviato, mentre l’altro è allineato con l’oggetto d’interesse.
Strabismo concomitante
Lo strabismo concomitante è quel tipo di strabismo in cui l‘angolo dell’occhio deviato rimane costante in qualsiasi direzione di sguardo. Viceversa, lo strabismo non concomitante è quel tipo di strabismo in cui l’angolo dell’occhio deviato cambia a seconda della direzione di sguardo. È una forma tipica del bambino e si verifica quando la direzione degli assi visivi non si modifica nelle varie direzioni di sguardo e non si modifica a seconda dell’occhio fissante.
Forme esotropiche
– Esotropia essenziale infantile
– Esotropia accomodativa
– Esotropia sensoriale
– Esotropia concomitante acuta
Strabismo paralitico
– Miastenia
– Miopatia distiroidea
– Sindrome da retrazione del bulbo oculare di Stiling-Turk-Duane
– Sindrome della guaina del muscolo obliquo superiore di Brown
Strabismo di Venere
L’origine dell’espressione “strabismo di Venere” deriva da quel piccolo e unico difetto che rese celebre Venere – dea della bellezza, dell’amore e della fertilità – come nel dipinto La Nascita di Venere di Botticelli (1483-1486 circa). Lo strabismo di Venere non fa parte della classica terminologia clinica, ma è un termine di uso popolare per descrivere una leggera forma di strabismo divergente, non prettamente femminile, ma anche maschile. Alcune popolazioni aborigene considerano le persone affette da strabismo come toccate dagli dei. La leggenda narra che gli strabici fossero figli di Satana e per questo persone molto cattive.
CHIRURGIA dello strabismo
AMBLIOPIA
L’ambliopia, in oftalmologia, è un’alterazione della visione dello spazio che viene a manifestarsi inizialmente durante i primi anni di vita. Il termine deriva dal greco e, più esattamente, da “ops” (che significa “visione”) e “amblyos” (che significa “ottusa, pigra”). Il suo nome comune è occhio pigro.
L’effetto principale è un comune deficit dell’acutezza visiva e si considera ambliope un occhio che abbia almeno una differenza di 3/10 rispetto all’altro, oppure un visus inferiore ai 3/10. Ne è affetto circa il 2% di tutta la popolazione e il 4-5% dei bambini; essa è considerata una delle prime cause di deficit visivo nei giovani sotto i 20 anni. Una diagnosi precoce può, nella maggioranza dei casi, prevenire difetti permanenti.
In generale, l’ambliopia non peggiora con il tempo perché, semplificando, non è dovuta al danno di un organo sano che si può curare, ma ad uno sviluppo non sufficiente della vista che può avere luogo unicamente durante l’infanzia. Perciò è da escludersi l’ipotesi di una ulteriore perdita di decimi in età adulta, mentre è vero che l’ambliopia si stabilizza in modo permanente al termine della cosiddetta “età plastica” (intorno agli 8 anni), in cui il bambino sviluppa tutte le sue funzioni organiche. Si stabilizza intorno a quel valore di vista che il bambino non solo ha raggiunto con il bendaggio, ma ha conservato per un periodo di tempo lungo a sufficienza per far sviluppare le connessioni degli occhi con il cervello, che gli avrebbero consentito di vedere bene in maniera permanente.
In alcuni casi, tuttavia, il paziente ha bisogno di costanti terapie cure e controlli oculistici, in particolare di riabilitazione visiva, antiambliopica, di rafforzamento delle residue capacità visive, con lo scopo di antagonizzare possibili ulteriori cali visivi in entrambi gli occhi.
In età adulta, il cervello è ormai abituato a ricevere la visione da entrambi gli occhi e non può più ignorare l’immagine proveniente dall’occhio deviato, per cui lo strabismo provoca visione doppia.
Tipi di ambliopia
L’ambliopia è di solito monolaterale (colpisce un solo occhio), ma può presentarsi anche in forma bilaterale (può interessare entrambi gli occhi). Quando siamo in presenza della prima, può essere associata allo strabismo, mentre la seconda si associa invece più frequentemente con il nistagmo.
Si definisce funzionale un’ambliopia in cui le strutture dell’occhio appaiono sane e funzionali. Infatti l’anomalia è legata a un non corretto sviluppo visivo e neuronale; usualmente, quando non si precisa il tipo di ambliopia, ci si riferisce proprio a questo. Infatti, il cervello “disattiva” le immagini che arrivano da un occhio perché, ad esempio, non riesce a combinarle con quelle provenienti dall’altro occhio, per cui non si viene a creare l’effetto della tridimensionalità. Infatti, negli occhi, quello dominante riceve e mette a fuoco l’immagine, mentre l’altro aiuta ed è necessario per creare la tridimensionalità, funzione che viene meno nell’occhio pigro. L’occhio pigro in altre parole non è mai quello dominante (o cessa di essere tale, quando compare l’ambliopia), nel senso che il cervello “rinuncia” alla tridimensionalità della visione per mantenere almeno una più importante vista bidimensionale perfetta, rendendo dominante l’occhio che permette la vista migliore (perché migliore dal punto di vista organico e funzionale).
L’ambliopia convive con la perdita di visione binoculare: l’ipotesi più diffusa è che l’ambliopia sia la causa primaria, cui segue come effetto in un secondo momento successivo la presenza di un disallineamento fra i due occhi o di un singolo occhio non messo a fuoco, cose che possono dare luogo a un’immagine doppia (diplopia) o vaga. Il cervello sopprime la funzione dell’occhio pigro, soprattutto per evitare questa visione, piuttosto che per evitare una visione non perfetta della tridimensionalità.
Nelle ambliopie di tipo funzionale è frequente la presenza di una deviazione visiva (ambliopia da strabismo), oppure da anisometropia, aniseiconia, errori rifrattivi.
Si definisce organica, invece, quando la probabile causa è legata ad un’alterazione delle vie ottiche, ovverosia una lesione del globo oculare o delle vie visive cerebrali.
Quando è presente un impedimento della visione causato da cataratta congenita, opacità corneale, ametropie elevate o soppressione, l’ambliopia è detta ex anopsia, ovvero da deprivazione o da non visione.
Trattamento
La prima forma può essere trattata, l’ambliopia organica è invece spesso irrisolvibile. Col trattamento si cerca di correggere l’ametropia allorché l’anisometropia non sia troppo marcata. Usualmente viene eseguito un trattamento in tenera età (prima dei 6 anni) tramite l’occlusione dell’occhio che vede bene (bendaggio).
L’occlusore (detto anche “tappo“) è un cerotto adesivo che si mette da tre a sei ore al giorno, nell’arco da 6 mesi a 2 anni, intorno all’occhio “funzionante”, con o senza occhiali da vista a seconda dei casi, per allenare l’altro occhio pigro, costringendolo a compensare la visione. In un secondo momento, viene portato un secondo tipo di occlusore più “soft” (detta “velina“), questa volta sull’occhiale e verso l’occhio pigro, un velo di due-tre millimetri di spessore, sul quale sono disegnati sottili quadretti di colore bianco, e in plastica adesiva da incollare alla lente dell’occhiale, tale da non impedirne la visione. Dopodiché si esegue un dépistage e i risultati sono nella maggior parte dei casi molto buoni.
Nei rari casi di un fallimento del trattamento, ciò è dovuto a una fissazione eccentrica (ovvero non centrale o foveolare): in tal caso esercizi pleottici ad hoc possono migliorare nettamente i risultati.
Nel caso in cui l’ambliopia sia accompagnata da strabismo, occorre dapprima eseguire dei particolari esercizi ortottici e – quando la visione di entrambi gli occhi ha raggiunto valori simili – occorre eseguire un’operazione chirurgica per correggere il problema.
Alcune nuove tecniche si basano sull utilizzo del Filtro di Gabor e la neurostimolazione visiva. Questi nuovi trattamenti sembrano superare il limite di risposta alla stimolazione al di sopra dei 9 anni, con risultati tangibili anche su pazienti adulti.
Trattamento in età adulta
Il bendaggio oculare non può sortire benefici per ambliopie in età adulta perché l’occhio è ormai formato e non più plastico (ambliopie protratte dall’infanzia senza cura, o trattate con successo nell’infanzia e poi ricomparse).Contraria a questa ipotesi di non-plasticità dell’occhio in età adulta, è il presupposto di base dell’intera ortocheratologia, e il risultato che consegue da 50 anni su persone adulte, seppure temporaneo (dura al massimo tre giorni): tramite le lenti a contatto indossate mentre si dorme, consente per la maggior parte dei difetti di visione, un recupero di vista a 10/10 da entrambi gli occhi senza l’uso di occhiali da vista durante il giorno.Questo ed altri tipi di trattamento citati in seguito sono metodi efficaci solo se il normale sviluppo della visione sia stato protratto negli anni dell età pediatrica.Non saranno quindi efficaci per correggere ambliopie non trattate in età pediatrica che lasceranno un deficit permanente nello sviluppo della visione.
Il laser ad eccimeri è una metodica di trattamento che evita lunghi ed estenuanti periodi di bendaggio oculare. Durante l’infanzia, il laser è un’alternativa al bendaggio oculare, mentre in età adulta si presenta come l’unica possibilità di trattamento. Il laser tipicamente interviene su un occhio organicamente sano, per risolvere un problema di tipo funzionale (di movimento, coordinazione, messa a fuoco).
L’ambliopia è curata col laser, ma in un modo completamente diverso dal trattamento al laser per miopia-ipermetropia-astigmatismo, tramite la stimolazione oculare con luce rossa ad onda quadra (flicker) e con IBIS (improved biofeedback integrated system).
Se il tipo di ambliopia colloca il deficit visivo non nell’occhio, ma nelle aree visive del cervello, esistono precisi limiti alla possibilità di trattamento dell’ambliopia col laser in età adulta. Esistono canali che collegano l’occhio al cervello e che si possono sviluppare soltanto fino a sette anni di età: per cui se la vista non è stata stimolata fino a 10/10 in questo periodo della vita con le varie metodiche (occhiali, bendaggio, laser), vale a dire che se l’occhio si è abituato a vedere bene soltanto fino a un certo punto, non è più possibile farlo da adulti e si potrà arrivare al massimo ad avere senza occhiali i decimi di vista più alti ottenuti durante l’infanzia, che sono gli stessi ottenibili con gli occhiali portati dal paziente prima di un qualunque trattamento (non dipende dal trattamento in età adulta, ma da quello che si è raggiunto prima dei 7 anni). In particolare, il laser non può correggere l’ambliopia più di quanto possano fare gli occhiali: se però con gli occhiali si raggiungono i 10/10, è teoricamente possibile arrivare a 10/10 dopo il laser, senza occhiali.
MOTILITA’ OCULARE
Sistema sensorio-motorio
1) Sistema sensoriale
E’ formato da.
– retina,
– nervo ottico,
– vie nervose
che trasmettono gli impulsi elettrici al CERVELLO per la successiva elaborazione in immagini.
2) Muscoli esterni al bulbo oculare
che muovono l’occhio,quattro retti e due obliqui
Se per esempio si vuole guardare verso destra,si contraggono simultaneamente il muscolo retto interno dell’occhio sinistro ed il muscolo retto esterno dell’occhio destro.
3) Muscoli interni
che permettono la messa a fuoco delle immagini
4) Nervi e nuclei encefalici
che ne comandano i movimenti
VISIONE BINOCULARE
– ogni punto della retina ha una precisa direzione visiva
– la FOVEA,la zona di massima acuità visiva,ha come direzione visiva principale quella del dritto davanti a sè che corrisponde al centro del campo visivo.
Quando l’immagine di uno stesso oggetto cade sulle due fovee produce un’unica sensazione che il cervello localizza dritto davanti a sé.
– Ogni punto retinico (e non solo la fovea) ha un punto retinico corrispondente nell’altro occhio avente lo stesso valore localizzativo.
– La visione binoculare è quel meccanismo sensoriale che consente, guardando con due occhi, di vedere sempre una sola immagine.
– Una perfetta collaborazione dei muscoli consente agli occhi di essere sempre allineati tra loro; in questo modo le immagini stimolano i punti retinici corrispondenti.
– In condizioni normali gli assi visivi, le linee immaginarie che uniscono l’oggetto con le fovee, convergono su un unico punto.
– Il cervello riceve così l’immagine di un oggetto, da ciascun occhio, e le unisce in un’unica immagine.
– Questa capacità viene chiamata fusione.
– La fusione funziona solo se le immagini inviate al cervello provengono da punti retinici corrispondenti e se sono uguali per dimensioni e nitidezza.
Tra i due occhi, però, esiste una certa distanza: quindi uno stesso oggetto viene visto da due angolazioni lievemente diverse, per cui le due immagini cadono su due punti retinici non esattamente corrispondenti.
– Anche in questo caso il cervello è in grado di fondere ugualmente le immagini, sfruttando le loro lievi differenze per capirne l’esatta collocazione nello spazio.
Il cervello riesce, così, ad elaborare un’ulteriore informazione, cioè la visione tridimensionale (stereoscopica).
– Si percepisce una sola immagine non solo quando si guarda dritto davanti, ma anche quando si sposta lo sguardo nelle diverse direzioni: un meccanismo di coordinamento tra la funzione sensoriale e quella motoria permette di avere sempre una visione binoculare singola in tutte le direzioni dello sguardo.
– Quando l’equilibrio tra le due funzioni viene meno per qualche motivo, le immagini stimolano punti retinici totalmente non corrispondenti; il cervello percepisce due immagini diverse per ciascun occhio senza riuscire a fonderle: in questo caso si crea diplopia (visione doppia: lo stesso oggetto è percepito in due luoghi diversi), confusione (due oggetti diversi sono percepiti nello stesso luogo) o, in alcuni casi (soprattutto nei bambini), soppressione di uno dei due.
IPOVISIONE
L’ipovisione è una condizione di acutezza visiva molto limitata che ha notevoli conseguenze sulla vita quotidiana. Può essere causata da vari fattori (siano essi congeniti o acquisiti). La vista si può ridurre fortemente in seguito a patologie che possono colpire diverse strutture oculari, che vanno dalla cornea alla retina, fino al nervo ottico.
L’ipovisione può essere associata a malattie che provocano una riduzione del campo visivo. Ad esempio, nel caso del glaucoma avanzato, che danneggia il nervo ottico, è come se si guardasse attraverso un tubo; oppure si può essere colpiti da patologie della macula, la zona centrale della retina (la più comune è la degenerazione maculare senile, che provoca la perdita della visione centrale). L’ipovisione grave può degenerare in cecità, che può essere parziale o totale.
Classificazione della cecità e dell’ipovisione
Per indicare il deficit visivo che porta ad avere una visione ridotta esiste una classificazione specifica:
– La cecità o amaurosi è definita totale quando l’occhio non percepisce affatto la luce.
– La cecità funzionale è presente quando il sistema visivo percepisce la luce, ma è incapace di percepire le forme.
– La cecità legale è presente quando la percezione, non superiore a 1/20 nei ciechi parziali, non permette l’autonomia del soggetto. L’ampiezza del campo visivo è inferiore al 3% per i ciechi totali oppure al 10% per i ciechi parziali (ad entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione).
– l’ipovisione può essere grave (residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 30%), medio-grave (residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 50%) oppure lieve (residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con correzione; residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%).
La fascia d’età è definita statisticamente in un range compreso, il più delle volte, tra i 65 e gli 84 anni.
Anomalie associate
L’ipovedente presenta una ridotta acuità visiva e spaziale, associata generalmente ad una limitazione del campo visivo. Le patologie che possono portare a questo deficit sono molteplici:
– Albinismo: si tratta di una condizione genetica che può comportare una ridotta acuità visiva centrale, fotofobia (intolleranza alla luce) per assenza di melanociti iridei ed elevato errore refrattivo.
– Diabete: è una malattia sistemica caratterizzata da una glicemia elevata. Se non curata correttamente, può provocare danni alla retina retinopatia diabetica, con riduzione dell’acuità visiva centrale (dovuta ad edema retinico, ossia ad accumulo di liquido negli strati retinici maculari).
– Anomalie della cornea: sono essenzialmente il cheratocono in stadio avanzato, opacità di superficie e leucomi.
– Toxoplasmosi: è una malattia associata alla corioretinite girata e provoca un notevole calo dell’acuità visiva centrale.
– Retinite pigmentosa: questa malattia oculare genetica provoca l’atrofia dei recettori retinici deputati alla visione notturna e periferica, i bastoncelli, provocano una diminuzione sensibile della visione notturna e del campo visivo.
– Degenerazione maculare senile e giovanile: è una malattia che colpisce il centro della retina, provocando la morte progressiva delle sue cellule. All’inizio si manifesta con una distorsione delle immagini al centro del campo visivo (le rette diventano curve al centro). Nei casi avanzati compare lo scotoma centrale (una macchia scura al centro del campo visivo): si perde la capacità di svolgere compiti quotidiani, come leggere, riconoscere le persone o guidare. Tuttavia, bisogna distinguere una forma secca (più comune), oggi non curabile, da una forma umida (trattabile con vario esito con iniezioni intravitreali).
– Glaucoma: si tratta di una malattia oculare caratterizzata, il più delle volte, da una pressione oculare elevata che danneggia il nervo ottico. Negli stadi avanzati provoca generalmente una riduzione del campo visivo periferico. Può essere curato mediante instillazione di colliri o, se la pressione dell’occhio non si riduce, mediante trattamento chirurgico (il più comune è detto ‘trabulectomia’).
Metodi correttivi
Nei casi di ipovisione lieve è possibile il miglioramento della messa a fuoco da lontano applicando anteriormente all’occhio un foro stenopeico, che riduce però il campo visivo. I metodi correttivi utilizzati seguono due criteri principali:
– Ridotta acuità visiva, in presenza della quale si utilizzano ausili ottici e non ottici per ingrandire le immagini.
– Riduzione del campo visivo, in presenza della quale si utilizzano ausili ottici che permettono un apparente ampliamento dell’angolo.
Ridotta acuità visiva
Vengono utilizzati ausili ingrandenti, capaci di aumentare le dimensioni dell’immagine. Per aumentare l’ingrandimento si agisce con tre metodologie diverse:
– Ingrandimento della distanza relativa, attraverso ausili ottici
– Ingrandimento angolare, attraverso ausili ottici
– Ingrandimento di grandezza relativa, attraverso ausili non ottici.
Ingrandimento della distanza relativa
Qualsiasi oggetto osservato a minore distanza forma sulla retina un’immagine di dimensioni maggiori. Partendo da questo presupposto, gli ausili ottici utilizzati con questa metodologia sono generalmente lenti positive.
L’ingrandimento è dato dal rapporto tra le distanze di osservazione (con e senza ausilio). Ad esempio: la distanza di osservazione è pari a 30 cm, con l’ausilio a 3 cm: I=d/d’ (con d espresso in metri). Dunque, la formula è la seguente: I=0,30/0,03=10X.
Il potere diottrico necessario per creare questo ingrandimento è dato dall’inverso della distanza espresso in metri: Per determinare l’ingrandimento necessario per ottenere l’acuità visiva richiesta, è possibile rapportare questa con l’abituale. Ad esempio: acuità visiva abituale 2/10, acuità visiva richiesta 4/10 I=4/2=2X.
Ingrandimento angolare
L’ingrandimento angolare è dato dal rapporto tra i due angoli sottesi dall’oggetto osservato e dalla relativa immagine fornita dagli ausili ottici. I principali utilizzati sono:
– telescopio galileiano
– telescopio kepleriano
– telescopio ad occhio d’ape
– sistemi ipercorrettivi per lettura
Il telescopio galileiano è un sistema ottico semplice, composto da una lente anteriore, che funge da obiettivo e è positiva e da una lente posteriore, che funge da oculare negativo. La lunghezza focale dell’obiettivo deve essere pari a quella dell’oculare sommata alla distanza. Da questo si evince che il potere diottrico della lente negativa è decisamente superiore. I vantaggi sono nella praticità dell’ausilio utilizzato (con la limitazione ad un basso numero di ingrandimenti).
Il telescopio kepleriano si differenzia da quello galileiano per la presenza di due lenti entrambe positive, distanziate da una distanza pari alla somma delle due lunghezze focali. Con questo ausilio si aumenta notevolmente l’ingrandimento e la percezione periferica, anche se l’immagine viene capovolta. La lunghezza dell’ausilio risulta quindi maggiore rispetto al telescopio galileiano, per la presenza di un prisma raddrizzatore dell’immagine.
Il telescopio ad occhio d’ape è composto da tre telescopi affiancati. Con questo metodo si aumenta notevolmente l’ingrandimento.
I sistemi ipercorrettivi per lettura sono tecnicamente dei microscopi semplici, ovvero delle lenti positive che sfruttano l’ingrandimento angolare. Per approfondire seleziona sistemi ipercorrettivi per lettura
Ingrandimento di grandezza relativa
Consiste nel sovradimensionare l’oggetto considerato. Gli ausili non sono ottici, ma utilizzano strumentazioni capaci di rendere ingrandita l’immagine attraverso un monitor.
Ridotto campo visivo[modifica | modifica wikitesto]
Nei casi in cui si verifichi una riduzione dell’angolo del campo visivo bisogna considerare che gli ausili che consentono di aumentarlo tendono a ridurre l’acuità visiva. I sistemi impiegati sono essenzialmente i seguenti:
telescopi invertiti
prismi
specchi
lenti anamorfiche
Il telescopio invertito generalmente utilizzato è quello galileiano visto in precedenza, avente modesto ingrandimento.
I prismi, solitamente a struttura di Fresnel si applicano su un occhiale, aventi le basi direzionate dallo stesso lato dell’anomalia, per stimolare zone retiniche ancora funzionali.
Gli specchi, o a riflessione totale o semitrasparenti vengono posizionati dal lato opposto dell’anomalia del campo visivo. Applicati anch’essi ad un occhiale.
Le lenti anamorfiche sono lenti oftalmiche cilindriche accoppiate, capaci di comprimere la dimensione orizzontale dell’oggetto esaminato, mantenendone inalterata l’altezza.
Ridotto campo visivo
Nei casi in cui si verifichi una riduzione dell’angolo del campo visivo bisogna considerare che gli ausili che consentono di aumentarlo tendono a ridurre l’acuità visiva. I sistemi impiegati sono essenzialmente i seguenti:
– telescopi invertiti
– prismi
– specchi
– lenti anamorfiche
Il telescopio invertito generalmente utilizzato è quello galileiano visto in precedenza, avente modesto ingrandimento.
I prismi, solitamente a struttura di Fresnel si applicano su un occhiale, aventi le basi direzionate dallo stesso lato dell’anomalia, per stimolare zone retiniche ancora funzionali.
Gli specchi, o a riflessione totale o semitrasparenti vengono posizionati dal lato opposto dell’anomalia del campo visivo. Applicati anch’essi ad un occhiale.
Le lenti anamorfiche sono lenti oftalmiche cilindriche accoppiate, capaci di comprimere la dimensione orizzontale dell’oggetto esaminato, mantenendone inalterata l’altezza.
Videoingranditore elettronico
Quando si guarda un oggetto direttamente,la sua immagine cade sulla fossetta centrale chiamata MACULA,cioè su quella parte della retina con il maggiore potere risolutivo,mentre la zona di retina intorno a questa fossetta dà un’immagine meno distinta ma importantissima per l’orientamento.
La CATARATTA è un processo di opacizzazione del CRISTALLINO a causa di un fenomeno di ossidazione delle proteine che lo costituiscono.
Quindi le immagini appaiono appannate.
L’aumento della vita media ha determinato anche un aumento dei casi di DEGENERAZIONE MACULARE.
Quindi si ha la perdita permanente della visione centrale.
Dovremo quindi ricorrere ad AUSILI OTTICI INGRANDENTI o a veri e propri piccoli telescopi ingrandenti esterni all’occhio.Questi però determinano una riduzione del campo visivo e che è proporzionale all’ingrandimento usato.
Quindi se si ingrandisce un’immagine 5 volte,se ne potrà vedere solo 1/5 per volta.
Una valida alternativa ai telescopi esterni è rappresentata dalle IOL- Vip Revolution,un mini telescopio intraoculare da inserire nell’occhio dopo l’asportazione della cataratta al posto del cristallino opacizzato.
A differenza del telescopio esterno,questo sistema offre un ingrandimento permanente ,con effetto ingrandente valido sia per vicino che per lontano.
Inoltre il posizionamento delle due lenti produce un effetto prismatico che consente di indirizzare il fascio di luce verso un punto preciso della retina sana.
Questo accorgimento consente di poter disporre di QUASI tutto il campo visivo naturale.
Il punto dove indirizzare il fascio luminoso viene calcolato durante le fasi di valutazione pre-intervento con software dedicato ed un sistema ottico esterno riproducente il risultato finale.
CONTATTOLOGIA
La contattologia è la disciplina che studia la tecnica dell’applicazione delle lenti a contatto.
La contattologia è una specializzazione relativamente giovane, nata nella seconda metà del XIX secolo ad opera di alcuni ottici tedeschi, ma l’invenzione della lente a contatto viene accostato anche al nome di Leonardo da Vinci che pare sviluppò l’idea di accostare un mezzo ottico direttamente sull’occhio (una bacinella sferica riempita con acqua).
LENTE A CONTATTO
Le lenti a contatto sono dispositivi medici in materiale plastico, a forma di piccola calotta trasparente, che vengono applicati sulla superficie oculare indicate per la correzione di ogni difetto di rifrazione (miopia, ipermetropia, astigmatismo), anche se presenti contemporaneamente nello stesso soggetto. Inoltre, le lenti a contatto sono in grado di correggere la presbiopia, variazione della vista legata all’avanzamento dell’età.
Risultano essere una soluzione molto vantaggiosa sia per un uso quotidiano, da mattina a sera, sia per un uso saltuario o finalizzato ad una attività specifica (attività fisica, hobbies), permettendo infatti un maggiore campo visivo. Inoltre, quando sussiste una differenza molto elevata tra un occhio e un altro o diametralmente opposta, le lenti a contatto risultano essere lo strumento di correzione più efficace.
La ricerca e l’innovazione scientifica continuano ad essere gli elementi caratterizzanti la contattologia, che continua ad evolversi nello studio di nuovi materiali, per consentire una sempre maggiore trasmissione di ossigeno alla cornea grazie ad una minore tendenza alla disidratazione. Questo fa sì che le lenti a contatto oggi possano permettere performance elevate nel massimo comfort.
Effettuare una corretta manutenzione è la regola fondamentale per preservare la funzionalità ottimale delle lenti a contatto e garantire la salute oculare. Solo attraverso una gestione corretta delle fasi di manipolazione, rimozione, pulizia e conservazione, si possono ottenere dalle lenti a contatto i migliori risultati ed essere certi di utilizzarle con la massima sicurezza .
Il professionista della visione che si occupa di vendere e fornire questo ausilio visivo è l’ottico o l’optometrista.
Permeabilità e trasmissibilità all’ossigeno
Le principali proprietà dei materiali utilizzati da tenere presente per la costruzione delle lenti a contatto sono: permeabilità all’ossigeno, bagnabilità, durezza, resistenza ai depositi, conducibilità termica, peso specifico e spessore, biocompatibilità.
– Permeabilità all’ossigeno – questa è una caratteristica fondamentale per una buona tollerabilità delle lenti a contatto, dato che la presenza di ossigeno è un fattore indispensabile per il metabolismo corneale. La capacità di trasmettere ossigeno viene indicata come “valore Dk”: “D” rappresenta il coefficiente di diffusione del gas attraverso il materiale, mentre “k” è una costante che indica la quantità di ossigeno presente nel materiale stesso;
– bagnabilità – si definisce così la capacità di un liquido di ricoprire una superficie solida ed ha particolare importanza in relazione al mantenimento del film lacrimale, il cui mantenimento è condizione necessaria per la compatibilità tra occhio e lente;
– biocompatibilità – si definisce in questo modo la mancanza assoluta di reazioni avverse da parte dell’organismo verso un materiale. La ricerca scientifica applicata alla contattologia ha portato alla realizzazione di numerosi materiali che posseggono questa particolare caratteristica.
– La permeabilità è indicata col termine Dk, dove D è uguale alla diffusività di materia attraverso un materiale e K la solubilità della stessa. Questa caratteristica, ovvero la capacità di un materiale di trasmettere attraverso di sé il gas, è fissa per ogni polimero, ma può variare con la temperatura. Fattore di forte influenza nel passaggio dell’ossigeno è anche lo spessore della lente presa in esame. Una corretta valutazione della permeabilità prescinde necessariamente da esso. Per definire quindi l’esatto apporto di ossigeno proveniente alla cornea con l’applicazione di lenti a contatto, bisogna parlare di trasmissibilità all’ossigeno, ovvero del valore Dk posto in relazione con lo spessore t: Dk/t.
Tipi di lenti a contatto
Le lenti a contatto in commercio si suddividono in tre grandi categorie:
– lenti a contatto morbide;
– lenti a contatto rigide;
– lenti a contatto rigide gas permeabili.
1) Lenti a contatto morbide
Le lenti a contatto morbide sono caratterizzate dalla presenza, nella loro struttura, di una percentuale di acqua che va dal 36% al 75% e dalla permeabilità dell’ossigeno (possibilità dell’ossigeno di passare attraverso la lente e raggiungere la cornea).
Normalmente, in condizione idratata, le dimensioni di una lente a contatto morbida sono comprese tra i 13 e i 15mm con uno spessore da 0,06 a 0,4mm. Spesso hanno una leggera colorazione (detta tinta di visibilità o più semplicemente v.t.).
L’elevata quantità d’acqua e il materiale in cui sono realizzate fanno sì che queste lenti a contatto possano sporcarsi facilmente e per questo necessitino di una accurata pulizia.
Le lenti a contatto morbide possono essere scelte, oltre all’esigenza correttiva, in base alla durata di utilizzo, alla quale è importante attenersi scrupolosamente. Il portatore di lenti a contatto può optare per:
– lenti a contatto giornaliere da utilizzare per una sola giornata e poi gettate;
– lenti a contatto disposable o “usa e getta” che possono avere una durata settimanale quindicinale o mensile;
– lenti a contatto ad uso continuo per un porto ininterrotto giorno e notte fino a 30 giorni;
– lenti a contatto a ricambio frequente la cui durata va da 3 a 6 mesi;
– lenti a contatto morbide convenzionali o a sostituzione programmata che durano 12 mesi.
Lenti a contatto rigide
Le lenti a contatto rigide sono più piccole ed hanno una consistenza e una struttura più “sostenuta” rispetto a quelle morbide. Sono realizzate in pMMA (polimetilmetacrilato), sostanza che non si lascia attraversare dall’ossigeno, il quale raggiunge così l’occhio solo attraverso il ricambio lacrimale.
Lenti a contatto rigide gas permeabili
Chiamate anche, impropriamente, semirigide, le lenti a contatto rigide gas permeabili, a differenza delle rigide, si lasciano invece attraversare dall’ossigeno, assicurando così un maggior comfort grazie alla migliore ossigenazione corneale.
Lenti cosmetiche
Sono disponibili due tipi di lenti a contatto colorate: opache e intensificanti.
– Le lenti opache coprono tutta l’iride e, pertanto, la superficie visibile non è altro che il colore della lente stessa;
– le lenti intensificanti non cambiano il colore degli occhi ma rendono più forte quello già presente. Esistono lenti a contatto colorate che oltre ad avere una funzione puramente cosmetica possono correggere i difetti visivi. le lenti a contatto cosmetiche sono sempre dispositivi medici e per questo soggette allo stesso tipo di manutenzione.
Manutenzione
La manutenzione della lente a contatto ha lo scopo di mantenere integre nel tempo le caratteristiche chimico-fisiche del materiale .
La manutenzione ordinaria di queste lenti si divide in diversi processi:
Pulizia
Disinfezione
Risciacquo
Lubrificazione
Pulizia
L’azione di pulizia è essenziale per la rimozione dalla superficie della lente di muco e cosmetici, e precede l’azione disinfettante della stessa. La presenza di questi composti diminuisce l’effetto di disinfezione effettuato posteriormente, diminuisce la bagnabilità del materiale ed il comfort d’utilizzo. Gli agenti pulenti possono essere di natura anionica, non ionica o anfotera. I secondi sono i tensioattivi maggiormente utilizzati, per la loro caratteristica di emulsionare i lipidi, solubilizzando i depositi e rimuovendo i contaminanti presenti nella lacrima.
Disinfezione
L’azione di disinfezione ha come scopo principale il prevenire uno stato patologico iniziale proveniente da un agente eziologico presente sulla superficie della lente a contatto.
Le soluzioni utilizzate per la disinfezione sono composte da uno o più antisettici, quali il Benzalconio cloruro, il thimerosal e la clorexidina, e da un chelante, quale l‘EDTA.
Risciacquo
L’azione di risciacquo ha la funzione di eliminare gli scarti provenienti dall’azione di disinfezione, mantenere la bagnabilità della superficie e svolgere ruolo di tampone, ovvero di mantenere il livello del pH su valori neutri o lievemente basici (intervallo PH=7,0/7,4). Le soluzioni utilizzate sono prevalentemente saline. Vanno utilizzati solamente i liquidi appositi: le lenti a contatto non vanno mai risciacquate sotto l’acqua corrente, che può invece provocare gravi infezioni oculari (causate, ad esempio, da una patologia come la cheratite).
Lubrificazione
L’azione di lubrificazione è necessaria per mantenere l’idrofilia del materiale, essenzialmente idrofobo. L’azione di ricopertura del film lacrimale protegge inoltre la superficie della lente durante l’applicazione, prevenendo la trasmissione dalle dita di depositi sebacei.
I componenti maggiormente utilizzati come agenti umettanti sono l’alcool polivinilico, l’ossido di polietilene, l’idrossietilcellulosa e la metilcellulosa.
ORTOCHERATOLOGIA
L’ortocheratologia è una tecnica non chirurgica con cui è possibile correggere un difetto di vista attraverso l’applicazione programmata di lenti a contatto.
Caratteristiche
Questa tecnica consiste nell’applicazione di lenti rigide gas permeabili (RGP) con una conformazione particolare, detta a geometria inversa. Le lenti per ortocheratologia notturna sono fatte con materiali estremamente permeabili all’ossigeno e si portano solo mentre si dorme: grazie alla pressione palpebrale e alla spinta idrostatica negativa causata dal serbatoio lacrimale periferico, l’epitelio corneale si solleva di pochi micron in modo da ridurre temporaneamente il difetto refrattivo. Quando la lente è sull’occhio si vede bene come con una lente convenzionale; quando al mattino la lente viene rimossa, la cornea mantiene la sua forma modificata e si continua a vedere bene ad occhio nudo per tutto il giorno, senza occhiali e senza lenti a contatto. Dopo un primo periodo di adattamento, la visione nitida ad occhio nudo dura fino a sera inoltrata. Rimettendo le lenti ogni notte si mantiene un effetto stabile nel tempo. Questo trattamento è completamente reversibile: se si desidera interrompere l’uso di queste lenti, è sufficiente un breve periodo di sospensione perché la cornea ritorni alla sua forma originaria.
Indicazioni
Generalmente l’ortocheratologia è indicata nei casi di miopia medio bassa, inferiore a 6 diottrie, nell’ipermetropia fino a 3 diottrie e in alcuni casi di astigmatismo. Anche alcuni casi selezionati di presbiopia possono beneficiare di questa tecnica. L’ortocheratologia è indicata per coloro che non desiderano o non possono portare occhiali o lenti a contatto convenzionali e non possono o non vogliono sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva. Non vi sono limiti di età per questo metodo di correzione. Anche bambini e adolescenti possono essere buoni candidati, purché non presentino controindicazioni alle lenti a contatto. È particolarmente indicata nella fase in cui si osserva una progressione miopica, in quanto recenti studi scientifici controllati hanno dimostrato l’effetto dell’ortocheratologia nel rallentare l’aumento della miopia, specialmente durante uno dei periodi di massima crescita dell’ametropia: l’adolescenza. Generalmente, l’applicazione di lenti per ortocheratologia è controindicata in tutte le situazioni oculari che non consentono l’utilizzo di lenti a contatto di tipo convenzionale. Una visita medica preventiva, alcuni esami pre-applicativi e una prova preliminare sono necessari per stabilire che non sussistano tali controindicazioni.
Efficacia e sicurezza
Già dopo la prima notte di utilizzo delle lenti si possono notare risultati evidenti. I tempi necessari per ottenere la correzione completa e il mantenimento di un risultato stabile dipendono dall’entità del difetto da correggere e dalle variabili individuali di ogni persona. In media, i tempi vanno da pochi giorni a un paio di settimane. A differenza delle normali lenti a contatto, le lenti per ortocheratologia non s’indossano durante il giorno, ma la sera prima di andare a dormire. La loro forma a geometria inversa è studiata apposta per modellare l’epitelio corneale senza provocare sofferenze. Le lenti per ortocheratologia notturna che vengono usate oggigiorno sono molto sofisticate e permettono alla cornea un’ossigenazione naturale al 99%, anche quando la palpebra è chiusa. Tuttavia, l’utilizzo di qualsiasi tipo di lente a contatto comporta una seppur minima percentuale di rischio, non ci si aspetta che l’uso di questo tipo di lenti implichi rischi sostanzialmente maggiori rispetto alle lenti convenzionali, anzi: questo tipo di lente è stato anche approvato dall’associazione americana FDA (Food&Drugs Administration), in quanto è l’unico a non alterare l’endotelio corneale. Alcuni studi hanno evidenziano un aumento delle aberrazioni di alto ordine (astigmatismo irregolare, aberrazione sferica e coma) oltre i valori degli occhi normali. Ciò è dovuto alla variazione del fattore di forma della cornea che è creato dalla lente per consentire una buona visione. Alle volte l’aberrazione può indurre una riduzione della qualità visiva. Con il tempo, i sintomi delle aberrazioni tendono a diminuire, grazie all’adattamento sensoriale, ma in alcuni casi questi disturbi possono rimanere. Poiché l’ortocheratologia non produce dei cambiamenti corneali definitivi ed irreversibili, nella maggior parte dei casi problemi di questo genere si possono risolvere facilmente, modificando i parametri delle lenti fino ad ottenere un risultato soddisfacente, soltanto nei casi più complessi può essere necessario sospendere il trattamento.
Avvertenze
L’uso di ogni tipo di lente a contatto è sicuro solo se ci si sottopone a controlli periodici e si rispettano scrupolosamente le regole di utilizzo e di igiene spiegate dall’ottico contattologo o dall’optometrista. È inoltre indicata una visita medica (oculistica) prima di iniziare l’utilizzo delle lenti a contatto (di qualsivoglia tipo) e controllo periodici sia dal contattologo progettista che dal medico oculista durante l’utilizzo delle stesse. In caso di complicanze, anche sospette (es. congiuntiviti, cheratiti etc…) è opportuno un controllo presso un medico oculista per la diagnosi e la terapia più adeguate.
Applicazione della lente
Rimozione della lente
ASTENOPIA
L’ astenopia è disturbo visivo caratterizzato da debolezza visiva degli occhi, spesso dovuta all’eccessivo sforzo della vista.
Epidemiologia
Tale disturbo è frequente nei ragazzi ed è statisticamente associato con ipermetropia . I lavoratori più a rischio sono gli operatori addetti ai videoterminali che utilizzano tali apparecchiature per più di 20 ore a settimana, ma ancora più a rischio i soggetti che iniziano tale attività in età giovanile.
Sintomatologia
Fra i sintomi e i segni clinici ritroviamo cefalea, offuscamento della vista, nausea, perdita del senso di equilibrio, occhio secco.
Eziologia
Tale debolezza viene causata da un’anomalia muscolare a livello oculare o ciliare.
Terapia
Ai primi segni bisognerebbe staccare la visuale dai videoterminali o da qualunque attività che si stava compiendo al momento e riposarsi per qualche decina di minuti. Lenti di riposo possono dare sollievo.
ERGONOMIA VISIVA
L’esame di screening della funzione visiva consiste nel sottoporre il soggetto ad esame obiettivo (determinazione del visus naturale e corretto vicino-lontano, campo visivo, mobilità oculare, cover/uncover test, …), alla prova con autorefrattometro automatico, ai test per la visione stereoscopica (Lang I e II), ai test per la percezione dei colori (tavole di HISHIARA), alla determinazione del grado di correzione delle lenti in uso.
ERGOVISION® è un apparecchio di precisione, concepito come ausilio professionale, in particolare per la Medicina del Lavoro per l’esplorazione rapida e semplice della funzione visiva tramite dei test. Uno strumento ergonomico e portatile che consente di rilevare la presenza dei principali difetti di refrazione ed evidenziare eventuali disequilibri di carattere oculomotorio, in visione da lontano, intermedia e da vicino. Può essere azionato sia automaticamente che manualmente.
Lo strumento è equipaggiato di una sintesi vocale che permette di procedere automaticamente e verificare in sequenza, con un tempo medio di circa sette minuti per soggetto:
– Acuità in visione da lontano
– Ricerca ipermetropia
– Test bicromatico rosso/verde
– Rilevamento dell’astigmatismo
– Forie
– Acuità binoculare in visione da vicino
ERGOVISION®, permette non soltanto di valutare al meglio lo stato funzionale visivo del soggetto, ma anche la sua reazione nei confronti degli stimoli ambientali.
TEST DI ERGONOMIA VISIVA
Tredici test complementari per un rilevamento visivo più specifico, per esplorare le funzioni visive anche in condizioni limite. Questi sono accessibili e semplici e vengono messi in opera manualmente:
– Acuità binoculare in Visione Intermedia
– Acuità binoculare in Visione da Lontano
– Affaticamento visivo
– Forie in Visione Intermedia
– Test di fusione
– Test di stereoscopia
– Test di scorrimento
– Visione Periferica Completa
– Campo visivo completo fino a 120° sull’orizzontale
– Visione Cromatica
– Visione dei Contrasti
– Visione Mesopica (notturna)
– Test abbagliamento e tempi di recupero
– Acuità binoculare in Visione da Lontano con anelli di Landolt.
Mediamente l’esecuzione dei test ergonomici complementari, su protocolli consigliati, richiede circa dieci / quindici minuti a persona. Tutti gli esami indicati sono realizzabili con ERGOVISION® selezionando con telecomando in dotazione gli esami standard e/o complementari, senza l’utilizzo di alcun accessorio.
ERGOVISION® è uno strumento progettato con processo di Assicurazione Qualità ISO 9002 e EN46002 ed é conforme alle norme e direttive internazionali in particolare a livello Europeo risponde ai requisiti:
– Marchio CE come da norme EN 60601-1 e EN 60601-1-2
– Conformità alla direttiva 93/42 CEE (Dispositivi Medicali)
– Conformità alla direttiva EN 46002
Informazioni tecniche
Caratteristiche generali:
– Appoggio frontale monouso
– Altezza regolabile
– Presa cuffia audio
– Uscita RS 232C per trasferimento informatico
– Trasportabilità:
– Dimensioni 37 x 40 x 45 cm.
– Peso 13 kg.
– Voltaggio 110V / 230V – 50 Hz
– Consumo 70 W
Specifiche:
Esame standard
– Modo manuale o automatico
– Istruzioni sintesi 16 KHz ad elevata risoluzione
– Stampante integrata 10 linee / secondo
– Registrazione del tempo di risposta
Test complementari
– Modo manuale
– Interfaccia mediante telecomando RF
Funzioni annesse
– Menu di configurazione personalizzato
– Menu di controllo automatico
Per tutti i test
– Interfaccia mediante telecomando
– Appoggio frontale monouso
TEST DI HESS LANCASTER
Il Test di Hess Lancaster è un esame particolarmente utile per indagare gli strabismi paralitici, ma anche alcune alterazioni della visione binoculare come le forie (strabismo latente) e diplopie (visione doppia).
Il Test di Hess Lancaster è composto da uno schermo, da una mascherina con due filtri colorati (uno rosso ed uno verde) e da due torce di colore complementare ai filtri della mascherina (Rosso/Verde).
Lo schermo di Hess Lancaster è posto alla distanza di un metro dal paziente e l’esame viene eseguito in ambiente buio.
Il paziente con la mascherina ben applicata e con filtro rosso sull’occhio destro, dovrà proiettare lo spot della torcia verde, che terrà in mano in corrispondenza di dove vedrà lo spot di colore rosso proiettato dalla torcia gestita dall’operatore. In questo modo verrà esaminato l’occhio destro che risulterà essere quello fissante perché vedente attraverso il filtro rosso.
L’esaminatore proietterà lo spot verde nelle varie posizioni diagnostiche situate sullo schermo.
La stessa procedura verrà ripetuta invertendo le torce al fine di valutare l’occhio sinistro.
Durante la procedura del Test di Hess Lancaster l’operatore annoterà su un grafico i punti corrispondenti alle risposte date dal paziente. Il tracciato che ne risulterà darà informazioni chiare e precisa sul muscolo interessato e sul grado della deviazione.
Quando fare il Test di Hess Lancaster ?
– In caso di Diplopia (visione doppia)
– Negli strabismi
– Nelle paralisi dei globi oculari
ECOBIOMETRIA
L’ ecobiometria oculare è un esame specifico preparatorio all’intervento di cataratta (opacità del cristallino spesso associata ad una riduzione o perdita della vista).
Si tratta di un esame indolore e non pericoloso che dura qualche minuto.
È un esame che misura la lunghezza del bulbo oculare.
Utilizza gli ultrasuoni: quando copliscono l’occhio, gli ultrasuoni tornano indietro producendo come una eco e vengono rilevati dall’apparecchiatura, che li trasforma in immagini su di un monitor.
Con questa tecnica si misura con buona precisione:
Con questa tecnica si misura con buona precisione:
– la lunghezza del bulbo oculare, indispensabile per il calcolo del potere della lente intraoculare da impiantare all’interno dell’occhio del paziente durante l’intervento di cataratta
– la profondità della camera anteriore dell’occhio, utile per la patologia glaucomatosa e per programmare l’intervento di cataratta
– lo spessore del cristallino e di eventuali neoformazioni all’interno dell’occhio
– il potere delle lenti intraoculari per occhi fachici nel caso di miopie molto elevate.
OCCHIO SECCO
OCCHIO SECCO: COS’E’ L’IPOLACRIMIA
L’occhio secco è un disturbo dovuto a scarsa produzione di lacrime (ipolacrimia): le ghiandole, per un’atrofia parziale o totale o per alterazioni spesso su base ormonale, non producono più a sufficienza liquido lacrimale e l’occhio diventa, quindi, più o meno secco. Talvolta è il sistema di scarico ad essere troppo attivo.
Tutto ciò causa un maggior traumatismo dovuto al continuo movimento delle palpebre sulla superficie oculare ad ogni ammiccamento ed una insufficiente detersione della stessa da corpi estranei o germi. Inoltre, vengono a mancare anticorpi e lisozima, componenti delle lacrime ad alto potere battericida: il rischio di contrarre infezioni, anche da germi comunemente innocui, è quindi assai elevato.
I sintomi più comuni dovuti alla sindrome da occhio secco sono:
– bruciore,
– sensazione di corpo estraneo nell’occhio,
– fotofobia,
– difficoltà nell’apertura della palpebra al risveglio e, nei casi più gravi,
– dolore e annebbiamento visivo.
Tutti questi disturbi aumentano in ambienti secchi, ventosi o dove sono in funzione impianti di riscaldamento o di condizionamento.
Talvolta, i pazienti affetti da ipolacrimia lacrimano copiosamente (soprattutto in presenza di cheratite, danno alla superficie corneale): il liquido lacrimale è però molto acquoso, contiene poche componenti mucose ed evapora velocemente lasciando la cornea esposta all’azione di agenti esterni. Molte persone affette da sindrome degli occhi secchi soffre anche di disturbi alla gola e al seno paranasale: congestione nasale o sinusite, tosse cronica, raffreddori frequenti, allergie stagionali, congestione al centro dell’orecchio, mal di testa.
Generalmente vengono distinte due forme di Sindrome da occhio secco:
– Primarie (Sindrome di Sjögren), cioè manifestazioni oculari di una malattia generale autoimmune, come ad esempio :
lupus eritematoso sistemico,
artrite reumatoide,
sclerodermia ecc.
– Secondarie, dovute ad un’eccessiva vaporizzazione del film lacrimale:
blefariti,
congiuntiviti,
uso protratto di lenti a contatto,
ridotta secrezione senile,
ridotta secrezione dovuta a farmaci, a ipovitaminosi A, a uso protratto di colliri.
LE CAUSE
Vediamo alcune delle cause più comuni della sindrome da occhio secco:
– Età avanzata. La produzione di lacrime diminuisce con l’avanzamento dell’età per la progressiva atrofizzazione delle ghiandole lacrimali. La riduzione nella produzione basale, continua e costante, di lacrime e la conseguente irritazione degli occhi provoca spesso una eccessiva produzione di lacrime di riflesso.
– Sesso femminile. Nelle donne tra i 40 e i 60 anni di età, probabilmente a causa dei nuovi equilibri ormonali indotti dalla menopausa, le ghiandole lacrimali vanno incontro ad una progressiva atrofia della loro porzione secernente.
– Ambiente. Altitudini elevate, condizioni atmosferiche soleggiate, secche o ventose, ambienti in cui sono in funzione impianti di riscaldamento o di condizionamento dell’aria provocano un aumento dell’evaporazione delle lacrime, riducendo così la lubrificazione degli occhi.
– Lenti a contatto. Il loro uso può aumentare notevolmente l’evaporazione delle lacrime, causando irritazioni ed infezioni. Sovente le soluzioni disinfettanti o lubrificanti per le lenti corneali possono indurre un’alterazione della componente ghiandolare lacrimale con alterazioni della produzione di lacrime. Se l’occhio è poco lubrificato, inoltre, la lente tende ad aderire alla cornea provocando danni in alcuni casi anche gravi ( abrasioni, cheratiti).
– Farmaci. Alcuni farmaci (ormoni, immunosoppressori, decongestionanti, antistaminici, diuretici, antidepressivi, betabloccanti, farmaci per le malattie cardiache e per il trattamento delle ulcere) possono inibire la produzione di lacrime lubrificanti.
DIAGNOSI
Durante la visita oculistica il medico sottopone il paziente ad alcuni test per individuare le alterazioni qualitative e quantitative della lacrimazione.
Nel primo caso molto utile è il:
– test di rottura del film lacrimale (BUT) eseguito con
– l’esame al biomicroscopio (lampada a fessura) previa apposizione di fluoresceina nel sacco congiuntivale, osservando e misurando quanti secondi impiega il velo di lacrime sulla superficie della cornea ad interrompersi togliendo protezione e lubrificazione alla stessa; nel secondo,
– il test di Schirmer misurazione della produzione lacrimale viene eseguito introducendo due striscioline di carta assorbente all’interno del fornice palpebrale inferiore di ciascun occhio e misurando la porzione di carta inumidita dopo 2-3 minuti.
Al termine si misura la porzione di strisciolina inumidita: sotto i 10 mm si definisce l’occhio come secco,per cui bisogna ricorrere a terapia sostitutiva.
TERAPIE FARMACOLOGICHE
Un farmaco che veramente permetta di curare la ipolacrimia è una sostanza che somministrata per via orale o sistemica stimoli le ghiandole lacrimali principali ed accessorie ad una secrezione quantitativamente e qualitativamente più corretta.
Allo stato attuale delle conoscenze questa sostanza non esiste, ma gran parte della ricerca è oggi indirizzata ad esplorare questa possibilità terapeutica. Oggi, in caso di alterazione del film lacrimale, si pratica una terapia sostitutiva e/o correttiva a base di colliri o gel (lacrime artificiali) formati da sostanze che possiedono l’azione detergente, lubrificante e disinfettante delle lacrime naturali.
Fortemente sconsigliata è l’auto-prescrizione di colliri a base di lacrime artificiali: la visita di un medico oculista permette un preciso inquadramento diagnostico ed una migliore prescrizione terapeutica anche se non sempre risolutiva.
Vediamo ora dettagliatamente quali sono i meccanismi d’azione delle lacrime artificiali: azione diluente, di volume, stabilizzante, correttiva, nutritiva.
– Azione diluente
Una carenza assoluta o relativa della componente acquosa del liquido lacrimale porta ad un’eccessiva concentrazione delle componenti in soluzione. In questo caso i sostituti lacrimali servono semplicemente a ripristinare una sufficiente componente acquosa per diluire correttamente le componenti solubili delle lacrime. Si tratta di un meccanismo d’azione semplice ma efficace: la diluizione restituisce alle lacrime un sufficiente effetto detergente e umidificante permettendo una buona distribuzione dei soluti, fra cui l’ossigeno, alle cellule della superficie oculare.
– Azione di volume
Nell’occhio sono presenti dai 7 ai 10 microlitri di lacrime; lo spessore medio del film lacrimale è di circa 7 micron. Se volume e spessore si riducono per mancata produzione o per eccesso di perdita di lacrime, si possono verificare danni alla superficie oculare.
Il ridotto volume lacrimale comporta un minor effetto protettivo del film pre-corneale, un eccesso di vaporizzazione e un più facile contatto tra lo strato lipidico e quello mucinico con conseguente contaminazione.
Generalmente tutte le lacrime artificiali agiscono anche ripristinando il normale volume delle lacrime; a tale scopo possono essere utilizzate delle semplici soluzioni acquose, ma queste fuoriescono troppo rapidamente dalle vie di deflusso e perdono immediatamente efficacia. Si preferisce, quindi, ricorrere a preparati più densi che rimangono nell’occhio più a lungo.
Questi prodotti riducono grandemente la qualità della visione dopo la loro somministrazione, ma solitamente, al risveglio, il paziente grazie al loro potere lubrificante apre agevolmente gli occhi: dopo un certo numero di ore l’impedimento visivo è ridotto al minimo.
– Azione stabilizzante
Se la secrezione lacrimale è quantitativamente scarsa o qualitativamente alterata, il film lacrimale precorneale tende ad essere instabile e a rompersi lasciando aree asciutte e provocando alterazioni della superficie oculare.
Uno dei meccanismi d’azione più importanti e più complessi delle lacrime artificiali è quello di mantenere e ripristinare la stabilità del film lacrimale, assicurando l’umidità della superficie corneo-congiuntivale esposta ed una uniforme disposizione del film che la ricopre. I sostituti lacrimali, in questo caso, contengono sostanze mucomimetiche, capaci cioè di imitare almeno alcune delle capacità della mucina lacrimale (contengono sostanze viscose o tensioattive capaci di correggere l’instabilità del film lacrimale). Azione correttiva. Le lacrime artificiali devono il più possibile riprodurre e mantenere le caratteristiche fisico-chimiche delle lacrime naturali.
Attualmente vi sono lacrime con marcato effetto tampone per correggere alterazioni del pH e lacrime ipotoniche per correggere l’eccessiva pressione osmotica da iper-evaporazione. Sostituti lacrimali ad effetto correttivo sono anche quelli con attività mucolitica in caso di eccesso di mucina per alterata secrezione o per mancata diluizione da parte della componente acquosa.
– Azione nutritiva
Gli attuali sostituti lacrimali solitamente non apportano sostanze nutritive al liquido lacrimale o ai tessuti da esso fisiologicamente nutriti; essi apportano soprattutto acqua e solo incidentalmente alcuni di essi contengono in soluzione elementi nutritivi. Spetta alla ricerca farmacologica proporre, accanto ai sostituti lacrimali perfetti (lacrime artificiali dalle qualità e dalle capacità identiche a quelle naturali), sostituti lacrimali arricchiti capaci di correggere ed alimentare, o eventualmente sovralimentare, i tessuti della superficie oculare.
TERAPIE CON LENTI A CONTATTO
Se la terapia farmacologica non è sufficiente e se esiste il rischio di danni alla cornea (cheratocongiuntivite secca), si possono usare particolari lenti a contatto che proteggono la superficie oculare dall’effetto abrasivo delle palpebre, permettendo inoltre la riepitelizzazione di lesioni superficiali della cornea e della congiuntiva.
In caso di ipolacrimia con marcata riduzione della componente acquosa, le lenti a contatto sono comunque mal tollerate: l’uso delle lenti a scopo terapeutico è quindi spesso poco attuabile.
Nei pazienti affetti da ipolacrimia che presentino una cheratite filamentosa, l’uso delle lenti a contatto sarà invece di grande aiuto: esse ridurranno fortemente i dolori e renderanno più efficaci i farmaci lubrificanti prescritti.
Promettenti sono le lenti a contatto monouso giornaliere: la possibilità di usare ogni mattina una lente nuova e sterile, potrebbe permettere di superare alcune delle cause di intolleranza dalle lenti a contatto nelle ipolacrimie legate all’eccesso di scorie e depositi sulla superficie della lente deteriorata o poco lavata dal flusso lacrimale.
TERAPIA CHIRURGICA
La terapia chirurgica più semplice e più usata nel trattamento delle sindromi da occhio secco consiste nella chiusura, provvisoria o definitiva, dei puntini lacrimali inferiore e/o superiore, per mezzo di piccoli tappi di silicone.
L’occlusione provvisoria con tappi di acido ialuronico, è consigliabile per verificare se l’ostruzione delle vie di deflusso può essere in qualche modo utile per ridurre la sintomatologia del paziente ( i tamponi inseriti nei condotti di scarico lacrimali si di dissolvono in 4-7 giorni); se tale rimedio si dimostra efficace, permettendo una migliore lubrificazione dell’occhio, si ricorre alla chiusura definitiva mediante l’uso di “punctum plugs” o del raggio laser (argon laser).
CONSIGLI UTILI
Le sindromi da occhio secco sono estremamente varie per origine, quadro clinico e gravità; conseguentemente l’approccio terapeutico è decisamente complesso.
E’ importante comunque che il paziente beva molti liquidi, curi adeguatamente l’igiene del bordo palpebrale e mantenga un’adeguata umidità degli ambienti in cui vive, soprattutto se questi sono asciutti, riscaldati o ventilati (gli impianti di condizionamento deumidificano troppo l’aria e creano un’eccessiva ventilazione); durante l’inverno è, quindi, opportuno che i radiatori siano sempre muniti di contenitori d’acqua (in commercio esistono appositi apparecchi per l’umidificazione degli ambienti).
Infine è importante un buon ammiccamento; in molti pazienti esso può essere raro o incompleto: non bisogna dimenticare che si può imparare ad ammiccare regolarmente e frequentemente.
OCULOMETRIA
L’oculometria, nota anche come monitoraggio oculare e con il termine in lingua ingleseeye tracking, è il processo di misurazione del punto di fissazione oculare o del moto di un occhio rispetto alla testa. Tale misure possono essere ottenute tramite un tracciatore oculare (“eye tracker“) e possono essere utilizzate nello studio anatomico e fisiologico dell’apparato visivo, nella linguistica cognitiva e nella progettazione di prodotti commerciali.
Storia
I primi studi sui movimenti oculari risalgono all’inizio dell’Ottocento ed erano basati su osservazioni dirette, che non portarono però a risultati notevoli. Vari furono i tentativi da parte dei ricercatori di trovare il metodo migliore per il monitoraggio oculare, tra i primi, nel1898 Huey costruì un rudimentale eye tracker composto da una sorta di lente a contatto collegata ad un puntatore in alluminio, che si spostava in risposta ai movimenti oculari; con questo rudimentale strumento riuscì a dimostrare che leggendo una frase non ci si concentra su ogni parola, ma solo su quelle che il nostro cervello ritiene più rilevanti. (immagine Huey) Il primo eye tracker di tipo non intrusivo venne costruito da George Buswell a Chicago. Una sorgente luminosa illuminava l’occhio e il riflesso veniva impressionato su di una pellicola; il movimento dell’occhio provocava un corrispondente spostamento del tracciato impresso sulla pellicola stessa. Ora i progressi in campo tecnologico hanno reso disponibili sistemi di eye tracking che riescono a registrare la dilatazione e la contrazione delle pupille, realizzando un effettivo tracciamento oculare che definisce l’intero percorso dell’occhio durante la visione, il software collegato è in grado di “tradurre” quel movimento in una mappa di calore (heatmap) che mostra, nelle parti più rosse (quelle più calde) la concentrazione maggiore dell’attenzione. Tra le aziende all’avanguardia in questo campo troviamo la svedese Tobii, costruendo un nuovo tipo di eye tracker, tobii glasses, ovvero degli occhiali indossabili che registrano i movimenti oculari ovunque ci si trovi. Mostrando esattamente ciò che una persona sta guardando in tempo reale come lei o lui si muove liberamente in un negozio, di un ristorante o di qualsiasi ambiente reale. Il discreto, design ultra-leggero, con vista laterale libera assicura un comportamento naturale e la validità della ricerca.
Movimenti oculari
Quando si guarda qualcosa gli occhi si spostano almeno 3/4 volte al secondo tramite movimenti detti saccadi che durano circa un decimo di secondo, mentre le fissazioni durano da 2 a 4 decimi di secondo. Questi movimenti continui sono alla base dei meccanismi del sistema visivo, infatti solo la fovea che è la parte che si colloca al centro della retina, riesce a ricevere un’immagine nitida. Il resto dell’occhio riceve immagini sfocate tanto più la parte in questione si allontana dalla fovea. È per questo motivo che gli occhi si muovono continuamente all’interno del campo visivo. È compito del lobo occipitale provvedere poi a comporre l’immagine. Alcuni studi mostrano che esiste una significativa correlazione tra la dilatazione delle pupille (midriasi) e l’interesse verso un certo stimolo, e la contrazione (miosi) e l’avversione o il disgusto (Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva, 1995) . La comprensione dello stimolo in relazione ai processi emozionali ha un’influenza diretta sulle azioni individuali, nel nostro caso nell’efficacia di una banner pubblicitario. Attraverso la tecnologia eye tracking e l‘analisi pupillumetrica, quindi, si è in grado di formulare un certo numero di ipotesi sugli elementi di successo e sui punti deboli di una campagnia di marketing prima che sia presentata al pubblico.
Esistono diversi tipi di eye-tracker presenti sul mercato Video tracker – Una videocamera registra il movimento degli occhi e individua la posizione dello sguardo dell’utente rispetto allo schermo Infrared tracker – Un dispositivo rileva il centro della pupilla tramite la riflessione dei raggi infrarossi da parte della cornea. Una procedura di calibrazione definisce il corretto angolo di posizionamento tra la cornea e la superficie osservata dopo aver individuato il vettore di riferimento. Eye-attached tracker – Una lente a contatto con all’interno uno specchio o un sensore elettromagnetico misura i movimenti orizzontali, verticali e rotatori dell’occhio, fornendo così un’analisi molto dettagliata di tutte le variabili coinvolte nell’analisi oculare. Electric potential tracker – Elettrodi posizionati intorno agli occhi rilevano il campo elettrico generato dagli occhi, dove il polo positivo è la cornea e il polo negativo è la retina. Il principale utilizzo è per l’individuazione dei singoli movimento dell’occhio (saccadi), mentre non è utilizzabile per individuare il campo visivo dell’osservatore. A differenza dei dispositivi video o a infrarossi permette di tracciare i movimenti oculari anche quando le palpebre sono chiuse.(Bizzarri)
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