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Data 5 settembre 2018

IPOFISI

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                                   IPOFISI

 

Cos’è l’ipofisi

L’ipofisi o ghiandola pituitaria è una piccolissima struttura anatomica con un’enorme importanza biologica.

Nonostante dimensioni simili ad un fagiolo ed un peso praticamente irrisorio (poco più di mezzo grammo), l’ipofisi controlla in prima persona la funzionalità di numerosi organi, tra cui tiroide, porzione corticale dei surreni e gonadi (ovaie e testicoli).

L’ipofisi, inoltre, partecipa alla regolazione del metabolismo idrico, alla secrezione lattea e alla crescita corporea;

 

Come Funziona

Ormoni Ipofisari

In tutto, l’ipofisi produce nove ormoni, di cui sette nella sua porzione anteriore e due in quella posteriore. La ghiandola pituitaria consta infatti di due parti:

 

# una parte anteriore, detta adenoipofisi,

# una parte posteriore, detta neuroipofisi (tra le quali si colloca una porzione intermedia).

Questa distinzione non è soltanto anatomica o didattica, poiché diverse sono anche le funzioni e le origini embrionali.

 

Controllo Ipotalamico dell’Ipofisi

L’ipofisi si trova all’interno della scatola cranica, più precisamente alla base del diencefalo, dietro al chiasma ottico. Protetta da una depressione dell’osso sfenoide, la sella turcica, si ancora alla regione inferiore dell’ipotalamo mediante l’infundibolo, altrimenti noto come peduncolo ipofisario; l’attività della ghiandola pituitaria, infatti, è controllata dallo stesso ipotalamo, che tramite neuroni specializzati produce e rilascia peptidi in grado di favorire (RH Releasing Hormone) od inibire (IH Inhibiting Hormone) il rilascio dei relativi ormoni ipofisari. Ciascun fattore ipotalamico è specifico per un ormone ipofisario; ad esempio il GHRH (fattore di rilascio per l’ormone della crescita), stimola l’ipofisi la a produrre GH, mentre l’ormone ipotalamico TRH aumenta il rilascio pituitario di TSH, che a sua volta stimola la tiroide a produrre ormoni tiroidei.

Grazie ai fattori ipotalamici, quindi, il sistema nervoso controlla direttamente l’apparato endocrino; questa regolazione è permessa dal cosiddetto sistema portale ipofisario, una struttura vascolare che trasferisce all’adenoipofisi i fattori ipotalamici di rilascio ed inibizione.

Ogni sistema portale è costituito da due letti capillari uniti da un vaso; nello specifico, il sistema ipotalamo-ipofisario nasce dalle due arterie ipofisarie superiori (appartenenti al circolo di Willis) che mandano rami nel peduncolo ipofisario, dove capillarizzano.

Su questo primo letto capillare terminano gli assoni dei neuroni parvicellulari, che ivi liberano i propri RH ed IH. Le venule che nascono da questi capillari confluiscono nelle vene di congiunzione (vene porte ipofisarie) che si dirigono all’adenoipofisi attraversando il peduncolo; qui, diramandosi, formano un secondo letto capillare nella porzione anteriore della ghiandola. Venendo a contatto con le cellule adenoipofisarie, questi capillari cedono da un lato i Releasing e gli Inhibiting Hormons e dall’altro raccolgono i corrispondenti ormoni adenoipofisari. I prodotti dell’a ghiandola pituitaria anteriore vengono quindi immessi nel plesso capillare secondario e da qui, tramite vene di drenaggio che si immettono nei seni cavernosi della dura madre, raggiungono il circolo generale fino ad incontrare l’organo bersaglio.

 

Ipofisi anteriore o adenoipofisi

L’ipofisi anteriore o adenoipofisi costituisce l’80% in peso della ghiandola pituitaria; secerne, dietro comando diretto dell’ipotalamo, una serie di ormoni detti tropine ipofisarie:

 

# ormone tiroideo-stimolante o TSH: prodotto dalle cellule tireotrope, ha come organo bersaglio la tiroide, nella quale stimola la produzione di ormoni tiroidei (T3 e T4, meglio noti come triiodotironina e tiroxina).

# Ormone adrenocorticotropo o ACTH: prodotto dalle cellule corticotrope, stimola il rilascio di ormoni che agiscono nella porzione corticale del surrene, stimolando la secrezione di glicocorticoidi, come il cortisolo, che partecipano alla regolazione del metabolismo glucidico.

# Ormone follicolo stimolante o FSH: prodotto dalle cellule gonadotrope, stimola le cellule follicolari ovariche a produrre estrogeni (estradiolo), mentre nel maschio controlla la spermatogenesi a livello testicolare.

# Ormone luteo stimolante (luteotropo) o LH: prodotto dalle cellule gonadotrope, induce l’ovulazione e la trasformazione del follicolo che ha espulso l’ovulo in corpo luteo; le cellule di quest’ultimo producono progesterone in vista dell’eventuale gravidanza. Nell’uomo, l’ormone luteotropo stimola le cellule interstiziali (del Leydig) a produrre androgeni (testosterone).

# Prolattina o PRL:  prodotta dalle cellule lattotrope, partecipa – in sinergia con altri ormoni (estrogeni, progesterone, glicocorticoidi e ormoni placentari – allo sviluppo della ghiandola mammaria e alla produzione di latte. Nel maschio stimola l’attività della prostata.

# Ormone somatotropo o GH: prodotto dalle cellule somatotrope dell’ipofisi anteriore è noto anche come ormone della crescita o somatotropina (STH); espleta un effetto anabolizzante influenzando il metabolismo proteico e stimolando l’accrescimento corporeo (soprattutto a livello muscolare e scheletrico). Aumenta inoltre il catabolismo dei lipidi e risparmia glucosio.

 

L’ipofisi anteriore o adenoipofisi è formata da tre parti (pars o lobi): pars tuberalis (costituisce il peduncolo dell’ipofisi), pars intermedia (ipofisi intermedia) e pars distalis (la più estesa). Nell’ambito di quest’ultima porzione – nota anche come lobo anteriore visto che rappresenta la parte qualiquantitativamente più importante della ghiandola – sono presenti cellule con differente affinità tintoriale per i coloranti, come tali distinte in cellule cromofobe (elementi indifferenziati o privi di attività secretiva) e cellule cromofile; queste ultime sono classificate in cellule acidofile, che secernono ormoni proteici (GH, PRL) ed appaiono più rosa, e basofile, che secernono ormoni glicoproteici (ACTH, TSH, FSH, LH) ed appaiono più pallide.

 

Ipofisi posteriore o neuroipofisi

L’ipofisi posteriore o neuroipofisi funziona da “deposito” per gli ormoni ipotalamici ADH ed ossitocina, prodotti da neuroni ipotalamici con il relativo soma localizzato nell’ipotalamo (Nuclei Sopraottico → ADH e Paraventricolare → Ossitocina).

 

# L’ADH od ormone antidiuretico aumenta la permeabilità del tubulo renale distale del nefrone, rendendolo permeabile all’acqua per ridurre la perdita idrica; inoltre, vasocostringe i vasi periferici alzando la pressione sanguigna. Viene perciò secreto in risposta a molti stimoli, specialmente all’aumentare degli elettroliti nel sangue o a una caduta del volume ematico o della pressione sanguigna. Un deficit di ADH è responsabile del cosiddetto diabete insipido.

# L‘ossitocina è responsabile della stimolazione del miometrio uterino durante il travaglio (non del collo che invece si rilascia…). Al di fuori della gravidanza, nell’uomo stimola le cellule muscolari lisce della prostata e del seguente dotto eiaculatore, mentre nella donna favorisce le mestruazioni ed il coito.

 

Il lobo posteriore dell’ipofisi o neuroipofisi è formato da tre parti: eminenza mediana, peduncolo dell’infundibolo e pars nervosa. E’ costituito da cellule gliali, i pituiciti, e da lunghe fibre nervose, i cui corpi cellulari – situati nell’ipotalamo – sintetizzano neurosecreti; queste sostanze fluiscono poi negli assoni che scendono nell’infundibulo (formando un fascio nervoso detto fascio ipotalamo-neuroipofisario) fino a raggiungere la neuroipofisi, dove si accumulano in rigonfiamenti terminali colmi di granuli (corpi di Hering); in questa sede i fattori ipotalamici) vengono riversati direttamente nei capillari sanguigni (vedi figura) e da qui entrano nel circolo generale.

 

Ipofisi intermedia

La parte intermedia della ghiandola pituitaria, considerata parte integrante dell’adenoipofisi (pars intermedia), produce l’ormone intermedina o melanotropo (MSH), che regola la sintesi e la distribuzione dei granuli di melanina nei melanociti, ma solo nel feto, nel bambino piccolo, nella donna gravida (capezzoli e linea nigra (sotto l’ombelico) e in alcune malattie.

 

Ipofisi e meccanismi feedback

In genere, la regolazione dell’attività secretoria di ipotalamo ed ipofisi è soggetta a forme di feedback negativo:

 

1 le cellule endocrine ipofisarie ed ipotalamiche rispondono a variazioni omeostatiche riversando i propri ormoni in circolo;

2–  gli ormoni ipofisari stimolano le cellule endocrine degli organi bersaglio;

3  la risposta ormonale di queste ultime ripristina l’omeostasi ed elimina lo stimolo che le ha attivate, inibendo la secrezione dei relativi ormoni ipofisari ed ipotalamici. Si viene così a creare un sorta di circuito fisiologico, dove il prodotto finale di una determinata via metabolica inibisce le prime tappe della stessa via che l’ha generato. Stiamo parlando dei famosi circuiti feedback negativo che presiedono all’omeostasi del nostro organismo. Le regolazioni opposte, quelle a feedback positivo, sono rare e limitate ai casi in cui occorre completare rapidamente l’azione; ad esempio, sempre rimanendo in tema di ipofisi, durante il parto l’ossitocina provoca il rilascio di ulteriore ossitocina.

 

ADENOMA IPOFISARIO

 

La ghiandola pituitaria può essere interessata da piccoli tumori benigni, definiti come adenomi ipofisari. L’adenoma è un tumore benigno che si sviluppa con lenta evoluzione a partire da cellule ghiandolari epiteliali.

Considerando che l’ipofisi è una ghiandola deputata alla secrezione di ormoni che regolano numerose funzioni dell’organismo, tutti i tumori che la colpiscono sono potenzialmente pericolosi, anche se di natura benigna. I tumori ipofisari rappresentano circa il 10% di tutti i tumori intracranici e nel 90% dei casi sono adenomi dell’adenoipofisi.

 

Classificazione

Gli adenomi ipofisari sono stati classificati secondo vari parametri, ma principalmente si distinguono in base alle loro dimensioni e alle loro caratteristiche funzionali.

 

# In base alle dimensioni. Gli adenomi ipofisari sono classificati anatomicamente in funzione delle dimensioni della massa tumorale, stabilita sulla base di accertamenti radiologici: i tumori di diametro inferiore ad 1 cm sono definiti microadenomi, mentre quelli di diametro superiore ad 1 cm sono definiti macroadenomi.

# In base al grado di infiltrazione.

Adenoma benigno: quasi tutti gli adenomi pituitari sono benigni (non cancerosi), crescono molto lentamente e non si diffondono dall’ipofisi ad altre parti del corpo.

Adenoma invasivo: alcuni tumori possono crescere velocemente, infiltrando o comprimendo le strutture adiacenti alla ghiandola pituitaria (chiasma ottico, seno cavernoso, nucleo ipotalamico ecc.).

Carcinoma (metastatizzante): sono tumori maligni estremamente rari, in grado di diffondere in altre aree del sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) o ad altre parti del corpo.

# In base all’estensione. L’ipofisi nell’adulto è alloggiata nella sella turgica, una piccola cavità ossea alla base del cranio. Se il tumore è confinato all’interno della sella turgica l’adenoma è definito intrasellare, mentre se è esteso al di fuori di questa cavità è extrasellare.

# Dal punto di vista clinico/funzionale. Gli adenomi ipofisari possono essere classificati in base al quadro clinico, caratterizzato o meno dalla secrezione eccessiva di uno degli ormoni ipofisari.

Secernenti. Gli adenomi ipofisari che causano un aumento della secrezione di un determinato ormone attivo sono definiti adenomi funzionanti

Non secernenti. Gli adenomi non funzionanti sono invece costituiti da cellule tumorali inattive, che tendono a deprimere la secrezione di altri ormoni comprimendo le cellule endocrine non tumorali, oppure possono causare disturbi neurologici comprimendo neuroni che si trovano in prossimità del tumore. Un comune sintomo neurologico è, infatti, la visione offuscata, poiché i nervi ottici sono localizzati molto vicino all’ipofisi.

 

Adenomi ipofisari funzionanti

La ghiandola pituitaria è costituita da diversi tipi di cellule ipofisarie ed ognuna di queste partecipa alla produzione di particolari ormoni rilasciati nel flusso sanguigno. L’adenoma ipofisario origina proprio da una di queste cellule specializzate (tumore = espansione monoclonale). Le cellule ipofisarie tumorali, che definiscono un adenoma funzionante, producono un eccesso di uno o più ormoni e la conseguentestimolazione alterata degli organi bersaglio (tiroide, surrene e ghiandole sessuali). L’iperattività o l’ipoattività che colpisce l’ipofisi si ripercuote così sull’intero sistema.

 

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Gli adenomi ipofisari funzionanti si suddividono, quindi, in funzione dell’ormone ipersecreto:

 

# Adenomi prolattina secernenti (prolattinoma): nel 50% circa degli adenomi ipofisari funzionanti, le cellule affette sono quelle che secernono prolattina, con una sintomatologia che comprende anomalie secretorie delle ghiandole mammarie (galattorrea), irregolarità del ciclo mestruale (amenorrea) e qualche volta anche disfunzioni sessuali. Vedi: iperprolattinemia

# Adenomi GH secernenti: le cellule che secernono l’ormone della crescita sono colpite nel 30% circa degli adenomi ipofisari funzionanti. Se occorre nei bambini si manifesta con il gigantismo (crescita staturale eccessiva) o con l’acromegalia negli adulti (ispessimento eccessivo delle ossa e crescita eccessiva dei tessuti molli).

# Adenomi ACTH secernenti: le cellule che secernono ACTH sono affette nel 20% circa degli adenomi ipofisari funzionanti; la sintomatologia, definita sindrome di Cushing, comprende iperglicemia dovuta all’eccessiva secrezione di cortisolo (che può portare al diabete mellito), obesità del tronco ma non negli arti, striature viola nell’addome (segni di stiramento) dovuti a deficit di collagene nella pelle e viso arrotondato dovuto all’accumulo di fluidi.

Anche altre cellule secretorie dell’ipofisi possono essere colpite, ma questo occorre meno frequentemente.

Gli adenomi ipofisari funzionanti sono generalmente diagnosticati precocemente in base alla sintomatologia derivante dagli squilibri ormonali. Di conseguenza, la maggior parte degli adenomi funzionanti rilevati sono microadenomi.

 

Incidenza

Gli adenomi ipofisari sono relativamente comuni: rappresentano il 10% di tutte le neoplasie intracraniche ed il tasso di prevalenza stimato nella popolazione generale è di circa il 17%. La maggior parte di queste masse tumorali non crescono o non provocano disturbi evidenti. Gli adenomi ipofisari possono esordire in pazienti di qualsiasi età, compresa quella pediatrica. Il picco di incidenza è compreso tra 30 e 60 anni (20-45 anni nelle donne; 35-60 anni negli uomini). In molti casi, la modalità di presentazione è accidentale: spesso, il medico riscontra un adenoma ipofisario mentre il paziente sta subendo una risonanza magnetica all’encefalo (10% dei casi) o una TC (tomografia computerizzata) per un altro motivo.

 

Cause

Nella maggior parte dei casi, gli adenomi ipofisari insorgono spontaneamente, nel senso che non sono ereditati. L’ipotesi alla base dell’insorgenza della neoplasia, consiste nell’intervento di alcuni fattori di crescita, i quali possono favorire la comparsa di mutazioni in cellule già predisposte geneticamente. Queste alterazioni genetiche determinano un’espansione monoclonale di una cellula che porta ad un’iperplasia (aumento del numero di cellule), la quale può evolvere in adenoma se i meccanismi di controllo del ciclo cellulare sono difettivi. Tali mutazioni genetiche, nella maggioranza dei casi sono acquisite, motivo per cui gli adenomi si presentano in modo sporadico. Tuttavia, esiste una piccola percentuale di casi che rispetta l‘ereditarietà genetica. Le forme familiari di adenomi ipofisari sono congenite, legate ad una storia familiare e riscontrabili nel contesto di entità cliniche ben definite (esempio: gigantismo familiare o acromegalia familiare).In altri casi, sempre rari, l’insorgenza è connessa a sindromi genetiche, quali la MEN-1 (neoplasia endocrina multipla di tipo 1), il complesso di Carney e la sindrome di McCune-Albright.

 

Sintomi

La sintomatologia varia ovviamente in funzione del tipo di adenoma. Il quadro clinico dipende dalla crescita della massa tumorale, con sintomatologia locale dovuta alla compressione delle strutture limitrofe, ma anche dalla capacità o meno di indurre un’alterazione della funzione ipofisaria (ipopituitarismo, ipersecrezione ormonale o sindrome ipersecretiva). In molti casi, gli adenomi ipofisari sono asintomatici e il paziente non sospetta la loro esistenza, tanto che spesso sono diagnosticati casualmente.

Gli adenomi ipofisari possono produrre diversi sintomi, in relazione a diversi fattori:

 

# Iperfunzione ipofisaria: viene rilasciato un ormone attivo in quantità eccessiva nel sangue. Di solito, i pazienti presentano sintomi legati all’azione dell’ormone, con alterazione del delicato equilibrio ormonale che regola le funzioni del nostro organismo. Questo effetto è tipicamente prodotto dagli adenomi funzionanti.

# Ipofunzione ipofisaria: può essere dovuta alla compressione delle strutture ipofisarie limitrofe alla massa tumorale (effetto massa).

# Segni neurologici (effetto massa): gli adenomi non funzionanti possono rimanere silenti, fino a quando non provocano problemi tipicamente legati alle dimensioni della massa neoplastica. Se crescono in misura importante, i macroadenomi possono comprimere la ghiandola ipofisaria e le strutture che si trovano in prossimità del tumore. Questo effetto può produrre disturbi neurologici, compromissione del campo visivo (se comprime il chiasma ottico, il punto di incrocio dei nervi ottici, può addirittura indurre la perdita della vista) oppure può comprimere la ghiandola pituitaria e causare insufficienza ipofisaria. Anche gli adenomi funzionanti possono crescere e raggiungere grandi dimensioni, causando problemi da compressione oltre agli effetti ormonali.

 

 

Sintomi associati all’ iperproduzione di ormoni

Gli adenomi che producono ormoni determinano quadri clinici caratteristici.

 

# Adenoma ipofisario prolattina secernente (prolattinoma). Determina un aumento dei livelli di prolattina in circolo, provocando un’alterazione dei livelli normali di ormoni sessuali (estrogeni nelle donne e testosterone negli uomini). Nelle donne, il prolattinoma può causare irregolarità o perdita del ciclo mestruale e la produzione anomala di latte (galattorrea). Negli uomini, elevati livelli di prolattina possono abbassare i livelli di testosterone e causare ipogonadismo maschile, associato a disfunzione erettile, infertilità e perdita del desiderio sessuale. Altri segni e sintomi del prolattinoma possono includere: cefalea, disturbi visivi, astenia e incremento ponderale. Vedi: iperprolattinemia

# Adenoma ipofisario GH secernente. Un’eccessiva produzione di ormone della crescita (GH) provoca acromegalia negli adulti (crescita delle ossa di cranio, mani e piedi, dolori articolari, modificazioni dell’aspetto per la crescita delle ossa facciali) o gigantismo nei bambini (crescita veloce, altezza superiore rispetto alla norma e dolori alle articolazioni).

# Adenoma ipofisario ACTH secernente. L’ormone ACTH ha come bersaglio i surreni, che in risposta producono glucocorticoidi. L’iperproduzione dell’ormone e il conseguente eccesso di glucocorticoidi hanno effetto su tutto l’organismo. L’adenoma ipofisario ACTH secernente può causare la sindrome di Cushing ed una sintomatologia che comprende: iperglicemia dovuta all’eccessiva secrezione di cortisolo (può indurre diabete mellito), aumento del volume dell’addome, profonde smagliature vascolarizzate dovute alla disgregazione del connettivo, e produzione di androgeni da parte del surrene nella donna (mascolinizzazione). L’adenoma ipofisario ACTH secernente si può anche manifestare con sintomi come aumento dei peli sul corpo, gonfiore al viso, depressione ed ipertensione.

# Adenoma ipofisario TSH secernente. L’eccessiva produzione di ormone TSH va ad agire sulla tiroide determinando ipertiroidismo. Questi tumori sono molto rari e per tale motivo spesso sono confusi con determinate patologie tiroidee. L’adenoma ipofisario TSH secernente si presenta con sintomi che dipendono dalla sovrapproduzione di ormoni tiroidei: tremori, battito cardiaco accelerato, perdita di peso, aumento dell’appetito, difficoltà a prendere sonno e ansia.

 

Sintomi correlati all’ effetto massa  (macroadenoma)

Si riscontrano sintomi locali dovuti alla compressione esercitata dal macroadenoma sulle strutture adiacenti. Nella maggior parte dei casi, compaiono cefalea (continua e resistente agli analgesici) e sintomi visivi, a causa della compressione delle vie ottiche. I disturbi della vista, in particolare la perdita della visione periferica, si verificano quando i macroadenomi crescono verso l’alto nella cavità cerebrale, comprimendo il chiasma ottico, mentre la visione offuscata (perdita di acuità visiva) si avverte se il macroadenoma cresce in avanti e comprime il nervo ottico.

In presenza di adenomi di dimensioni molto estese possono comparire anche:

# Sonnolenza, debolezza, vertigini e disorientamento;

# Nausea, vomito e perdita di peso non intenzionale;

# Perdita della funzione pituitaria e disfunzione ipotalamica;

# Rinoliquorrea (infiltrazione e perdita di liquor dal naso);

# Paralisi dei nervi cranici (per estensione laterale del tumore);

# Idrocefalo ostruttivo;

# Epilessia temporale (rara);

# Apoplessia ipofisaria (infarto emorragico).

 

Sintomi correlati all’ ipofunzione ipofisaria

Quando la massa tumorale comprime le cellule della ghiandola pituitaria può progressivamente indurre insufficienza ipofisaria (ipopituitarismo).

Il quadro clinico dipende da quale ormone è coinvolto.

 

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Diagnosi

Anamnesi e visita del paziente

Il primo approccio diagnostico è rappresentato dall‘anamnesi e da un attento esame obiettivo.Il medico raccoglie le informazioni esposte dal paziente relative ai sintomi e in particolare alla storia clinica familiare (presenza in famiglia di altri casi di tumore dell’ipofisi o di alcune sindromi ereditarie).L’esame fisico consente di evidenziare sintomi e segni clinici caratteristici della malattia ediverificare lo stato di salute generale del paziente. La visita medica può includere un esame neurologico, per cercare eventuali disturbi a carico del sistema nervoso, che potrebbero essere causati dalla compressione esercitata dalla massa tumorale.

 

Esame per valutare l’acuità visiva

Le manifestazioni cliniche oculari consistono principalmente in:

 

# Anomalie nella visione dei colori (sintomo precoce);

# Riduzione dell’acuità visiva (sintomo tardivo);

# Disturbi della motilità oculare (diplopia, oftalmoplegia) o pupillare (midriasi).

 

La valutazione oculistica permette di valutare la vista, il campo visivoe diagnosticare eventuali disturbi visivi causati da un adenoma ipofisario che comprime il chiasma ottico. Il paziente viene sottoposto ad esame del fondo oculare, per studiare le strutture interne al bulbo oculare, tra cui il nervo ottico. Un’ulterioredeterminazione consiste nell’esame campimetrico, che permette di verificare eventuali alterazioni a livello del campo visivo: questo test misura sia la visione centrale (quanto una persona può vedere quando guarda davanti a sé) che quella periferica (quanto una persona può vedere in tutte le altre direzioni).

 

Indagini di laboratorio

Quando si sospetta che l’adenoma ipofisario abbia ridotto la funzionalità della porzione sana della ghiandola pituitaria è possibile ricorrere ad un semplice prelievo di sangue e ad un esame delle urine. Le indagini di laboratorio consentono di valutare la presenza di eventuali alterazioni ormonali a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi e degli organi bersaglio, e permettono di definire se l’adenoma determina ipopituitarismo (insufficienza ipofisaria) o sindrome ipersecretoria (sovrapproduzione con eccesso di uno o più ormoni).

Gli esami di funzionalità endocrina prevedono:

 

# dosaggio basale delle tropine ipofisarie: sono esami che permettono di misurare i livelli ormonali nel sangue. Una quantità superiore o inferiore al normale di questi ormoni prodotti dalla ghiandola pituitaria può essere un segno di adenoma ipofisario. In particolare, si dosano i livelli di prolattina sierica, TSH (ormone tiroide-stimolante), GH (ormone della crescita), ACTH (ormone adrenocorticotropo) e FSH (ormone follicolo-stimolante).

# dosaggio basale degli ormoni prodotti dagli organi bersaglio: si possono misurare i livelli di T4 libera (FT4, tiroxina libera), IGF-1 (fattore di crescita insulino-1), cortisolemia (dosaggio del cortisolo sierico) e cortisoluria (cortisolo libero urinario), 17β-estradiolo (donne) o testosterone (maschi).

 

Le valutazioni endocrinologiche possono prevedere anche prove di inibizione e stimolazione, che permettono di valutare la riserva secretoria ipofisaria di determinati ormoni, eventuali disfunzioni nello stimolo ipotalamico, la risposta ormonale degli organi bersaglio ecc.

Alcune di queste indagini possono comprendere:

 

# ITT (Insulin Tolerance Test o test di tolleranza all’insulina);

# Test di stimolo di GH (ormone della crescita) con arginina e GHRH;

# OGTT (Oral Glucose Tolerance Test o test da “carico orale di glucosio”);

# Dosaggio del cortisolo con stimolo di ACTH;

# Prove di soppressione con desametazone ad alte dosi e/o a basso dosaggio.

 

Diagnostica per immagini

Infine, per aiutare il medico a definire la posizione e le dimensioni dell’adenoma ipofisario, sono disponibili esami di tipo neuro-radiologico, come la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica (RM) cerebrale con mezzo di contrasto (in genere, gadolinio). Queste tecniche forniscono una serie di immagini dettagliate delle strutture interne del cervello e del midollo spinale, e permettono di identificare, in modo affidabile, lesioni anche di piccole dimensioni (da circa 2 mm di diametro). L’adenoma viene evidenziato come una massa ipodensa nel parenchima ipofisario, con estensione intrasellare o extrasellare (rispetto alla sella turgica) e con alterazione del profilo superiore della ghiandola ipofisaria. Questa indagine consente di evidenziare anche il grado di compressione delle diverse strutture adiacenti alla massa tumorale.

 

Cure e Trattamento

La terapia dell’adenoma ipofisario prevede idealmente la collaborazione di diversi specialisti (endocrinologo, neurochirurgo e neurologo) ed è simile a quella di altri tumori:

 

# Terapia farmacologica (in genere, è efficace nei tumori con ipersecrezione di prolattina o di ormone della crescita, ma non in quelli con ipersecrezione di ACTH);

# Radioterapia;

# Rimozione chirurgica del tumore.

La diagnosi precoce degli adenomi ipofisari è la chiave per il successo del trattamento. Alcuni fattori influenzano la prognosi e le opzioni terapeutiche che possono essere adottate. La prognosi (probabilità di guarigione) dipende dal tipo di tumore e dal fatto che questo si sia diffuso o meno in altre aree del sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) o in altre parti dell’organismo.

Le opzioni di trattamento di un adenoma ipofisario dipendono dai seguenti fattori:

 

# Età del paziente e condizioni di salute generale;

# Tipo e dimensione dell’adenoma ipofisario;

# Se il tumore è un adenoma funzionante che secerne ormoni oppure no;

# Se il tumore è causa di disturbi locali o di altri sintomi;

# Se il tumore è diffuso alle strutture circostanti limitrofe alla ghiandola pituitaria o ad altre parti del corpo;

# Se l’adenoma ipofisario è stato diagnosticato da breve tempo o tende a recidivare.

 

Terapia farmacologica

 

Quando il paziente è affetto da un adenoma ipofisario che iperproduce un determinato ormone, in alcuni casi è possibile ricorrere alla terapia farmacologica. Spesso, il trattamento prevede la somministrazione di neurormoni inibitori (dopaminergici ed analoghi della somatostatina), in grado di limitare la secrezione di ormoni in eccessoe di ridurre le dimensioni della massa tumorale.

L’adenoma ipofisario che risponde meglio a questo tipo di trattamento è il prolattinoma (adenoma ipofisario secernente prolattina). La terapia medica prevede spesso la sola somministrazione di agonisti dopaminergici (legano la dopamina), i quali riducono la secrezione di prolattina e potenzialmente anche la massa tumorale, consentendo quindi di evitare l’asportazione chirurgica. Da questo punto di vista, è importante considerare che la terapia farmacologica dev’essere posta dopo la diagnosi differenziale con il macroprolattinoma, dove la terapia è essenzialmente chirurgica. I farmaci più utilizzati per gli adenomi secernenti prolattina sono la bromocriptina e la cabergolina: entrambi sono agonisti della dopamina che diminuiscono la secrezione di prolattina, alleviano i sintomi e spesso riducono le dimensioni della massa tumorale. Possibili effetti collaterali di questi farmaci includono sonnolenza, vertigini, nausea, vomito, diarrea o costipazione, confusione e depressione. Durante l’assunzione di questi farmaci, alcune persone possono anche manifestare comportamenti compulsivi.

Gli analoghi della somatostatina (octreotide, lanreotide ecc.) sono disponibili per il trattamento medico degli adenomi ipofisari GH-secernenti (ormone della crescita) e possono essere utilizzati anche per alcuni adenomi TSH-secernenti. Questi farmaci possono avere effetti collaterali minori, quali nausea, vomito, diarrea, mal di stomaco, vertigini, mal di testa e dolore al sito di iniezione, anche se molti di questi tendono a migliorare o a scomparire con il tempo. Possono anche causare calcoli biliari e possono peggiorare il diabete, se è già stato diagnosticato nel paziente.

La terapia farmacologica svolge un ruolo importante nella gestione della malattia di Cushing e nell’acromegalia.

 

Se un adenoma ipofisario provoca una diminuzione della secrezione ormonale o se la rimozione chirurgica del tumore ha indotto un deficit nella produzione degli ormoni, potrebbe essere necessario ricorrere ad una terapia sostitutiva specifica per mantenere i livelli ormonali a valori normali ed affrontare l’insufficienza ipofisaria (ipopituitarismo).

 

Chirurgia

 

Il trattamento degli adenomi ipofisari di grandi dimensioni consiste comunemente nella chirurgia. Di solito, la rimozione chirurgica è necessaria quando l’adenoma ipofisario comprime strutture limitrofe o se è ipersecernente. Il successo della chirurgia dipende dal tipo di tumore, dalla sua posizione e dimensione e dall’invasione o meno dei tessuti circostanti. Nella maggior parte dei pazienti la terapia chirurgica consente una prognosi positiva e la guarigione completa.

La chirurgia permette la completa asportazione dell’adenoma ipofisario e prevede principalmente due tecniche:

 

# Approccio transfenoidale. La localizzazione dell’ipofisi consente un intervento transfenoidale, dove il chirurgo utilizza endoscopi per accedere all’osso sfenoide, passando attraverso la cavità nasale oppure sotto il labbro superiore. Questa procedura è mini- invasiva, non prevede incisioni esterne, riduce al minimo le complicazioni e il tempo di ricovero ospedaliero. Tuttavia, l’intervento transfenoidale consente di trattare solo gli adenomi di dimensioni contenute (microadenomi) e con un basso grado di invasività.

# Approccio transcranico (craniotomia). Alcuni macroadenomi si estendono nella cavità cerebrale e possono richiedere l’apertura del cranio, mediante un’incisione nel cuoio capelluto, per accedere al tumore. Spesso, la procedura si associa a terapia farmacologica e a radioterapia post-operatoria.

 

 

Radioterapia

 

Alcuni adenomi ipofisari non possono essere rimossi chirurgicamente, in quanto non facilmente accessibili, mentre altri possono risultare refrattari al trattamento con i farmaci. La radioterapia utilizza radiazioni ad alta energia, che agiscono selettivamente sul tumore bersaglio (in genere, le strutture cerebrali circostanti ricevono solo una frazione della radiazione). Tra le diverse metodiche ricordiamo la radioterapia convenzionale e stereotassica (gamma-knife).

La radioterapia può essere efficace nel controllare la crescita degli adenomi ipofisari o per distruggere eventuali cellule tumorali residue (radioterapia post-operatoria). Tuttavia, il trattamento con le radiazioni può determinare, in alcuni casi, insufficienza ipofisaria, la quale si verifica generalmente diversi anni dopo il trattamento e rende necessaria una terapia ormonale sostitutiva.

 

Prognosi e aspettative di vita

 

La prognosi degli adenomi ipofisari è positiva: l’asportazione chirurgica è sicura e consente di ripristinare la normale produzione ormonale. La remissione (guarigione completa) può essere ottenuta nel 90% dei pazienti con microadenomi e in circa il 50-60% dei casi di macroadenomi. Inoltre, l’adenoma ipofisario è un tipo di tumore che tende difficilmente recidivare. In alcuni casi, dopo l’intervento chirurgico può comparire una insufficienza ipofisaria: questa condizione rappresenta un’evenienza rara nei microadenomi, mentre è più frequente nei macroadenomi (30% dei casi).

 

 

PROLATTINOMA

 

Il prolattinoma è un tumore benigno dell’ipofisi anteriore, che, quando è di grandi dimensioni, favorisce la produzione di prolattina in modo così forte da instaurare una condizione medica nota come iperprolattinemia.

Nelle donne, il prolattinoma è responsabile principalmente di: oligomenorrea, amenorrea, galattorrea, acne e irsutismo; negli uomini, invece, è causa di: ginecomastia, disfunzione erettile e riduzione della peluria. Inoltre – ma questo vale per entrambi i sessi – la sua presenza riduce il desiderio sessuale e può provocare disturbi, quali: mal di testa, vomito, nausea, ipopituitarismo e emianopsia bitemporale.

Dovuto a fattori scatenanti ancora sconosciuti, il prolattinoma richiede un trattamento solo quando è responsabile dei sintomi e dei segni sopra riportati. Tra i trattamenti praticabili, figurano sia rimedi farmacologici sia rimedi chirurgici.

 

Breve richiamo sulla prolattina

 

La prolattina è un ormone, la cui secrezione spetta all’ipofisi, per la precisione all’ipofisi anteriore o adenoipofisi.

La prolattina è nota ai più soprattutto per il ruolo cruciale che ha nella donna; nei soggetti di sesso femminile, infatti, promuove:

 

# Lo sviluppo del seno in età puberale e

# Il processo di lattazione nella fase successiva al parto.

Per quanto concerne l’uomo, il ruolo della prolattina è molto meno chiaro e definito che non nella donna. Le uniche certezze in merito sono che, a un’iperproduzione di prolattina nei soggetti maschi corrispondono problematiche come: disfunzione erettile, ginecomastia (ovvero anomalo sviluppo delle mammelle nell’uomo) e impotenza (legata a un’azione inibitoria nei confronti del testosterone).

 

Cos’è il Prolattinoma?

Il prolattinoma è un tumore benigno dell’ipofisi, che determina un’iperproduzione dell’ormone prolattina e instaura, conseguentemente, una condizione di iperprolattinemia (prolattina alta nel sangue).

Sebbene non sia un tumore mortale, il prolattinoma può avere spiacevoli conseguenze, a partire dalla cospicua riduzione dei livelli di ormoni sessuali, sia nella donna (estrogeni) che nell’uomo (testosterone).

 

Che tipo di tumore benigno è?

Il prolattinoma è un tumore benigno appartenente alla tipologia degli adenomi.

In ambito medico, prende il nome di adenoma qualsiasi tumore benigno che trae origine o dalle cellule epiteliali degli organi ghiandolari esocrini o dalle cellule epiteliali dei tessuti con proprietà secretorie.

 

Epidemiologia

Tra i tumori dell’ipofisi con la peculiarità di stimolare la secrezione ormonale (nel caso in questione la secrezione della prolattina), il prolattinoma è il più comune.

Le statistiche dicono che il prolattinoma è un tumore alquanto diffuso nella popolazione generale, ma anche che è clinicamente rilevante solo in un numero esiguo di casi (14 individuo ogni 100.000).

Alquanto insolito tra i giovani, il prolattinoma colpisce più frequentemente le donne, rispetto agli uomini.

Studi autoptici condotti negli Stati Uniti hanno dimostrato che tra il 6 e il 25% della popolazione Statunitense è portatore di un prolattinoma di piccole dimensioni, irrilevante dal punto di vista clinico.

 

Cause

Attualmente, le cause del prolattinoma sono sconosciute; tuttavia, gli studi condotti in merito non sono stati completamente inutili, in quanto hanno evidenziato che:

 

# Il prolattinoma è un tumore sporadico, quindi non è trasmesso per via ereditaria.

# L’esposizione prolungata allo xenoestrogeno bisfenolo A favorisce la crescita e l’attività delle cellule ipofisarie che producono prolattina (cellule lattotrope), promuovendo l’iperprolattinemia.

 

Sintomi e Complicazioni

Se è di piccole dimensioni, il prolattinoma è una presenza generalmente asintomatica, ossia priva di sintomi e segni; in questi frangenti, quindi, la persona affetta sta bene e conduce una vita del tutto normale.

Al contrario, se il prolattinoma è di dimensioni medio-grandi, è responsabile di un ben preciso quadro sintomatologico, che trova spiegazione nell’iperprolattinemia – condizione derivante dalla maggiore produzione di prolattina – e nella compressione esercitata dalla massa tumorale, nei confronti delle strutture anatomiche adiacenti.

 

Conseguenze dell’iperprolattinemia nella donna

 

Nelle donne, l’iperprolattinemia indotta da un prolattinoma può essere causa di:

 

# Un ritardo nella ricorrenza delle mestruazioni (oligomenorrea) o l’assenza delle mestruazioni (amenorrea);

# Galattorrea, ossia il rilascio di latte dalle mammelle al di fuori del periodo dell’allattamento materno;

# Dispareunia, cioè dolore durante i rapporti sessuali;

# Acne e irsutismo (crescita anomala di peli duri e grossolani nelle persone di sesso femminile).

 

Conseguenza dell’iperprolattinemia nell’uomo

 

Negli uomini, l’iperprolattinemia derivante da un prolattinoma può determinare:

 

# Disfunzione erettile;

# Riduzione della peluria sul viso e in generale su tutto il corpo;

# Ginecomastia, ossia sviluppo anomalo delle mammelle;

# Galattorrea maschile (molto raro).

 

Conseguenze dell’iperprolattinemia comuni a entrambi i sessi

 

Sia nell’uomo che nella donna, l’iperprolattinemia prolattinoma-dipendente è responsabile di:

 

# Ipogonadismo. È la riduzione dell’attività funzionale delle gonadi, che porta a un calo dei livelli di testosterone, nell’uomo, e a un calo dei livelli di estrogeni, nella donna.

# Un calo del desiderio sessuale (o calo della libido). È una conseguenza della riduzione del testosterone, nell’uomo, e degli estrogeni, nella donna.

# Un calo della densità minerale ossea. Per entrambi i sessi, la causa di questo calo è, ancora una volta, la riduzione degli ormoni sessuali circolanti.

# Infertilità.

 

Conseguenze dell’effetto massa

 

La compressione esercitata da un prolattinoma di dimensioni medio-grandi a carico delle strutture vicine può dare origine a:

 

# Mal di testa ricorrente;

# Vertigini;

# Nausea e vomito;

# Emianopsia bitemporale. È un’alterazione della vista caratterizzata dall’impossibilità di percepire una metà del campo visivo.

Può scaturire da un prolattinoma, nel momento in cui il tumore in questione entra in contatto con il chiasma ottico, una caratteristica zona del cervello adiacente all’ipofisi, in cui si incrociano le fibre nervose dei nervi ottici;

# Calo degli altri ormoni ipofisari (ipopituitarismo). È come se, a causa del suo notevole volume, il prolattinoma impedisse alle altre cellule dell’ipofisi di funzionare adeguatamente.

 

Complicazioni

 

Possibili complicanze attribuibili al prolattinoma sono:

 

# L‘osteoporosi. Dipende dal calo della densità minerale ossea, calo che, come descritto in precedenza, deriva dall’aumento della prolattina nel sangue e dalla conseguente riduzione degli ormoni sessuali.

# L‘ipotiroidismo, l’insufficienza surrenalica e il deficit di ormone della crescita. Sono tutte condizioni che dipendono all’ipopituitarismo prolungato.

 

 Conseguenza di una gravidanza in presenza di prolattinoma

 

Nelle donne con un prolattinoma piccolo e asintomatico, lo stato di gravidanza (per via della maggior quantità di estrogeni circolanti) può promuovere l’ingrandimento della massa tumorale e il suo palesarsi attraverso sintomi, come mal di testa, vertigini, problemi di vista ecc.

 

IL PROLATTINOMA PUÒ MUTARE NEL TEMPO?

Studi medici hanno osservato che il prolattinoma presenta un tasso di crescita diverso da individuo a individuo, ma anche che quando è di piccole dimensioni tende a rimanere tale, mentre quando è di dimensioni medio-grandi ha una maggiore tendenza a diventare ancora più grande.

In ogni caso, comunque, il prolattinoma difficilmente assume una natura maligna, trasformandosi da adenoma ad adenocarcinoma.

 

 

DIAGNOSI

 

Sintomi e segni, come l’oligomenorrea, l’amenorrea, la galattorrea, la disfunzione erettile, la ginecomastia, l’irsutismo ecc., hanno sempre una certa rilevanza clinica, pertanto, in loro presenza, è opportuno contattare senza esitazione e al più presto il medico curante.

In genere, la diagnosi di prolattinoma inizia dall’esame obiettivo e dall’anamnesi; quindi, prosegue con approfonditi esami del sangue e un esame di diagnostica per immagini (risonanza magnetica nucleare o TAC) riferito all’encefalo; infine, termina con un esame della vista.

 

Esame obiettivo e anamnesi

L’esame obiettivo e l’anamnesi servono al medico per conoscere nei dettagli la sintomatologia presente. La conoscenza dei sintomi e dei segni in atto è fondamentale per delineare un ipotetico quadro clinico e stabilire con quali altre indagini proseguire.

Esami del sangue

Gli esami del sangue permettono di stimare i livelli di prolattina.

Come affermato in più di un’occasione, l’iperprolattinemia (cioè l’alta concentrazione di prolattina nel sangue) è una conseguenza tipica del prolattinoma.

Risonanza magnetica o TAC al cervello

La risonanza magnetica nucleare e la TAC al cervello sono gli unici esami diagnostici che permettono di confermare la presenza di un prolattinoma, presenza che finora era soltanto un’ipotesi.

 

Cause di iperprolattinemia che potrebbero essere scambiate per prolattinoma

 

La presenza di iperprolattinemia non significa, in automatico, prolattinoma. Ecco spiegato per quale motivo, dopo un esame del sangue che evidenza alti livelli di prolattina, è opportuno eseguire un accertamento mediante o una risonanza magnetica al cervello o una TAC cerebrale.

Tra le cause di iperprolattinemia diverse dal prolattinoma, figurano: l‘ipotiroidismo, l’assunzione di certi farmaci (es: antagonisti dopaminergici, inibitori della sintesi della dopamina, inibitori della ricaptazione della serotonina), l’insufficienza renale cronica, la cirrosi, lo stress, tumori ipofisari diversi dal prolattinoma (es: craniofaringioma) ecc.

 

Terapia

 

Gli obiettivi della terapia adottata in presenza di un prolattinoma sono:

 

# Riportare nella norma i livelli ematici di prolattina;

# Ripristinare le normali funzioni dell’ipofisi;

# Ridurre le dimensioni della massa tumorale, così da eliminare i sintomi derivanti dalla compressione a carico delle strutture anatomiche adiacenti;

# Migliorare in generale la qualità della vita del paziente.

Attualmente, per poter raggiungere tali obiettivi, i pazienti con un prolattinoma sintomatico possono contare sia su una terapia farmacologica sia su una terapia chirurgica.

 

Terapia farmacologica

 

Per capire la terapia farmacologica del prolattinoma, occorre fare un piccolo passo indietro e mettere al corrente il lettore che la dopamina – il noto neurotrasmettitore associato alla malattia di Parkinson e alla dipendenza da molte droghe – svolge l’importante ruolo di inibitore fisiologico della secrezione della prolattina; in altre parole, in una persona sana, a bloccare la produzione di prolattina (per evitare un eccesso di quest’ultimo a livello ematico) è la dopamina.

Tornando quindi alla terapia farmacologica della prolattinoma, tale cura consiste, sostanzialmente, nella somministrazione di agonisti dopaminergici, ossia medicinali che mimano, una volta assunti, gli effetti della dopamina nei confronti della secrezione di prolattina da parte dell’ipofisi.

È doveroso precisare che, tra gli agonisti dopaminergici impiegati nel trattamento del prolattinoma, spiccano la bromocriptina e la cabergolina, per via della loro capacità aggiuntiva di ridurre le dimensioni della massa tumorale. In altre parole, la bromocriptina e la cabergolina svolgono non solo la stessa azione inibitoria della dopamina (nei confronti delle cellule ipofisarie che producono la prolattina), ma sono capaci anche di far regredire il prolattinoma.

Agendo prevalentemente sui sintomi, la terapia farmacologica del prolattinoma è un trattamento a cui i pazienti devono sottoporsi per lungo tempo, se non per il resto della loro vita.

 

QUANTO È EFFICACE LA TERAPIA FARMACOLOGICA?

Le statistiche dicono che l’uso della bromocriptina e della cabergolina, nelle persone con prolattinoma, riduce la massa tumorale e riporta nella norma i livelli troppo elevati di prolattinoma in ben l’80% dei casi clinici.

Quindi, bromocriptina e cabergolina sono degli ottimi farmaci per la cura del prolattinoma, tanto da costituire il trattamento di prima linea per questo tipo di tumore.

 

EFFETTI COLLATERALI DI BROMOCRIPTINA E CABERGOLINA

L’assunzione di bromocriptina o cabergolina può avere effetti avversi, quali: nausea, vomito, vertigini, mal di testa e sonnolenza.

A sviluppare con maggiore frequenza tali effetti collaterali sono i pazienti con prolattinoma che soffrono anche di ipotensione o che presentano fisiologicamente una pressione arteriosa bassa.

In generale, comunque, i farmaci anti-prolattinoma sono considerati abbastanza sicuri.

In rarissime circostanze, la cabergolina può recare danno alle valvole cardiache o portare allo sviluppo di comportamenti anomali, come per esempio la tendenza al gioco d’azzardo.

 

BROMOCRIPTINA E CABERGOLINA DURANTE LA GRAVIDANZA

Attualmente, non sono chiari gli effetti dell’assunzione di bromocriptina o cabergolina durante la gravidanza.

Pertanto, una volta rimaste incinte, le donne con un prolattinoma, che stanno seguendo una terapia a base di uno dei farmaci in questione, sono costrette a interrompere le assunzioni (salvo diversa indicazione del medico).

 

È MEGLIO LA BROMOCRIPTINA O LA CABERGOLINA?

# La cabergolina sembra essere più efficace della bromocriptina; inoltre, è meno frequentemente causa di effetti collaterali.

# La bromocriptina, però, è meno costosa della cabergolina ed è ampiamente sicura in caso di un suo impiego prolungato (non sono ancora chiare le conseguenze a lungo termine dell’uso della cabergolina).

 

 

Terapia chirurgica

 

La terapia chirurgica del prolattinoma consiste in un’operazione di rimozione della massa tumorale.

Data la delicatezza di tale operazione, i medici ricorrono alla terapia chirurgia solo se la terapia farmacologica si è dimostrata inefficace (in altre parole, quindi, quando non ci sono alternative).

Attualmente, sono disponibili due tecniche chirurgiche (o approcci chirurgici) per l’esecuzione dell’asportazione: la cosiddetta chirurgia transfenoidale e la cosiddetta chirurgia transcraniale.

Ideale per i prolattinomi di dimensioni contenute, la chirurgia transfenoidale prevede la rimozione della massa tumorale attraverso le cavità nasali; specifica per i prolattinomi di grandi dimensioni, invece, la chirurgia transcraniale prevede la rimozione della massa tumorale attraverso un’incisione praticata sul cranio.

Se praticata a dovere, la terapia chirurgica del prolattinoma è molto efficace; tuttavia, è doveroso precisare che, anche in caso di successo della chirurgia, può capitare che il prolattinoma ricompaia a distanza di qualche tempo (recidiva).

 

 

Quando, in occasione di un prolattinoma, la terapia chirurgica sostituisce la terapia farmacologica?

# Quando, nonostante le assunzioni farmacologiche, i livelli di prolattina rimangono comunque elevati.

# Quando il  prolattinoma è molto grande e i farmaci, nonostante riducano la prolattina circolante, non riescono a ridurre in modo apprezzabile le dimensioni della massa tumorale (quindi, il prolattinoma continua a premere sulle strutture cerebrali adiacenti).

 

A CHI SPETTA LA SCELTA DELL’APPROCCIO CHIRURGICO

La scelta dell’approccio chirurgico spetta al medico specialista che effettuerà la futura operazione di asportazione del prolattinoma.

Ogni decisione relativa alla tecnica chirurgica di rimozione arriva dopo un’opportuna valutazione delle dimensioni della massa tumorale e della sua precisa posizione.

 

Prognosi

 

La prognosi in caso di prolattinoma varia da eccellente, quando la massa tumorale è piccola, a variabile, quando la quando la massa tumorale è medio-grande. Nella prima circostanza, infatti, il prolattinoma è asintomatico e difficilmente aumenta di volume nel corso del tempo, mentre, nella seconda circostanza, è responsabile di disturbi che possono non rispondere alle terapie adottate e potrebbe espandersi ulteriormente, causando nuovi sintomi (e peggiorando quelli già presenti).

Un prolattinoma di dimensioni medio-grandi richiede la pianificazione di un trattamento farmacologico adeguato, che, in caso di fallimento, costringe a ricorrere alla chirurgia.

 

Importanza del monitoraggio

I medici raccomandano a chi è portatore di un prolattinoma il monitoraggio periodico di quest’ultimo, per rilevare per tempo eventuali cambiamenti.

 

 

SINDROME DI SHEEHAN

 

La sindrome di Sheehan è una rara complicanza che può colpire le donne durante o dopo il parto.

La condizione si verifica a causa di una necrosi ipofisaria ischemica, generalmente secondaria ad una perdita di una quantità potenzialmente letale di sangue (emorragia uterina) o ad un abbassamento della pressione arteriosa (ipotensione) di grave entità. Il ridotto apporto ematico e la carenza di ossigeno che conseguono a tali eventi possono danneggiare l’ipofisi (piccola ghiandola situata alla base del cervello), la quale non riesce più a produrre abbastanza ormoni. Nella sindrome di Sheehan, si viene così a creare uno stato di insufficienza ipofisaria (ipopituitarismo).

 

Dopo la nascita del bambino, la mancanza della montata lattea e la mancata ripresa delle mestruazioni (amenorrea post-gravidica) sono i sintomi di presentazione più comuni.

 

La diagnosi della sindrome di Sheehan richiede l’esecuzione di esami neuroradiologici ed il dosaggio degli ormoni ipofisari, in condizioni basali e dopo vari tipi di test di stimolo. Queste indagini hanno l’obiettivo di determinare quali ormoni ipofisari sono deficitari e se è necessario sostituirli farmacologicamente.

 

Il trattamento della sindrome di Sheehan prevede, di solito, la terapia ormonale sostitutiva, da modulare sulla base degli ormoni di cui la donna risulta carente.

 

La sindrome di Sheehan consiste in una necrosi ipofisaria ischemica, causata da un’ipovolemia e da uno stato di shock, che si manifesta durante o subito dopo il parto.

 

Chiamata anche ipopituitarismo post-partum, questa condizione è caratterizzata dalla secrezione ridotta o assente di uno o più ormoni da parte dell’ipofisi (o ghiandola pituitaria). La presentazione della sindrome di Sheehan varia da una paziente all’altra (le manifestazioni cliniche vanno dai sintomi non specifici al coma). Di solito, non compare la secrezione lattea (agalattia) e la paziente può lamentare affaticamento, amenorrea, intolleranza al freddo e perdita dei peli pubici e ascellari.

La maggior parte delle pazienti ha una sintomatologia lieve, pertanto la sindrome di Sheehan non viene diagnosticata e trattata per un lungo periodo di tempo.

 

Cause

 

La sindrome di Sheehan è causata da una grave perdita di sangue o una pressione sanguigna estremamente bassa, durante o dopo il parto. Questi fattori possono essere particolarmente dannosi per la ghiandola pituitaria. Nel corso della gravidanza, infatti, quest’ultima aumenta fisiologicamente di volume. Nella sindrome di Sheehan, la carenza di ossigeno secondaria all’ipovolemia o alla crisi ipotensiva, danneggia il tessuto che normalmente produce gli ormoni ipofisari e la ghiandola va incontro ad un’ipofunzione.

Raramente, il quadro clinico della sindrome di Sheehan può essere osservato senza un’emorragia massiva o dopo un parto normale.

 

Sindrome di Sheehan: ormoni ipofisari e possibili conseguenze

 

Gli ormoni secreti dall’ipofisi e quelli prodotti dai loro organi bersaglio controllano il metabolismo, la fertilità, la pressione sanguigna, la produzione di latte materno e molti altri processi vitali. Pertanto, una mancanza di questi ormoni può causare problemi in tutto il corpo.

 

Per comprendere al meglio come il danno all’ipofisi sia implicato nella sindrome di Sheehan, occorre ricordare alcune nozioni circa gli ormoni prodotti dalla stessa:

# ACTH (ormone adrenocorticotropo): stimola le ghiandole surrenali a produrre cortisolo. La carenza di ACTH si traduce in un deficit di cortisolo per l’ipoattività delle ghiandole surrenali.

# Ossitocina: ormone necessario per il travaglio, il parto (stimola le contrazioni) e l’allattamento.

# PRL (prolattina o ormone lattotropo): responsabile della produzione del latte da parte delle mamme dopo il parto. La carenza di prolattina è associata alla riduzione o totale assenza della lattazione. Nella sindrome di Sheehan, la montata lattea non si verifica, in quanto la necrosi ipofisaria determina la distruzione delle cellule galattotrope deputate alla produzione di prolattina (PRL).

# TSH (ormone tireostimolante o tireotropo): regola la produzione degli ormoni da parte della ghiandola tiroide. La mancanza o la carenza di ormone tireotropo si ripercuote sull’attività della tiroide (in particolare, sulla produzione di T3 e T4), determinando ipotiroidismo.

# LH (ormone luteinizzante) e FSH (ormone follicolostimolante): controllano la fertilità in entrambi i sessi (ovulazione nelle donne, produzione di sperma negli uomini) e stimolano la secrezione degli ormoni sessuali da ovaie e testicoli (estrogeni e progesterone nelle donne; testosterone nell‘uomo). Nella sindrome di Sheehan, l’amenorrea post-gravidica avviene per il coinvolgimento ischemico dell’area deputata alla produzione degli ormoni gonadotropi ipofisari, con mancata secrezione di LH ed FSH.

# GH (ormone della crescita o somatotropo): è necessario per lo sviluppo nei bambini (ossa e massa muscolare), ma ha effetti sull’intero organismo durante tutta la vita. Negli adulti, il deficit di ormone della crescita può determinare mancanza di energie fisiche, cambiamenti nella composizione corporea (incremento del grasso e decremento della massa muscolare) ed aumento del rischio cardiovascolare.

# ADH (ormone antidiuretico o vasopressina): contribuisce a mantenere un normale bilancio idrico. La carenza di ormone antidiuretico (o vasopressina) si ripercuote sui reni e può tradursi nel diabete insipido. Questa condizione si manifesta tipicamente con sete eccessiva, urine diluite e minzioni frequenti (poliuria), particolarmente durante la notte.

 

Fattori di rischio

 

Qualsiasi condizione che aumenti la possibilità di incorrere in una grave perdita di sangue (emorragia) o una bassa pressione sanguigna durante il parto, può aumentare il rischio di manifestare la sindrome di Sheehan.

Tra i principali fattori di rischio rientrano le gravidanze gemellari e le complicanze placentari.

Nelle donne che soffrono di grave emorragia post partum, altre condizioni che potrebbero giocare un ruolo nella patogenesi della sindrome di Sheehan comprendono l’ipertrofia fisiologica della ghiandola pituitaria in gravidanza (quindi l’ipofisi per sostenere la sua attività necessita di un maggiore apporto di sangue), la coagulazione intravascolare disseminata e l’autoimmunità.

 

Da sapere

L’emorragia uterina post-partum è una complicazione piuttosto rara ed occorre considerare che la sindrome Sheehan si verifica ancora meno frequentemente. Entrambi i rischi sono notevolmente ridotti con la cura ed il monitoraggio della donna durante il travaglio ed il parto.

 

Va segnalato, inoltre, che la sindrome di Sheehan non è comune nelle nazioni industrializzate, in gran parte a causa del miglioramento dell’assistenza ostetrica e della disponibilità di una rapida trasfusione di sangue. Il rischio rimane, invece, per le donne nei Paesi in via di sviluppo.

 

Sintomi e Complicazioni

I sintomi della sindrome di Sheehan si presentano tipicamente in modo graduale, dopo un periodo di alcuni mesi o addirittura anni. Altre volte, i segni compaiono subito dopo il parto, come accade, ad esempio, con l’incapacità di allattare al seno, oppure si manifestano con un ipopituitarismo ad esordio brusco.

Le manifestazioni della sindrome di Sheehan si verificano a causa del deficit di ormoni prodotti dalla ghiandola pituitaria. Oltre che sulla produzione di latte materno, gli effetti di questa disfunzione si ripercuotono sulle attività di tiroide e surreni e sul ciclo mestruale.

La carenza o l’assenza di uno, molti o tutti gli ormoni dell’ipofisi può comportare alterazioni importanti dell’organismo (ad eccezione di ossitocina e prolattina).

Il quadro clinico della sindrome di Sheehan può essere clinicamente evidente (cioè il deficit ormonale è clinicamente palese) o latente (si manifesta solo in determinate situazioni, come un forte stress, o viene rilevato solo attraverso alcuni test ormonali specifici).

 

Sindrome di Sheehan: come si manifesta

 

La sindrome di Sheehan può produrre vari segni e sintomi, che dipendono da qual è l’ormone ipofisario mancante o carente e comprendono:

 

# Difficoltà o incapacità di allattare al seno;

# Assenza di flussi mestruali (amenorrea) o mestruazioni non frequenti (oligomenorrea);

# Diminuzione dei valori di pressione arteriosa;

# Bassi livelli di zucchero (glucosio) nel sangue (ipoglicemia);

# Battito cardiaco irregolare;

# Difficoltà di concentrazione e sonnolenza;

# Dolore addominale;

# Stanchezza;

# Gonfiore generalizzato;

# Intolleranza al freddo;

# Incremento ponderale o, al contrario, perdita di peso.

 

Occorre segnalare che, per molte donne, i sintomi della sindrome di Sheehan sono aspecifici e, spesso, vengono attribuiti ad altre situazioni (ad esempio: la stanchezza può essere interpretata come conseguenza di essere diventata mamma). Esistono casi, poi, in cui è possibile che non compaiano affatto dei disturbi: l’entità dei sintomi della sindrome di Sheehan sono correlati, infatti, all’estensione del danno a carico della ghiandola pituitaria. L’ipopituitarismo post-partum può interessare, quindi, la produzione di uno o più ormoni.

Alcune donne vivono per anni senza sapere che la loro ipofisi non funziona correttamente. Tuttavia, uno stress fisico estremo, come una grave infezione o un intervento chirurgico, può innescare all’improvviso un‘insufficienza tiroidea o surrenale.

 

Complicazioni

 

Gli ormoni ipofisari controllano molti aspetti del metabolismo, quindi la sindrome di Sheehan può causare una serie di problemi, tra cui:

Crisi surrenale (condizione grave in cui le ghiandole surrenali producono troppo poco ormone cortisolo);

Bassa pressione sanguigna (ipotensione);

Riduzione dei livelli di sodio plasmatico;

Irregolarità mestruali;

Infertilità;

Debolezza e ridotta tolleranza allo sforzo.

 

Crisi surrenale: una situazione pericolosa per la vita

La complicanza più grave della sindrome di Sheehan è la crisi surrenale, cioè uno stato improvviso e potenzialmente letale, nel quale si vengono a manifestare in successione: pressione sanguigna estremamente bassa, shock, coma e morte.

 

Diagnosi

 

La diagnosi della sindrome di Sheehan può essere complessa. Molti dei sintomi si sovrappongono, infatti, a quelli di altre condizioni patologiche.

La diagnosi della sindrome di Sheehan è formulata sulla base dei sintomi presentati dalla paziente e sull’esito delle analisi di laboratorio (dosaggi ormonali) e degli esami di diagnostica per immagini effettuati sull’ipofisi.

Più nel dettaglio, le indagini necessarie a stabilire la presenza della sindrome di Sheehan comprendono:

# Anamnesi. Nella raccolta delle informazioni relative alla storia medica della paziente, è importante menzionare eventuali complicazioni del parto, a prescindere dal momento in cui è nato il bambino, in quanto i disturbi correlati alla sindrome di Sheehan possono esordire tardivamente. Altri dati anamnestici utili da riferire al medico sono l’amenorrea e la mancata produzione di latte, due segni chiave della sindrome di Sheehan.

# Esami del sangue e delle urine. Le analisi di laboratorio permettono di controllare se i livelli degli ormoni secreti dall’ipofisi e dai loro organi bersaglio rientrano nell’intervallo di riferimento (es. tiroxina libera, TSH, prolattina, LH, FSH e testosterone negli uomini o estradiolo nelle donne). Nel caso sia sospettata la sindrome di Sheehan, può essere richiesta anche l’esecuzione di un test di stimolazione degli ormoni ipofisari, per valutare la risposta della ghiandola. Questo test viene in genere svolto dopo aver consultato un medico specializzato in disturbi ormonali (endocrinologo). I dosaggi ormonali vengono eseguiti sul sangue e, talvolta, sulle urine.

# Esami neuroradiologici. Per controllare le dimensioni dell’ipofisi o escludere altre possibili condizioni che potrebbero giustificare il quadro sintomatologico (come un tumore pituitario), la paziente potrebbe essere sottoposta ad esami di imaging. Nella maggioranza delle pazienti con sindrome di Sheehan, la tomografia computerizzata (TC) ad alta risoluzione e la risonanza magnetica (RM) con mezzo di contrasto dimostrano una sindrome della sella vuota secondaria.

 

Trattamento

 

Il trattamento della sindrome di Sheehan prevede, di solito, la sostituzione degli ormoni deficitari con composti sintetici. L’obiettivo consiste nel minimizzare i sintomi (cioè il paziente non deve avvertire le conseguenze della carenza ormonale) e permettere la conduzione di una vita normale.

 

La terapia ormonale sostitutiva viene adattata ad ogni singolo caso. Per questo motivo, la paziente con sindrome di Sheehan deve essere regolarmente monitorata dal proprio medico dopo l’inizio del trattamento.

 

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