I blog di Alessioempoli

Data 29 dicembre 2016

IPERTENSIONE

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IPERTENSIONE

 

 

 

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Di seguito riportiamo le ultime linee guida per la pressione ed il trattamento dell’ipertensione presentate nel 2003 da uno speciale Comitato del NHBPEP (National High Blood Pressure Education Program) e pubblicate sulla prestigiosa rivista “The Journal of the American Medical Association”.

 

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Ipertensione secondaria

 

L’ipertensione secondaria, ovvero quella forma di ipertensione che insorge come conseguenza di altre malattie, ha invece delle cause di origine ben defintie. Questa patologia che rappresenta soltanto il 5-10% di tutti i casi di ipertensione può essere causata da:

 

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SINTOMI

 

– asintomatica

– mal di testa

– ronzii alle orecchie

– vertigini

– sudorazione fredda

– cefalea nucale,spesso al risveglio

– astenia

– cardiopalmo

– angina pectoris

– dispnea

– fosfeni scintillanti

– amaurosi puntiforme

– acufeni

– impotenza

danni al cuore

ispessimento delle pareti

ischemia cardiaca

infarto

danni al cervello

ridotta concentrazione

perdita di memoria

demenza

ictus (per rottura vasale)

danni ai reni

accumulo o perdita di sostanze con le urine

gonfiori mattutini agli occhi e alle gambe

insufficienza renale

– danni vascolari

microlesioni vascolari

placche arteriosclerotiche

ispessimento dello strato muscolare

riduzione del calibro vascolare

diminuzione dell’elasticità

aumento della fragilità

rottura dei vasi

 

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CHE COSE’ LA PRESSIONE ARTERIOSA

 

La pressione arteriosa è quella forza con cui il sangue viene spinto attraverso i vasi.

Essa dipende dalla quantità di sangue che il cuore spinge quando pompa e dalle resistenze che si oppongono al suo libero scorrere.

 

La pressione può essere espressa tramite diverse unità di misura (Pascal, Torr, Atmosfera, Bar, ata).

Quando si parla di pressione arteriosa la scala di riferimento è il millimetro di mercurio (sigla mmHg)

 

La FISIOLOGIA insegna che il cuore è una pompa molto efficace capace di sollevare in 24 ore una tonnellata all’altezza di dieci metri. Contraendosi e rilassandosi questo prezioso organo invia il sangue a tutti i tessuti del corpo. Il lavoro svolto dal cuore è notevole tanto che nel corso della vita pompa circa 190 milioni di litri di sangue che sarebbero sufficienti a sollevare di tre metri un’intera portaerei.

 

Ogni volta che questo muscolo si contrae (sistole) il sangue viene messo in circolo con una notevole velocità (circa 50 cm/secondo). Le pareti dell’aorta, il principale vaso arterioso che esce dal cuore, vengono distese con forza dal passaggio del sangue. Fortunatamente queste pareti non sono rigide ma hanno la possibilità di dilatarsi e contrarsi in relazione alla quantità di sangue che le attraversa. Tale meccanismo consente di regolare efficacemente la pressione del sangue.

Tanto più il flusso viene ostacolato e tanto più lentamente la pressione scende. In questa situazione il valore minimo che si raggiunge prima della successiva sistole è superiore al valore normale di 80mm Hg.

 

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APPROCCIO NON FARMACOLOGICO

 

 

1) RIDUZIONE DEL PESO CORPOREO

 

L’obiettivo è il mantenimento di un indice di massa corporea (BMI o IMC) compreso tra 18,5 e 24,9 kg/m2. Tale valore si calcola dividendo il peso in Kg del soggetto con il quadrato dell’altezza espressa in metri.

Per ogni 10 kg persi si ha una riduzione della pressione, sia massima che minima, che varia dai 5 ai 20 mmHg. In altri termini si può considerare una riduzione di 1mmHg della pressione per ogni kg perso.

 

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Per tenere sotto controllo l’ipertensione è molto importante controllare non solo il peso corporeo totale, ma anche altri parametri come la distribuzione del grasso corporeo. Il BMI non tiene infatti conto della massa muscolare del soggetto e non fornisce alcun dato sulle zone in cui l’accumulo di adipe è maggiore.

Per un iperteso il grasso più pericoloso è quello che si accumula nel ventre formando il pancione tipico del sesso maschile (obesità androide o viscerale). Per ottenere una stima sulla reale distribuzione del grasso corporeo è sufficiente misurare il proprio giro vita. Se questo supera i 102 cm nei maschi e gli 88 per le femmine, si può generalmente parlare di obesità androide e di conseguenza, di elevato rischio cardiovascolare.

 

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Un altro indice molto più affidabile nel valutare la distribuzione del grasso corporeo è il WHR, un dato che esprime il rapporto tra la circonferenza della vita e la circonferenza dei fianchi.

Il rapporto vita/fianchi dovrebbe essere inferiore a 0,95 per gli uomini e 0,8 nelle donne.

Riportare o mantenere il proprio peso corporeo nella norma è dunque uno dei principali segreti per proteggersi dall’ipertensione.

 

2) ADOZIONE DELLA DIETA DASH

 

questo termine, che non ha nulla a che vedere con i detersivi, è l’acronimo di Dietary Approaches to Stop Hypertension, una particolare strategia alimentare appositamente studiata per la cura dell’ipertensione. I punti cardine di questa dieta sono diversi e comprendono il consumo di pasti ricchi di frutta e verdura, poveri di grassi (soprattutto animali), alcolici, sodio e zuccheri. Un simile approccio alimentare, oltre a tenere sotto controllo la pressione, favorisce anche la riduzione del grasso in eccesso.

 

3) RIDUZIONE DEL SODIO NELLA DIETA

 

anche i più golosi che non vogliono assolutamente privarsi di certi alimenti o seguire diete particolari, possono trarre numerosi benefici semplicemente riducendo l’aggiunta di sale negli alimenti. In termini quantitativi, ridurre l’apporto di sodio nella dieta a non più di 100 mmol/die (= 6 g di cloruro di sodio) permette di ridurre la pressione di 2-8 mmHg.

Ovviamente il sale si trova anche in numerosi prodotti alimentari preconfezionati (frutta secca, insaccati, snack ecc.) per cui andrebbe limitato anche il consumo di questa categoria di alimenti.

 

4) LIMITAZIONE DEI GRASSI SATURI nella dieta

 

(grassi animali come burro, insaccati, carni grasse, latticini ecc.) a favore di quelli monoinsaturi e polinsaturi (olio di oliva, olio di semi, pesce ecc.). Un altro fattore di rischio importante che occorre controllare è la dislipidemia. Si tratta di un quadro molto pericoloso in cui i livelli di colesterolo totale nel sangue superano i 250 mg/dl e contemporaneamente la frazione cattiva (LDL) supera i 155 mg/dl e quella buona (HDL) rimane al di sotto dei 40 mg/dl negli uomini e a 48mg/dl nelle donne. La contemporanea presenza di ipertensione e dislipidemia è molto pericolosa per la salute del cuore e del sistema cardiocircolatorio in genere.

 

5) MODERARE IL CONSUMO DI ALCOLICI

 

l’alcol se assunto a piccole dosi, quasi fosse un rimedio omeopatico, sembra avere un effetto protettivo sull’ipertensione grazie alle sue proprietà vasodilatanti. L’importante e non eccedere con le quantità, cioè non bere più di un quarto di vino, mezzo litro di birra, o due bicchierini (per le donne o uomini molto esili tali quantità vanno dimezzate).

Il consumo di alcolici non va dunque abolito ma mantenuto a dosi razionali.

 

6) ATTIVITÀ FISICA

 

Una regolare attività fisica aerobica, come il camminare sostenuto per almeno 30 minuti al giorno tre giorni alla settimana, permette di ridurre la pressione di 4-9 mmHg. Per approfondire l’argomento vedi: ipertensione e sport

 

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Gli effetti benefici dell’allenamento sono dovuti a numerosi fattori tra cui i più importanti sono:

 

CAPILARIZZAZIONE

aumento del numero di capillari a livello muscolare e cardiaco dove lo sviluppo del microcricolo coronarico allontana il rischio di angina ed infarto

 

MAGGIOR APPORTO DI SANGUE ED OSSIGENO

a tutti i tessuti ed in particolare al muscolo cardiaco

 

RIDUZIONE DELLO STRESS

sia transitorio che a lungo termine grazie al rilascio di sostanze euforizzanti che intervengono nella regolazione dell’umore (endorfine).

 

RIDUZIONE DELLE RESISTENZE PERIFERICHE

sia grazie alla riduzione dell’attività di alcuni ormoni e dei loro recettori (catecolamine), sia grazie all’aumento del letto capillare

 

EFFETTO POSITIVO SUGLI ALTRI FATTORI DI RISCHIO

l’attività fisica svolge un effetto benefico su altre patologie che spesso si associano o causano l’ipertensione come diabete, dislipidemie ed obesità .

 

Non esiste in assoluto uno sport ideale per chi soffre di pressione alta. Tuttavia esistono attività fisiche più efficaci di altre ed alcune che in particolari circostanze possono addirittura essere controproducenti.

L’esercizio fisico utile per la prevenzione e la cura dell’ipertensione deve rispettare le seguenti caratteristiche:

 

AEROBICO o cardiovascolare

deve cioè essere un’attività fisica di durata svolta a media intensità (40-70% del VO2max). Per sapere qual è il livello di impegno fisico si può acquistare un cardiofrequenzimetro o, più semplicemente, mantenere uno sforzo che, seppur impegnativo, consenta di parlare con il compagno di allenamento.

Tipici esempi di lavoro cardiovascolare sono la marcia, il jogging, la corsa, il nuoto di resistenza ed il ciclismo.

 

FREQUENZA DI ALLENAMENTO

per essere veramente efficace l’esercizio fisico va ripetuto per almeno tre volte alla settimana. Il massimo effetto benefico lo si ottiene con 5 sedute settimanali, anche se le differenze, in termine di calo pressorio, non sono significative. In questo caso migliorano invece i benefici sulla riduzione del peso corporeo e sull’efficacia del sistema cardiovascolare.

 

DURATA

per essere efficace l’attività deve protrarsi per almeno 20-30 minuti, possibilmente senza interruzioni. Anche in questo caso i risultati migliori si ottengono con un impegno superiore (40-50 minuti). Al di sotto dei venti minuti gli effetti positivi calano considerevolmente.

 

 

OCCORRE SAPERE

Bodybuilding

 

Fino a qualche anno fa le attività a forte componente muscolare venivano controindicate al paziente iperteso.

 

Durante la contrazione muscolare, per effetto stesso dei muscoli, si verifica una parziale occlusione dei vasi sanguigni. Il conseguente aumento delle resistenze periferiche richiede un maggior lavoro di pressione da parte del cuore.

Se durante l’esecuzione si trattiene istintivamente il respiro, la pressione intratoracica aumenta ed il cuore è costretto a contrarsi contro ulteriori resistenze. Di conseguenza la pressione arteriosa sistolica (pressione massima) aumenta bruscamente fino a raggiungere valori di 300 mmHg contro i normali 120 mmHg.

Questo brusco innalzamento di pressione è potenzialmente pericoloso per cardiopatici, ipertesi e diabetici.

L’idoneità alla pratica agonistica viene normalmente attribuita se la pressione a riposo non supera i 140-90 mmHg.

 

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7) EVITARE FUMO E DROGHE

 

il fumo e le droghe in genere, contengono sostanze eccitanti che stimolano l’azione adrenergica. Non a caso, tanto per citare un esempio, le conseguenze più gravi della cocaina sono l’infarto del miocardio, l’insufficienza renale acuta e la crisi ipertensiva.

 

 

Controllo della pressione arteriosa

 

La pressione arteriosa è normalmente regolata da diversi meccanismi. I principali siti di controllo sono rappresentati da:

 

Arteriole periferiche

sono dotate di una parete prevalentemente muscolare che in risposta ad una stimolazione da parte del sistema nervoso simpatico si contrae, provocando un aumento della resistenza al passaggio del sangue ai tessuti e aumentando così la pressione arteriosa.

 

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L’arteriola è un vaso sanguigno, di diametro molto piccolo (mm 0.2) che si estende e si dirama dalle arterie, precedendo i capillari.

 

Le arteriole possiedono una sottile parete muscolare (solitamente costituita da uno o due strati di muscolatura liscia) e costituiscono il sito principale della resistenza vascolare.

 

A spiegazione di ciò va detto che la pressione sanguigna nelle arterie è il risultato dell’interazione tra il volume di sangue pompato dal cuore al minuto e la resistenza vascolare, chiamata tecnicamente resistenza periferica totale.

 

In un sistema vascolare sano, l’endotelio (il rivestimento più interno delle arteriole e degli altri vasi sanguigni) si presenta sottile e rilassato; questa condizione è prodotta da una notevole produzione di ossido nitrico nelle cellule dell’endotelio, le cui reazioni biochimiche sono regolate da un complesso sistema costituito da polifenoli, enzimi (del tipo sintasi dell’acido nitrico) e L-arginina.

 

Qualsiasi patologia che porta alla compressione del flusso sanguigno, come la stenosi, condurrà ad un aumento della resistenza periferica totale e quindi ad ipertensione.

 

La contrazione muscolare delle arteriole può essere diminuita da alcuni farmaci che quindi,fanno abbassare la pressione arteriosa.

 

 

Venule

costituiscono i cosiddetti vasi di capacitanza. Anche queste possono andare incontro a vasocostrizione in risposta ad uno stimolo simpatico, aumentando il ritorno di sangue al cuore e quindi la pressione.

 

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– Capillari

 

Le pareti capillari, a differenza di quelle venose ed arteriose, non sono costituite da tre tonache concentriche, ma da un singolo strato di cellule endoteliali appiattite che poggia su una membrana basale; la parete capillare è quindi priva di fibre muscolari, elastiche e fibrose

 

Nel punto di origine dei capillari veri è presente un anello di fibre muscolari lisce, lo “sfintere precapillare“, che lo circonda. Questo sfintere agisce come una valvola, regolando il flusso di sangue nel letto microcircolatorio; di conseguenza:

 

a) quando gli sfinteri precapillari sono contratti il flusso si realizza esclusivamente tramite il condotto metarteriola vaso principale;

b) viceversa, quando gli sfinteri sono rilassati il sangue scorre nei capillari ed il tessuto viene abbondantemente perfuso.

c) il capillare vero può essere chiuso o aperto

d) la Metarteriola è sempre aperta poichè è priva di sufficiente muscolatura per fungere da sfintere, come tale, la metarteriola può aggirare i capillari e dirigere il sangue direttamente nella circolazione venosa.

 

 

– Cuore: la gittata cardiaca, moltiplicata per le resistenze periferiche, è direttamente proporzionale alla pressione arteriosa. Anche questo fattore è sensibile alla stimolazione simpatica.

– Rene: contribuisce in diversi modi a controllare la pressione, sia regolando direttamente la quantità di liquidi presente nell’organismo (e quindi il volume plasmatico), sia mediante la liberazione di renina indotta da un ridotto afflusso di sangue ai reni. La renina, agendo come un enzima proteolitico, interviene in una reazione che porta infine alla produzione di un’altra sostanza, l’angiotensina II, ad effetto vasocostrittore; l’angiotensina induce anche la produzione di aldosterone, un ormone prodotto nelle ghiandole surrenali che agisce sul rene provocando una ridotta eliminazione di sodio e acqua, con conseguente aumento dell’acqua nell’organismo (soprattutto all’interno dei vasi sanguigni: aumento del volume plasmatico).

 

acqua

 

– l’acqua è un ottimo solvente per numerose sostanze chimiche,

regola il volume cellulare

regola la temperatura corporea,

– consente il trasporto dei nutrienti

– consente la rimozione delle scorie metaboliche,

– rappresenta circa il 60% del peso corporeo

– compartimento intracellulare (2/3 del volume totale)

– compartimento extracellulare : plasma, linfa, liquido interstiziale, liquido cefalorachidiano

– il Plasma è separato dal liquido interstiziale dalle pareti dei vasi sanguigni

– le membrane cellulari impediscono il contatto tra il liquido interstiziale e quello intracellulare,

– il volume del liquido intracellulare dipende dalla concentrazione dei soluti in quello interstiziale

– in condizioni normali,il liquido interstiziale e quello intracellulare sono isotonici,cioè hanno la stessa osmolarità,

– se la concentrazione dei soluti fosse maggiore nel liquido intracellulare la cellula si gonfierebbe per osmosi

– se la concentrazione dei soluti fosse minore nel liquido intracellulare,la cellula tenderebbe a raggrinzirsi,

– il volume del sangue deve essere mantenuto costante (volemia)

– se il volume del sangue aumenta,si ha ipertensione,

– se il volume del sangue diminuisce,si ha ipotensione,ipovolemia,aumento della viscosità ematica e il cuore si affatica,

– per mantenere l’omeostasi del volume dei liquidi intracellulare ed intravascolare,è necessario mantenere costante il contenuto idrico dell’organismo,quindi è necessario che il bilancio fra le entrate e le uscite di acqua sia in pareggio:

 

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– il 60% circa della perdita giornaliera di acqua avviene con l’urina,

– la sudorazione aumenta la perdita di acqua a causa della temperatura o dell’esercizio fisico,

– per compensare la perdita di acqua,si riduce il volume di urina eliminato,a causa di un aumento della secrezione di ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina.Questo ormone secreto dall’ipofisi posteriore,promuove il riassorbimento di acqua a livello renale

– quando aumenta la disidratazione,aumenta la sete che reintroduce acqua,

– la disidratazione è una condizione pericolosa per l’organismo

– una diminuzione del 7% dell’acqua corporea totale,è sufficiente per mettere in pericolo la sopravvivenza dell’individuo

– nella disidratazione viene bloccata la sudorazione,in modo da risparmiare la poca acqua rimasta nel corpo,

– ma la mancata secrezione di sudore causa un notevole surriscaldamento,

– nella disidratazione si riduce la volemia,per cui il sangue circola meno bene nei vasi,quindi il cuore si affatica e può insorgere il collasso cardiocircolatorio,

cause della disidratazione:

+ clima secco e ventilato anche a basse temperature

+ il freddo stimola l’eliminazione di acqua con le urine

+ in montagna viene eliminata più acqua con la respirazione,poichè la tensione di vapore dell’aria espirata è più alta di quella ambientale,

+ esercizio intenso e prolungato

+ episodi ripetuti di vomito e diarrea (colera)

+ forte emorragia

+ ustioni gravi

+ assunzione insufficiente di liquidi ,in particolare nell’anziano,perchè meno sensibile allo stimolo della sete,

+ occorre bere almeno un litro e mezzo al giorno

+ dobbiamo bere di più durante i mesi estivi e se facciamo sport per recuperare l’acqua persa con la sudorazione

+ quando facciamo sport intenso,la sola acqua può non essere sufficiente,quindi è opportuno aggiungere alla bevanda una modesta quantità di carboidrati e sali minerali (soprattutto sodio,cloro e potassio),la concentrazione di glucidi nella bevanda non deve essere superiore all’8% per evitare di aumentare l’osmolarità della soluzione con conseguente richiamo di acqua all’interno del tubo digerente.Questa minima percentuale è comunque importante per fornire glucosio all’organismo,risparmiando le preziose riserve di glicogeno epatiche e muscolari

 

 

Classificazione dei farmaci antipertensivi

 

 

In base al meccanismo d’azione è possibile suddividere gli antipertensivi in quattro grandi categorie:

 

 

1) Farmaci che agiscono sul bilancio sodio-acqua (diuretici)

2) Farmaci attivi sul sistema nervoso simpatico

3) Farmaci che riducono le resistenze periferiche (vasodilatatori)

4) Farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone

 

 

1) ACE-inibitore

 

Nella popolazione esiste una grandissima variabilità nei livelli dell’enzima ACE, principalmente riconducibile a fattori genetici. In particolare esistono tre possibili genotipi:

 

DD: questi soggetti hanno una maggiore attività enzimatica ACE, hanno quindi una pressione cardiaca superiore alla norma

 

ID: si tratta di soggetti eterozigoti, che dal punto di vista genetico si collocano tra le due forme ed hanno pertanto caratteristiche intermedie

 

II: in questo caso l’attività dell’enzima ACE è inferiore, quindi vi è una minor sintesi di angiotensina II e, di conseguenza, la pressione arteriosa di questi soggetti è tendenzialmente inferiore.

 

I tre genotipi hanno frequenze diverse in gruppi etnici diversi:

 

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Apparato iuxtaglomerulare

in esso viene prodotto l’ormone renina

– La renina è presente è presente nelle cellule della macula densa.

 

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Macula densa

a) – Quando le cellule della macula densa captano un aumento della quantità di cloruro di sodio NaCl

(espressione di un aumento della VFG) segnalano alle cellule granulari di ridurre la secrezione di renina

e di contrarre l’arteriola afferente. In questo modo aumenta la resistenza al flusso offerta dall’arteriola

afferente e la pressione idrostatica del sangue a valle, cioè nel glomerulo, diminuisce assieme alla VFG.

 

b) – Nel caso di riduzione della concentrazione di NaCl a livello del tratto terminale dell’Ansa di Henle,

le cellule della macula densa segnalano alle cellule granulari di aumentare la quantità di renina e

all’arteriola afferente di dilatarsi riducendo le proprie resistenze;di conseguenza si ha un aumento

della velocità di filtrazione glomerulare.

 

Adrenalina

Il rilascio di adrenalina provoca vasocostrizione,soprattutto delle arteriole afferenti

ed efferenti al glomerulo.

Ciò può accadere per una forte emorragia o per una severa disidratazione.

Ciò determina riduzione del flusso ematico ai reni e della velocità di filtrazione glomerulare.

In questo modo si cerca di conservare al massimo il volume idrico.

 

Angiotensina II

anch’essa aumenta la resistenza arteriolare,ma soprattutto delle arteriole efferenti,per cui

l’aumento pressorio nei capillari glomerulari aumenta la velocità di filtrazione glomerulare.

 

Prostaglandine (PGE2,PGI2,Bradichinina), ossido nitrico

riducono la resistenza al flusso offerta soprattutto dalle arterioli afferenti.

Ne consegue un aumento della velocità di filtrazione glomerulare.

 

Cellule mesangiali

la loro contrazione o rilassamento modifica l’area della superficie capillare disponibile per la

filtrazione.

 

Podociti

modificano le dimensioni delle fessure glomerulari di filtrazione,se queste si allargano,

aumenta la superficie di filtrazione,quindi si eleva anche la velocità di filtrazione glomerulare.

 

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Angiotensinogeno

 

Asp-Arg-Val-Tyr-IIe-His-Pro-Phe-His-Leu-Val-IIe

+ l’Angiotensinogeno è un α-2-globulina prodotta e messa in circolo dal fegato

+ la renina scinde il legame peptidico tra un residuo di leucina e valina dell’angiotensinogeno,generando il polipeptide angiotensina I ,che non pare avere attività biologica ma esista solo in quantità di precursore dell’angiotensina II.

+ i suoi livelli plasmatici sono incrementati dai

corticosteroidi

estrogeni

ormone tiroideo

livelli di angiotensina II

 

 

Angiotensina I

Asp-Arg-Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe-His-Leu

è formata dall’azione della Renina sull’angiotensinogeno

 

 

Angiotensina II

Asp-Arg-Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe

determina:

+ interazione con i Recettori AT1,

+ proliferazione vasale

+ potenzia la secrezione di vasopressina nella neuroipofisi

+ potenzia la secrezione di corticotropina nell’adenoipofisi

+ potenzia il rilascio di norepinefrina agendo direttamente sulle fibre post-gangliari del sistema simpatico

+ ipertrofia vasale

+ vasocostrizione

+ stimola il surrene > liberazione di Aldosterone > ritenzione idrica > aumento della volemia > Ipertensione

+ ritenzione salina

+ effetto dipsogeno (aumento della sete)

agendo sull’organo subfornicale del cervello,attenua l’attività dei riflessi barocettoriali e stimola il desiderio di sale.

+ stimolazione del sistema Simpatico

+ ha un potenziale protrombotico,favorendo l’adesione e l’aggregazione delle piastrine e la produzione di inibitori dell’attivazione del plasminogeno.

+ Quando la crescita delle cellule cardiache è stimolata, un sistema locale (autocrino-paracrino) renina-angiotensina viene attivato nel miocita, stimolando un sistema di crescita della cellula attraverso la Protein-Chinasi C.

+ Lo stesso meccanismo può venire attivato nella cellula muscolare liscia, in caso di ipertensione, aterosclerosi o danno endoteliale,

+L’angiotensina II è il più importante stimolatore cardiaco del Gq in caso di ipertrofia.

+ aumenta il riassorbimento di sodio a livello dei tubuli distali del rene

+ le arteriole efferenti glomerulari ,rispetto alle afferenti,possiedono un numero maggiore di recettori di tipo 1 per l’angiotensina 2 che sono quelli con ruolo vasocostrittore,questo porta ad aumentare la pressione nel glomerulo in modo che non cali la filtrazione.

Ciò può portare ad una microalbuminuria e contemporaneamente un’iperplasia delle cellule mesangiali che attivano un feedback di citochine infiammatorie che portano ad un processo cicatriziale fibrotico (sclerosi interstiziale)

+ determina un rilascio locale di prostaglandine,che lavorano come antagonisti della vasocostrizione renale

 

 

Angiotensina III

Asp/Arg-Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe

l’Angiotensina II è degradata ad angiotensina III dalle angiotensinasi che sono localizzate nelle emazie e nel sistema vascolare : ha una emivita plasmatica di circa 30 secondi,mentre nei tessuti può arrivare fino a 15-30 minuti.

L’angiotensina III ha il 40% dell’azione vasocostrittoria della II,ma il 100% della sua attività di produzione dell’aldosterone.

 

 

Angiotensina IV

Arg/ Val-Tyr-Ile-His-Pro-Phe

ha attività minori delle precedenti

 

 

Renina

– la renina consente la trasformazione dell’Angiotensinogeno in Angiotensina I ,

– la liberazione di renina è stimolata da:

 

+ attività simpatica renale

+ riduzione della pressione nei vasi preglomerulari

+ riduzione della concentrazione di ioni sodio nel sangue

+ diminuzione della pressione arteriosa renale a livello dell’apparato juxtaglomerulare

+ ridotta concentrazione di sodio e cloro a livello della macula densa

+ se il sodio aumenta,il rilascio di renina diminuisce

 

 

ACE (enzima di conversione dell’angiotensina) (Angiotensin Converting Enzyme)

 

– è un enzima appartenente alla famiglia delle esopeptidasi e in particolare delle carbossipeptidasi,

– È una glicoproteina generalmente di membrana, localizzata sull’endotelio dei capillari polmonari, ed ha funzione enzimatica: catalizza specialmente il clivaggio del decapeptide angiotensina I nell’ottapeptide angiotensina II, grazie al taglio degli ultimi due amminoacidi C-terminali.

– la mancata regolazione dell’enzima porta ad un alto tenore di vasocostrizione responsabile dell’ipertensione.

– l’ACE degrada,inattivandola,la bradichinina ,che è invece un vasodilatatore,incrementando così l’attività vasocostrittrice

– Più recentemente è stato evidenziato come l’enzima intervenga nel rimodellamento cardiaco. Dopo un insulto cardiaco, come un infarto, il cuore va incontro ad un processo di rimodellamento, costituito da modificazioni strutturali che inducono una drastica diminuzione dell’efficienza cardiaca. Tale rimodellamento dei tessuti cardiaci è mediato dall’ACE.

 

Questo ha permesso di capire l’utilità degli inibitori dell’ACE, non solo nella terapia antipertensiva, ma anche nella cura del post-infarto per controllare e rallentare il rimodellamento e ridurre lo scompenso cardiaco.

 

 

ACE2

Recentemente è stato scoperto ACE2, un enzima omologo di ACE, il cui ruolo è ancora oggetto di studio, e che verrebbe espresso anche dall’endotelio dei vasi renali.

 

 

Aldosterone

– l’Aldosterone è un ormone steroideo prodotto dalla zona glomerulare della corticale del surrene,

– la sua liberazione dipende da:

 

+ aumento della concentrazione extracellulare di potassio,

+ attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone,

 

– l’aldosterone è trasportato dal sangue fino alle cellule del tubulo distale renale,dove aumenta l’assorbimento del sodio (Na+) e acqua dal filtrato,incentivando l’escrezione nel filtrato di K+

FARMACOLOGIA

Data la sua capacità di permettere il riassorbimento del sodio e di acqua da parte dell’organismo, l’aldosterone è un bersaglio della terapia anti-ipertensiva. Il farmaco tradizionalmente usato per trattare pazienti ipertesi e/o scompensati a livello cardiaco è lo spironolattone, che come è stato detto prima funge da suo antagonista recettoriale. Nei casi di pazienti con concentrazioni ematiche piuttosto basse di potassio, e quindi a rischio di fibrillazione o aritmia, la scelta cade sull’accoppiamento dello spironolattone, un diuretico risparmiatore di potassio, con l’idroclorotiazide, un diuretico tiazidico, associazione tradizionalmente chiamata spiridazide. Alternativamente, si usa il sale di potassio del canrenone (nome commerciale LUVION), metabolita attivo dello spironolattone.

 

 

ACE-inibitore

– sono usati soprattuto nella terapia di:

 

– ipertensione arteriosa

– post-infarto del miocardio

– insufficienza cardiaca cronica

 

– sono inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE)

– quasi tutti gli ACE-inibitori sono dei profarmaci e vengono attivati solo all’interno dell’organismo.

riducono il postcarico

diminuiscono la tensione parietale del muscolo cardiaco a causa della riduzione di angiotensina II

– vengono usati anche nella nefropatia diabetica

– l’inibizione dell’ACE,determina una diminuzione della concentrazione dell’angiotensina-II in corrispondenza dei recettori AT1 e AT2.

– la riduzione dei livelli di angiotensina-II porta ad una diminuzione della liberazione di aldosterone dalla corteccia surrenale con conseguenze sul bilancio idrico

– A livello cellulare, si può osservare una regressione degli effetti mitogeni, mediati dall’angiotensina II, sui fibroblasti e sui miociti del cuore, che soprattutto dopo un infarto miocardico portano ad alterazioni sfavorevoli (rimodellamento)

– Nelle malattie renali, quali la nefropatia diabetica, gli ACE-inibitori portano a una diminuita eliminazione di proteine (proteinuria) e impediscono, almeno in parte, la progressione della malattia (nefroprotezione). Questo effetto di notevole importanza clinica è dovuto alla maggiore azione vasodilatante degli ACE-inibitori sull’arteriola efferente del glomerulo rispetto all’arteriola afferente, con conseguente riduzione della pressione intraglomerulare. Ciò riduce la perdita di proteine dal rene e fa sì che la progressione della malattia sia rallentata.

 

Meccanismo d’azione

 

È stato possibile anche chiarire il meccanismo d’azione molecolare degli ACE-inibitori. Questo si basa sulla somiglianza degli ACE-inibitori a un’estremità della catena peptidica dell’angiotensina I. Di conseguenza, gli ACE-inibitori vengono scambiati dall’enzima di conversione dell’angiotensina per il suo substrato fisiologico angiotensina I. Ma, al contrario del substrato fisiologico, gli ACE-inibitori non vengono trasformati dall’enzima e lo bloccano.

 

 

– FARMACI

 

per fare questo ci sono dei farmaci dei quali i più importanti e noti sono

+captopril (Capoten)

+ lisinopril (Zestril, Zestoretic,

+ enalapril ( Converten, Enapren, Vasoretic,

+ fosinorpil ( Eliten)

+ ramipril (Triatec, Triatec HCT)

+ perindopril (Reaptan, Coversyl)

+ benazepril (Cibacen)

+ quinapril (Acequin)

 

NOTA

ad eccezione del Captopril,la cui durata d’azione è piuttosto breve,tutti gli altri ACE-inibitori sono formulati come profarmaci che,prima di poter esplicare la propria attività,devono essere debitamente convertiti nella loro forma ATTIVA,ad opera di enzimi epatici.

 

 

INDICAZIONI TERAPEUTICHE

 

Gli ACE-inibitori sono indicati in:

– trattamento dell’Ipertensione,

– insufficienza cardiaca congestizia,

– infarto del miocardio,

 

ASSOCIAZIONI

 

più comunemente si associano a:

– Diuretici,

– calcio-antagonisti,

 

INTERAZIONI

 

– Allopurinolo

– Antiacidi

che possono ridurre la biodisponibilità di ACE-inibitori in caso di utilizzo contemporaneo,

Digossina e Litio

poichè gli ACE-inibitori possono aumentarne le concentrazioni plasmatiche,

FANS

poichè questi farmaci possono ridurre l’efficacia ipotensiva degli ACE-inibitori,

Fenotiazine

poichè possono potenziare l’effetto degli ACE-inibitori,

 

Preparazioni contenenti potassio e diuretici risparmiatori di potassio

poichè in seguito a terapia concomitante con ACE-inibitori vi è un aumento del rischio d’insorgenza di Iperkaliemia,

Capsaicina

poichè può causare un peggioramento della tosse causata dagli ACE-inibitori

 

EFFETTI COLLATERALI

 

Reazioni allergiche anche gravi, che si possono manifestare sotto forma di angioedema e rash cutanei;

– Ipotensione;

– Iperkaliemia;

– Alterazioni del senso del gusto;

– Esantemi;

– orticaria

– Mal di testa;

– Vertigini;

– Nausea, vomito e diarrea;

– Affaticamento;

– Neutropenia;

– Proteinuria;

– Insufficienza renale acuta.

– tosse secca

che sembra dovuta al potenziamento dell’attività della bradichinina,quindi all’aumentata sintesi di Prostaglandine

– raucedine

– mal di gola

– attacchi di asma

– dispnea

– angina pectoris (raramente)

– sincope

– proteinuria (raramente)

iperpotassiemia (pericolosa per il cuore)

iponatriemia (raramente)

 

 

CONTROINDICAZIONI

 

Ipersensibilità al principio attivo

gravidanza

in particolare non devono essere assunti durante il secondo e terzo trimestre

allattamento al seno

 

 

2) FARMACI AT1-antagonisti o sartani

 

– sono antagonisti dei recettori per l’Angiotensina II di tipo AT1,

 

FARMACI

 

– losartan

– valsartan

– candesartan

– irbesartan

– eprosartan

 

 

INDICAZIONI

 

– Ipertensione

– insufficienza cardiaca cronica

se non si possono utilizzare gli gli ACE-inibitori

 

ASSOCIAZIONI

 

– diuretici

– β-bloccanti

– ACE-inibitori

 

MECCANISMO D’AZIONE

 

antagonismo competitivo dei recettori di tipo AT1 per l’Angiotensina II.

– Si può quindi affermare che i sartani producono un’inibizione dell’attività dell’angiotensina II più selettiva rispetto agli ACE-inibitori.

– I sartani inoltre non potenziano l’attività della Bradichinina

 

EFFETTI COLLATERALI

 

– Mal di testa;

– Capogiri;

– Vertigini;

– Ipotensione ortostatica;

– Nausea e vomito;

– Debolezza e affaticamento;

– Alterazioni della funzionalità renale.

 

INTERAZIONI

 

Sali di potassio, diuretici risparmiatori di potassio e drospirenone. Infatti, l’assunzione concomitante di questi farmaci e di sartani aumenta il rischio d’insorgenza d’iperkaliemia.

Antinfiammatori non steroidei (FANS) come indometacina, naprossene e piroxicam. Questi principi attivi, infatti, possono diminuire l’efficacia terapeutica dei sartani e di altri agenti antipertensivi.

Digossina, poiché i sartani potrebbero aumentarne i livelli in caso di assunzione concomitante.

Warfarin, i cui livelli possono essere diminuiti in caso di somministrazione contemporanea con sartani.

 

CONTROINDICAZIONI

– patologie epatiche

– diabete

– compromissione della funzionalità renale

– ipersensibilità al farmaco

– gravidanza

– allattamento

 

 

3) Calcio-Antagonisti

 

– Sono anche detti farmaci bloccanti dei canali del calcio.

VOC-L (long lasting)

inibiscono i canali degli ioni calcio voltaggio-dipendenti di tipo L (anche detti VOC-L, o canali lenti del calcio), situati a livello della muscolatura liscia dei vasi arteriosi e del miocardio.

 

 

INDICAZIONI

 

– angina pectoris

– Ipertensione

– aritmie cardiache

 

 

CLASSIFICAZIONE

 

Solitamente, i farmaci calcio-antagonisti vengono suddivisi in funzione della loro struttura chimica nel seguente modo:

1,4-diidropiridine (o 1,4-DHP), come, ad esempio, la nicardipina e la nifedipina

+ possono oltrepassare la barriera ematoencefalica,per cui possono essere impiegati per ridurre la pressione arteriosa a livello cerebrale,

+ prediligono i canali del calcio situati nella muscolatura liscia arteriosa,quindi sono particolarmente indicati nel trattamento dell’Ipertensione arteriosa.

 

Fenilalchilammine (o PAA), gruppo al quale appartiene il verapamil;

Benzotiazepine (o BTZ), fra cui ritroviamo il diltiazem.

Queste ultime due agiscono preferenzialmente sui canali del calcio localizzati a livello cardiaco,riducendo in questo modo l’attività del cuore.

Quindi sono particolarmente indicati nel trattamento dell’angina pectoris e delle aritmie cardiache

 

 

MECCANISMO D’AZIONE

 

bloccano la contrazione della muscolatura liscia vasale,con conseguente diminuzione della pressione arteriosa e una diminuzione del lavoro cardiaco,

rallentano la fase di ripolarizzazione della membrana delle cellule muscolari,

– hanno effetto Inotropo negativo,

– quindi determinano una riduzione del post-carico e del carico di lavoro del cuore

 

INTERAZIONI

 

Citocromo P3A4

I farmaci calcio-antagonisti subiscono un parziale metabolismo di primo passaggio a livello epatico, operato principalmente dal citocromo P3A4 (o CYP3A4), che ne determina una ridotta biodisponibilità.

Pertanto, la somministrazione concomitante di farmaci calcio-antagonisti e di altre sostanze e/o farmaci inibitori del CYP3A4 (come, ad esempio, l’eritromicina e il succo di pompelmo) provoca un aumento significativo delle concentrazioni plasmatiche degli stessi calcio-antagonisti, le cui conseguenze possono essere anche gravi.

– La somministrazione contemporanea di calcio-antagonisti e d’induttori del CYP3A4 (come, ad esempio, la rifampicina e il fenobarbital) provoca, invece, una diminuzione dei livelli ematici di calcio-antagonisti, con conseguente possibile diminuzione dell’efficacia terapeutica di questi stessi principi attivi.

 

 

EFFETTI COLLATERALI

 

– Ipotensione;

– Edema periferico;

– Edema polmonare;

– Arrossamenti;

– Mal di testa;

– Vertigini;

– Confusione;

– Palpitazioni, tachicardia e dolore toracico (effetti collaterali che si verificano soprattutto con l’uso delle 1,4-DHP);

Bradicardia e blocco atrio-ventricolare (effetti avversi che si manifestano solitamente in seguito all’uso di calcio-antagonisti quali il verapamil e il diltiazem);

– Affaticamento;

– Debolezza;

– Esantemi;

– Nausea e vomito;

– Diarrea o costipazione.

 

– Per scongiurare l’insorgenza di effetti collaterali come palpitazioni, dolore toracico e tachicardia, le 1,4-diidropiridine possono essere utilizzate in associazione ai farmaci β-bloccanti.

 

– Al contrario, i farmaci calcio-antagonisti come verapamil e diltiazem non devono essere impiegati in combinazione con β-bloccanti, poiché si può andare incontro a una sommazione degli effetti depressivi cardiaci esercitati da entrambe queste categorie di farmaci.

 

 

4) Farmaci attivi sul sistema nervoso autonomo

 

Tutti i farmaci antipertensivi inclusi in questa classe hanno in comune la capacità di inibire la funzionalità del sistema nervoso simpatico. Per questo motivo vengono chiamati anche “simpaticolitici” e possono agire a diversi livelli.

 

a) Simpaticolitici ad azione centrale

 

Agiscono a livello del tronco encefalico, dove si trovano i centri vasopressori, riducendo l’intensità degli impulsi che partono da questi. Tra i farmaci più noti di questo gruppo vi sono la alfa-metildopa e la clonidina.

– Alfa-metildopa

è un analogo della levodopa. Nell’organismo viene trasformata nei suoi metaboliti attivi, l’alfa-metildopammina e l‘alfa-metilnoradrenalina, che stimolano i recettori centrali alfa-adrenergici.

– Clonidina

riduce la pressione arteriosa agendo a livello dei recettori alfa2 del tronco encefalico.

 

b) Ganglioplegici

 

Sono stati tra i primi farmaci utilizzati nel controllo dell’ipertensione, oggi abbandonati a causa dei loro notevoli effetti avversi. Tali agenti (ad esempio il trimetafano, l’esametonio, la mecamilamina, la pempidina), agivano bloccando la stimolazione dei neuroni post-gangliari autonomi indotta dall’acetilcolina.

 

c) Bloccanti il recettore adrenergico

 

Agiscono ostacolando la normale liberazione della noradrenalina da parte dei neuroni simpatici postgangliari. Anche questo gruppo di farmaci (al quale appartengono principi attivi come guanetidina e reserpina ) è oggi scarsamente utilizzato per via degli effetti collaterali (ipotensione ortostatica, impotenza, depressione del tono dell’umore).

 

d) Inibitori delle monoamino ossidasi ( IMAO )

 

Anche questi abbandonati per i loro effetti tossici, agiscono inibendo l’enzima monoaminossidasi presente nella mucosa gastrointestinale e nel fegato, permettendo così l’ingresso in circolo della tiramina, una ammina assunta con la dieta. La tiramina, captata dalle terminazioni nervose, viene così convertita in octopamina, un falso neurotrasmettitore che si sostituisce alla noradrenalina, vanificando gli impulsi di tipo ipertensivo provenienti dal sistema nervoso simpatico.

 

 

 

5) DIURETICI

 

I diuretici riducono la pressione arteriosa aumentando la perdita di sodio con le urine e riducendone quindi la quantità nell’organismo; la diminuzione della concentrazione di sodio nel plasma porta ad una riduzione del volume plasmatico. Di conseguenza, la gittata cardiaca si riduce. In tempi più lunghi (circa 6-8 settimane) la riduzione del sodio provoca anche una riduzione delle resistenze vascolari periferiche. In teoria, gli stessi effetti si potrebbero ottenere riducendo drasticamente la quantità di sodio nella dieta.

 

Tiazidici (es.: idroclorotiazide)

 

sono indicati nei pazienti con ipertensione lieve o moderata, con normale funzionalità renale e cardiaca. Spesso sono presenti in preparazioni farmaceutiche in associazione con altri antipertensivi, in particolare ACE-inibitori o sartani.

 

– Determinano un’eliminazione idrosalina

Bloccano il trasporto di NaCl nel tubulo contorto distale del rene, cosa che permette di eliminare il 15% di sodio filtrato dal glomerulo. Agiscono anche per una filtrazione glomerulare inferiore a 30 ml/min.

– Comportano anche una perdita di potassio.

– Le sostanze di questa famiglia si differenziano per la loro durata d’azione, dalle 12-24h dell‘idroclorotiazide alle 48h del clortalidone.

 

 

Diuretici dell’ansa (es.: furosemide)

 

sono utilizzati nei casi di ipertensione grave o associata a notevole ritenzione di sodio (ad esempio in pazienti affetti da cirrosi o da scompenso cardiaco) e nell’insufficienza renale cronica.

Bloccano il trasportatore Na+/K+/2Cl- nel ramo ascendente dell’ansa di Henle, cosa che permette di eliminare il 40% del sodio filtrato a livello glomerulare.

– La furosemide è attiva anche per filtrati inferiori a 5 ml/min.

– Nel corso di un trattamento con diuretici dell’ansa, la loro attività si può ridurre a causa dell’aumento compensatorio del riassorbimento nei tubuli distali. Altre cause di resistenza a tali diuretici sono l’iponatriemia o l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei. Se esiste una resistenza, piuttosto che aumentare la dose del diuretico dell’ansa, è meglio associare un tiazidico: questo permette un blocco sequenziale nel nefrone, che permette la ripresa della diuresi.

– A tal proposito è opportuno sorvegliare la potassiemia e la magnesiemia e, nel caso, aumentare l’introito di tali sali.

– Tutti i diuretici dell’ansa hanno un’azione rapida ma di durata relativamente corta.

– L’acido etacrinico, in particolare, presenta importanti effetti collaterali di tipo ototossico: tinnito, vertigini e perdita dell’udito.

 

 

Diuretici risparmiatori di potassio (spironolattone e derivati, come il canrenoato di potassio)

 

utilizzati spesso in associazione ad altri diuretici per prevenire la perdita eccessiva di potassio indotta da questi, oppure nei pazienti con ipokaliemia che necessitino di un trattamento diuretico.

Bloccano il riassorbimento di sodio e la secrezione di potassio, fatto, quest’ultimo, che risulta essere un importante effetto indesiderato delle due precedenti classi di diuretici.

– I risparmiatori di potassio hanno un effetto diuretico moderato e per tal motivo non sono usati in monoterapia, ma vengono associati a tiazidici.

– Sono controindicati con gli ACE-inibitori per il pericolo di un‘iperkaliemia.

 

Si distinguono

 

Antagonisti dell’aldosterone, come lo spironolattone

Risparmiatori indipendenti dall’aldosterone: amiloride, triamterene

– Il canrenoato di potassio ha dimostrato effetti carcinogeni in esperimenti animali. Tale molecola è un metabolita dello spironolattone, che non ha alcun effetto cancerogeno.

Lo spironolattone, in associazione alla triterapia (iACE, diuretici, digitalici) diminuisce la mortalità dell’insufficienza cardiaca agli stadi NYHA III e IV

 

 

Inibitori dell’anidrasi carbonica

 

Avendo un effetto diuretico molto meno efficace rispetto ai diuretici dell’ansa e ai tiazidici, questi farmaci (il cui capostipite è l’acetazolamide), la cui azione principale è quella di inibire l’enzima anidrasi carbonica a livello del tubulo prossimale renale, sono in uso per altre loro azioni farmacologiche: sono infatti impiegati nel trattamento cronico del glaucoma da soli o in associazione alla pilocarpina. L’acetozolamide si è altresì mostrata efficace come farmaco antiepilettico (grande male e piccolo male), da sola o in associazione ad altri farmaci.

 

 

Diuretici osmotici

 

Sono sostanze idrofile che vengono filtrate attraverso il glomerulo renale trasportando per osmosi acqua nel liquido tubulare e che vengono successivamente riassorbite dai tubuli renali solo in minima quantità. Tra di esse le più importanti sono il mannitolo e l’urea. Provocano quindi soprattutto escrezione di acqua piuttosto che di ioni sodio: per questo motivo non trovano impiego contro la ritenzione di sodio. I diuretici osmotici sono indicati all’ingestione di sostanze tossiche o che possono dare insufficienza renale acuta ed altresì in corso di edema cerebrale.

 

 

Diuretici mercuriali

 

Sostanze inorganiche o metallorganiche a base di mercurio oggi non più utilizzate a causa degli elevati effetti collaterali da intossicazione da sali di mercurio.

 

 

6) Beta-bloccanti

 

I beta-bloccanti agiscono antagonizzando gli effetti dell’adrenalina e della noradrenalina a livello dei recettori β-adrenergici, con inibizione dell’effetto cronotropo e inotropo positivo operato dal sistema simpatico. In virtù di questa proprietà trovano largo impiego nella pratica clinica non solo come antipertensivi, ma anche nella terapia della insufficienza cardiaca congestizia e di alcune forme di aritmia. Alcuni beta-bloccanti possiedono inoltre la capacità di bloccare i recettori α1 e l’ingresso di ioni calcio nelle fibrocellule arteriolari provocando vasodilatazione periferica e un ulteriore effetto antipertensivo. In base alle diverse caratteristiche si riconoscono 4 tipi di beta-bloccanti.

 

I betabloccanti sono una classe di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici. A questa classe appartengono farmaci che bloccano in maniera non selettiva tutti i recettori β-adrenergici e altri che possono bloccare anche selettivamente uno dei tre tipi di beta recettori: recettori β1, β2 e β3.

 

Vengono utilizzati principalmente come antiaritmici, come antipertensivi e antianginosi. Proteggono il cuore dagli effetti catecolaminergici tossici, portando alla downregulation dei recettori beta.

 

Precedentemente erano controindicati nella insufficienza cardiaca per i loro effetti inotropo negativi, ma da diversi studi si è rilevato che i betabloccanti senza attività simpaticomimetica intrinseca migliorano l’insufficienza cardiaca e ne riducono la mortalità del 65%.

 

Potendo comunque aggravare lo scompenso, occorre sorvegliare adeguatamente il paziente.

 

Dose test: mattina e sera 3,125 mg di carvedilolo, o 1,25 mg di bisoprololo o 10 mg di metoprololo

Successivamente raddoppiamento della dose sotto controllo medico ogni 10 giorni

Fino a 2×25 mg di carvedilolo, o 2×5 mg di bisoprololo o 3×50 mg di metoprololo.

 

Alla brusca sospensione di alcuni di essi (ad es. Propranololo) si può avere la cosiddetta ipertensione di rimbalzo. Questo è molto meno frequente con betabloccanti aventi azione di agonismo parziale e/o non selettiva (Pindololo).

 

 

USI CLINICI

 

Vengono usati per le seguenti malattie:

 

– Ipertensione

– Angina

– Infarto miocardico

– Aritmie

– Scompenso cardiaco

– Tireotossicosi

 

Sono possibili altri usi.

 

Beta-bloccanti di prima generazione, non selettivi

 

Propranololo

Timololo

Pindololo

Nadololo

 

Beta-bloccanti di seconda generazione, β1 selettivi

 

Atenololo

Acebutololo

Metoprololo

Esmololo

Bisoprololo

 

Beta-bloccanti di terza generazione, con effetti aggiuntivi

 

Carvedilolo

Labetalolo

 

Beta-bloccanti di terza generazione, con effetti aggiuntivi e β1 selettivi

 

Celiprololo

Betaxololo

 

Per “effetti aggiunti” si intende una serie di proprietà tipiche dei beta-bloccanti di terza generazione. Ad esempio, il carvedilolo è in grado di bloccare i recettori β, gli α1, l’ingresso di ioni calcio nelle fibrocellule e possiede una precipua attività antiossidante.

Altri farmaci di terza generazione come il celiprololo, il nebivololo e il carteololo provocano il rilascio da parte dell’endotelio di ossido nitrico, evento che connesso alla vasodilatazione periferica.

Ulteriore caratteristica del celiprololo e del carteololo è quella di possedere un lieve agonismo nei confronti degli stessi recettori β, effetto alla base della riduzione degli effetti collaterali che si osserva durante l’impiego di tali composti.

 

INDICAZIONI

 

I beta-bloccanti sono utilizzati o come farmaco di prima scelta nella terapia dell’ipertensione o come alternativa nel caso in cui il precedente regime sia gravato da effetti collaterali (es: soggetto in terapia con calcio antagonisti con edema peri malleolare). I beta bloccanti dovrebbero essere considerati di scelta qualora all’ipertensione si associ una di queste patologie:

 

aritmie cardiache

angina pectoris

prime fasi dello scompenso cardiaco

glaucoma

feocromocitoma (insieme ad α-bloccanti)

cardiomiopatia ipertrofica

emicrania

ansia o attacchi di panico

varici da ipertensione portale

 

È tuttavia bene ricordare che tutte queste patologie possono essere trattate con beta-bloccanti anche in assenza di un quadro ipertensivo; di qui l’utilizzo preferenziale di questa classe farmacologica nei soggetti ipertesi che presentino una o più di queste malattie.

 

CONTROINDICAZIONI

 

Gli effetti collaterali dei beta-bloccati sono dovuti alla diretta estensione dell’effetto farmacodinamico di questa classe farmaceutica. Il blocco beta adrenergico può infatti provocare:

 

– broncocostrizione

– bradicardia e bradiaritmie

– senso di affaticamento

– disturbi sessuali nell’uomo

– disturbi del sonno

– aumento del tempo di recupero dall’ipoglicemia

 

In questo senso, i beta-bloccanti sono controindicati per soggetti:

 

asmatici o con broncopneumopatie cronico ostruttive con fenomeni di broncospasmo

bradicardici o con blocchi di branca

– con sindromi ipoglicemizzanti

diabetici in terapia con insulina, per il rischio di ipoglicemia

 

β-bloccanti cardioselettivi

 

Hanno effetto minore sui recettori β2, non sono però completamente cardiospecifici. Sono preferiti nei pazienti diabetici e con turbe della circolazione periferica.

 

acebutololo

atenololo

betaxololo

bisoprololo

nebivololo

metoprololo

 

β-bloccanti con ISA-attività simpaticomimetica intrinseca

causano minore bradicardia e vasocostrizione periferica rispetto agli altri β-bloccanti.

 

acebutololo

celiprololo

pindololo

oxprenololo

 

β-bloccanti idrosolubili

 

non oltrepassano la barriera ematoencefalica, causando meno effetti collaterali a livello centrale, come ad esempio disturbi del sonno.

 

atenololo

celiprololo

nadololo

sotalolo

 

Altri β-bloccanti

 

alprenololo

bopindololo

carteololo

carvedilolo

esmololo

indenololo

labetalolo

mepindololo

penbutololo

practololo

propranololo

timololo

 

 

7) Calcioantagonisti

 

I calcio-antagonisti sono farmaci che inibiscono l’attivazione del canale ionico per il calcio a livello della muscolatura liscia delle arteriole e delle cellule eccitabili del miocardio. In questo senso, l’attività di questi farmaci si esplica con la riduzione della concentrazione del calcio intracellulare, inducendo vasodilatazione periferica e riduzione della contrattilità e velocità di trasmissione dell’impulso elettrico a livello cardiaco. Per questo, oltre che all‘ipertensione, i calcio-antagonisti trovano indicazione nella terapia delle sindromi anginose e delle aritmie. In base alla distribuzione e al tipo di canale ionico per il calcio inibito, i calcio-antagonisti si dividono in periferici e centrali; mentre i primi agiscono riducendo le resistenze vascolari periferiche provocando vasodilatazione e una certa tachicardia riflessa, i secondi esplicano il loro maggiore effetto deprimendo la contrattilità e la velocità di conduzione miocardica. Della prima classe fanno parte le diidropiridine; i principali farmaci diidropirinici sono:

 

amlodipina, caratterizzata da ampia biodisponibilità per dispensazione orale e lunga emivita

felodipina, emivita intermedia

nifedipina

nicardipina

nimodipina, emivita breve

 

Della seconda classe fanno invece parte:

 

verapamil

diltiazem

bepridil

 

Questi ultimi, con esclusione del bepridil (non più in commercio per l’elevata incidenza di torsioni di punta), in virtù dei loro effetti centrali, possono essere utilizzati nei soggetti che presentino tachiaritmie sopraventricolari, flutter atriale o fibrillazione atriale. Aumentando inoltre il tempo di riempimento diastolico, diminuendo le richieste energetiche miocardiche e prevenendo il vasospasmo coronarico, il verapamil e il diltiazem sono utilizzato nei soggetti con angina pectoris, con tipica indicazione nella angina di Prinzmetal. Le diidropiridine e soprattutto la nifedipina, sono talora gravate da tachicardia riflessa in risposta al crollo della pressione arteriosa innescata dalla vasodilatazione periferica; per questo, tale terapia farmacologica necessita di aggiustamenti o associazioni (tipo beta-bloccanti) atti a ridurre l’incidenza di una risposta cronotropa eccessiva. Le diidropiridine possono trovare indicazione qualora si presentino quadri sindromici connessi al vasospasmo periferico come il fenomeno di Raynaud primitivo o secondario ad alcune malattie con il lupus eritematoso sistemico o la sclerodermia. Alcuni calcio-antagonisti come la flunarizina e la cinarizina trovano inoltre impiego nella profilassi dell’emicrania. Il verapamil e il diltiazem non dovrebbero mai essere associati ai beta-bloccanti per aumento dell’incidenza di bradicardia e di blocchi atrio-ventricolari.

 

 

Classi di molecole

 

Sono calcio antagonisti:

 

diidropiridine (es. Nifedipina)

– benzotiazepine (es.Diltiazem)

fenilalchilamine

– difenilalchilamine (es. Verapamil)

 

 

Meccanismo d’azione

 

I calcio-antagonisti hanno come substrato i canali al calcio di tipo L, ovvero canali al calcio voltaggio dipendenti; queste molecole vanno a legarsi al canale al calcio durante lo stato inattivato prolungando così la durata di questo stato e impedendo pertanto l’ingresso di calcio all’interno della cellula. Mentre le benzotiazepine e le fenilalchilamine agiscono prevalentemente a livello dei canali L del muscolo cardiaco e sono quindi inotropi negativi, le diidropiridine agiscono prevalentemente a livello dei canali L della muscolatura liscia delle arteriole, attraversando anche la barriera emato-encefalica, e sono quindi vasodilatatori.

Effetti

 

I loro effetti si esplicano sulla muscolatura liscia e cardiaca; la muscolatura striata è esente dal loro effetto in quanto il meccanismo d’azione di quest’ultima è dipendente da calcio già presente all’interno della cellula. Impedendo l’ingresso di calcio attraverso i canali voltaggio dipendenti impediscono alla muscolatura liscia di contrarsi, per cui i loro effetti saranno un rilassamento della muscolatura delle resistenze periferiche con conseguente ipotensione. A livello cardiaco esplicano azione inotropa e cronotropa negativa.

 

 

Avvelenamento da calcio antagonisti

Per avvelenamento da calcio antagonisti, intossicazione da calcio antagonisti od overdose da calcio antagonisti s’intende un fenomeno tossico causato dall’eccessiva assunzione, accidentale o volontaria, di farmaci del gruppo dei calcio antagonisti.

 

Gli effetti principali di questa forma di intossicazione sono rappresentati dal rallentamento del battito cardiaco e dall’abbassamento della pressione sanguigna, che nel tempo possono evolvere in un arresto cardiaco vero e proprio. Altri sintomi includono: nausea, vomito, sonnolenza e difficoltà nella respirazione. La sintomatologia generalmente si manifesta nelle prime sei ore dall’ingestione, ma per alcuni tipi di formulazione dei medicinali, gli effetti possono essere posticipati anche fino a 24 ore.

Esistono varie tipologie di trattamento di questo tipo di avvelenamento da farmaci. Di queste fanno parte i tentativi di ridurre l’assorbimento del farmaco come: l’assunzione di carbone attivo per via orale immediatamente dopo l’ingestione, o la lavanda gastrica completa in caso di assunzione di forme a rilascio prolungato. Il vomito forzato è generalmente non raccomandato. I trattamenti farmacologici mirati al trattamento degli effetti tossici includono: fluidoterapia endovenosa, calcio gluconato, glucagone, alte dosi di insulina, agenti vasocostrittori ed emulsioni lipidiche. L’ossigenazione extracorporea a membrana rappresenta un’altra alternativa terapeutica.

Nel 2010 negli Stati Uniti sono stati registrati oltre diecimila casi di intossicazione da calcio antagonisti. Insieme all’intossicazione da beta bloccanti e digossina, quella da calcio antagonisti è la forma di overdose da farmaci con il più alto tasso di mortalità.

Questo tipo di farmaci sono stati introdotti nel mercato fra gli anni ’70 e ’80, e sono fra i pochi per i quali l’ingestione di una singola pillola è sufficiente a causare la morte di un bambino in età pediatrica

 

Segni e Sintomi

La maggior parte di persone che hanno ingerito una dose troppo alta di calcio antagonisti presentano rallentamento del battito cardiaco ed abbassamento della pressione arteriosa, che nel tempo possono esitare in un arresto cardiaco. Altri sintomi includono: nausea, vomito, sonnolenza e difficoltà nella respirazione. La sintomatologia generalmente si manifesta nelle prime 6 ore dall’ingestione, ma per alcuni tipi di formulazione dei medicinali, gli effetti possono essere posticipati anche di un giorno. Le convulsioni sono rare nei soggetti adulti, ma più frequenti nei bambini.

 

Cause

I calcio-antagonisti, anche conosciuti come “bloccanti dei canali al calcio”, trovano applicazione in campo medico nel trattamento di numerose patologie. Per questo motivo possono pertanto essere facilmente reperiti dai bambini nell’abitazione di molte persone, rappresentando un pericolo non indifferente per la salute dei bambini. In età pediatrica infatti, l’ingestione di una singola pillola di calcio-antagonisti può avere gravi conseguenze sulla salute, inclusa la morte.

 

Il calcio-antagonista responsabile del più alto numero di morti registrate negli Stati Uniti nel 2010 è il verapamil. Questo farmaco è infatti potenzialmente il più pericoloso per la funzionalità cardiaca nella sua categoria di appartenenza.

 

Diagnosi

 

Non sono in genere disponibili test diagnostici del sangue o delle urine. L’avvelenamento da calcio-antagonisti causa spesso un innalzamento della glicemia che è pertanto considerato un parametro che permette di determinare la gravità dell’intossicazione.

 

Elettrocardiogramma

 

L’intossicazione da calcio-antagonisti provoca numerose anomalie elettrocardiografiche, la più comune delle quali rappresentata dalla bradicardia sinusale. Altre anomalie comprendono: Sindrome del QT lungo, blocco di branca, blocco atrioventricolare di I grado e tachicardia sinusale.

 

Diagnosi differenziale

 

Potrebbe non essere possibile distinguere un’overdose da calcio-antagonisti da quella con beta bloccanti per via della sintomatologia estremamente similare.

 

Trattamento

La terapia di un paziente in avvelenamento da calcio-antagonisti può risultare particolarmente ostica. I normali trattamenti utilizzati per la terapia dell’ipotensione e della bradicarida possono infatti rivelarsi inefficaci. I soggetti che non mostrano sintomi evidenti entro 6 ore dall’ingestione (24 nel caso di una forma a rilascio prolungato), non richiedono trattamenti medici ulteriori.

 

Decontaminazione

 

Il carbone attivo è in genere raccomandato solo se la somministrazione avviene entro 1-2 ore dall’assunzione dei calcio-antagonisti. I soggetti che hanno ingerito formulazioni a lento rilascio altrimenti asintomatici, possono trarre invece giovamento dall’essere sottoposti a lavanda gastrica completa con glicole polietileinco.

Il vomito forzato per mezzo di sostanze emetiche come lo sciroppo di ipecacuana non è invece recommendato.

 

Insulina

 

Alti dosaggi di insulina per via endovenosa unita a flebo di glucosio rappresentano la prima linea nel trattamento d’emergenza in caso di overdose. Poiché questo tipo di terapia può causare cadute improvvise dei livelli ematici di glucosio e potassio, è necessario il monitoraggio continuo del paziente.

 

Altro

 

Prove sperimentali e teoriche indicano che l‘infusione di emulsioni lipidiche può risultare efficace nel trattamento dei pazienti in overdose da calcio-antagonisti.

Il Blu di Metilene può anche essere utilizzato nei pazienti ipotesi non rispondenti ad altri trattamenti.

 

 

8) Altri vasodilatatori

 

Rientrano in questa classe tutti i principi attivi che, con meccanismi differenti rispetto ai calcio-antagonisti, rilasciano la muscolatura liscia delle arteriole, riducendo quindi le resistenze periferiche.

 

Attivi per via orale. Sono utilizzati per il trattamento ambulatoriale a lungo termine dell’ipertensione. Rientrano in questa categoria l’idralazina e il minoxidil.

 

Attivi per via parenterale: utilizzati prevalentemente nel trattamento delle emergenze ipertensive, comprendono il nitroprussiato di sodio, il diazossido e il fenoldopam.

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