I blog di Alessioempoli

Data 22 agosto 2016

INTEGRAZIONE

Per ingrandire il testo, cliccare sul browser

Per ingrandire le foto, cliccarci sopra

                         INTEGRAZIONE

 

 

 

Il termine integrazione indica l’insieme di processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società.L’integrazione dipende anche dalla capacità di socializzazione di ogni individuo.

 

 

Rifugiato

 

 

Rifugiato (o, più diffusamente, rifugiato politico) è un termine giuridico che indica chi è fuggito o è stato espulso dal suo paese originario a causa di discriminazioni politiche, religiose, razziali, di nazionalità, o perché appartenente ad una categoria sociale di persone perseguitate, o a causa di una guerra presente nel suo Paese, e trova ospitalità in un Paese straniero che riconosce legalmente il suo status.

 

Il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti dopo la Seconda guerra mondiale, e per questo l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito un organismo appositamente chiamato a tutelare i rifugiati, l‘Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR; in inglese United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR), fondato alla fine del 1950.

 

Di poco successiva alla fondazione dell’ACNUR è la prima definizione organica del concetto giuridico di rifugiato, contenuta nella Convenzione firmata a Ginevra il 28 luglio 1951.

 

 

Migrante

 

 

Viene utilizzato in maniera generica e generale per indicare il flusso di persone in fuga dal proprio Paese che arriva in un altro. Il termine per la precisione indica chi decide di lasciare volontariamente il proprio Paese d’origine per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori. A differenza del rifugiato, un migrante quindi non è un perseguitato nel proprio Paese e può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza, senza nessun rischio. Migrante ha quindi una connotazione più economica.

 

 

Richiedente asilo

 

Il richiedente asilo è una persona che, avendo lasciato il proprio Paese, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale ed è in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti riguardo al riconoscimento del loro status di rifugiati.

 

Normativa ONU

 

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riconosce il diritto d’asilo all’art. 14 come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, non invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai princìpi delle Nazioni Unite.

 

 

 Profugo

 

Poi c’è il termine profugo che ha un significato un pò diverso da quello di rifugiato.  “il profugo è colui che per diverse ragioni (guerra, povertà, fame, calamità naturali, ecc.) ha lasciato il proprio Paese ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale”. Quindi solo lo status di rifugiato è sancito dal diritto internazionale.

 

 

Clandestino

 

 

– L‘immigrazione illegale (o immigrazione clandestina o immigrazione irregolare) è l’ingresso o il soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle leggi di immigrazione del paese di destinazione.

– può accadere che persone entrate clandestinamente riescano successivamente a sanare la loro posizione tramite “sanatorie” o “regolarizzazioni”.

– viceversa,persone entrate legalmente sul territorio,possono restarvi per un tempo superiore al previsto e diventare quindi “irregolari” non riuscendo a rientrare nelle casistiche previste per ciascuna sanatoria.

– se nel paese di provenienza non vengono rispettati i diritti civili,l’immigrato potrebbe avere diritto ad ottenere lo “status di rifugiato richiedente asilo

– l’immigrazione clandestina va a toccare una serie di questioni sociali quali:

 

– economia

– welfare

– istruzione

– assistenza sanitaria

– schiavitù

– prostituzione

– protezioni giuridiche

– diritto di voto

– servizi pubblici

– diritti umani

 

 

– Essendo entrati illegalmente, i clandestini non possono entrare nel mercato del lavoro ufficiale. Pertanto, arrivati a destinazione, vengono sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli che li usano come manodopera a basso costo, approfittando del fatto che non sono regolarizzabili e sono facilmente ricattabili a causa della loro posizione irregolare.

 

 

– In quanto manodopera a basso costo, gli stranieri irregolari finiscono, loro malgrado, per abbassare i salari medi (un fenomeno che è detto svalutazione sociale) in taluni casi questa situazione si riflette a danno dei lavoratori regolari peggiorandone la qualità della vita.

– Molti clandestini spesso finiscono inoltre per ingrossare la rete della criminalità organizzata, dove svolgono il cosiddetto lavoro sporco, ovvero le mansioni più basse, meno desiderabili e più rischiose.

 

 

 

In che cosa consiste oggi  “l’integrazione” che lo Stato italiano dà ai profughi?

 

Facciamo un elenco:

 

docce e servizi igienici scadenti

– qualche ambulatorio medico quà e là

– postazioni PC in wi-fi (favoloso!!!)

punti ristoro

aree gioco per i più piccoli (nei giardinetti pubblici,stupendo!)

strutture di accoglienza fatiscenti,NON AGIBILI (ma per loro sì!),i prefetti non sapevano che erano inagibili!!!! Che meraviglia,proviamo noi ad abitare in quelle strutture e vediamo in quanto tempo arrivano i carabinieri!

– l’obiettivo è avviare ogni ospite all’autonomia lavorativa attraverso un programma di integrazione individuale (neppure per i giovani italiani è previsto tanto!)

educatori ed assistenti sociali per assistenza giuridica,sanitaria,linguistica e professionale,mancano solo gli assistenti che gli tolgono le pulci

nell’attesa di sapere se la loro domanda di protezione sarà accolta,gli ospiti (clandestini!)hanno la possibilità di seguire corsi di italiano e di formazione professionale e di iniziare tirocini per imparare un lavoro e rendersi autonomi. I nostri figli non hanno nè casa ,nè lavoro,ma…. per il governo va tutto bene.

– possibilità di vivere in una casa dove costruire la loro vita,mentre i nostri figli dormono fino a 50 anni con i genitori perchè non hanno casa.

– le nostre case non valgono più nulla,nessuno le vuole comprare con dei vicini così attraenti e rispettosi del prossimo,pisciano nei giardini,escono sui terrazzi nudi,fanno altro…. le nostre figlie… ma che importa,dobbiamo essere ospitali  con questi animali.

Bravo Renzi e bravo Alfano,gli italiani ve ne saranno riconoscenti ….

 

 

 

+ vitto e alloggio

+ progetto territoriale ….

+ sistema di protezione…

+ finanziamenti statali

+ strutture private

+ strutture pubbliche di volontariato,ma che dire di tutte quelle cooperative che succhiani il sangue agli italiani???

+ supporto di tipo alloggiativo

+ avvio di un percorso di integrazione ??????

+ corsi di alfabetizzazione

+ servizi di inserimento lavorativo

+ servizi di inserimento sociale

+ attività multiculturale

+ obbligo scolastico per i minori

 

 

– Salute

 

in Italia la salute dell’individuo è tutelata e garantita attraverso strutture sanitarie e ospedaliere. (MICA TANTO!!)

Il diritto all’assistenza sanitaria sorge al momento della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno,anche se ancora non ti sei iscritto presso la A.S.L.,il diritto permane anche nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno.

Secondo quanto disposto dalla legge se sei titolare dello status di protezione internazionale hai diritto allo stesso trattamento riconosciuto al cittadino italiano sia per l’assistenza sociale che per quella sanitaria.

 

 

 

– Servizio sanitario nazionale

 

è un servizio che copre le esigenze di tutela della salute dei cittadini italiani e dei destinatari di protezione internazionale: CLANDESTINI.Questi ultimi si possono iscrivere all’interno degli uffici delle Aziende Sanitarie Locali.

I documenti che servono per l’iscrizione sono:

 

+ il permesso di soggiorno

+ iscrizione all’anagrafe del comune di residenza

+ il codice fiscale

 

Una volta iscritto,verrà rilasciata una tessera sanitaria provvisoria il cui possesso garantirà visite mediche,esami specialistici e ricoveri se necessario.

 

 

 

Il richiedente ha diritto:

 

+ alla scelta del medico di famiglia o del pediatra

+ visite ambulatoriali

+ visite domiciliari

+ prescrizione di farmaci

+ visite specialistiche

+ certificazioni obbligatorie per accedere agli asilo nido,scuole materne,elementari,medie,secondarie

+ il medico di famiglia può essere sostituito con un altro medico dell’USL in qualsiasi

momento

+ per le visite ostetriche e ginecologiche è istituita una struttura apposita chiamata

consultorio familiare” alla quale rivolgersi direttamente senza prescrizione del medico di famiglia.

+ al ricovero gratuito presso gli ospedali pubblici e quelli privati convenzionati

+ l’assistenza si estende ai familiari a carico e viene assicurata fin dalla nascita ai minori degli stranieri iscritti al servizio Sanitario Nazionale.

+ i rifugiati residenti regolarmente hanno diritto allo stesso trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di infortuni di lavoro,malattie professionali,maternità,malattia,vecchiaia,invalidità,morte,disoccupazione ed ogni altro rischio coperto da una forma di assicurazione sociale.

+ i servizi sociali sono erogati dal Comune,da consorzi intercomunali,dalla Provincia,dall’Asl di residenza del rifugiato o del titolare di protezione sussidiaria o umanitaria.

+ se sei titolare di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno,sei equiparato ai cittadini italiani ai fini dell’erogazione delle prestazioni di assistenza sociale ,anche di tipo economico,in caso di: tubercolosi,sordomuti,ciechi civili,invalidi civili,indigenti.

+ Se sei titolare dello status di rifugiato, dello status di protezione internazionale hai diritto

di godere dello stesso trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro

subordinato, lavoro autonomo, per l’iscrizione agli albi professionali, per la formazione

professionale e per il tirocinio sul luogo di lavoro.

+ Se sei minore in età compresa fra i 16 e i 18 anni puoi assolvere all’obbligo formativo frequentando corsi di formazione finalizzati al conseguimento di una qualifica professionale come alternanza scuola-lavoro. Inoltre se sei un minore che ha compiuto i 16 anni, puoi sottoscrivere un contratto di apprendistato.

+ come rifugiato riconosciuto ti è consentito anche l’accesso al pubblico impiego.

+ il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria e per protezione umanitaria ti permette l’accesso al lavoro e allo studio ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro.

+ lavoro autonomo: bisogna aprire una partita Iva all’Agenzia delle Entrate

+ La legge italiana tutela l’unità del nucleo familiare dei beneficiari dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; I tuoi familiari che non hanno individualmente diritto allo status di protezione internazionale hanno i medesimi tuoi diritti riconosciuti come titolare dello status. Se sei titolare dello status di protezione sussidiaria, ai tuoi familiari presenti sul territorio nazionale che individualmente non hanno diritto a tale status è rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari (si veda art. 22 c. 2 d. lgs. 251/2007)

+ Per chi si può chiedere il nulla –osta al ricongiungimento familiare?

Il nulla –osta al ricongiungimento familiare lo puoi richiedere per: – il coniuge; – i figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; – i figli maggiorenni a carico che non possono provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione dello stato di salute; – i genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza;

+ Istruzione

Gradi e corsi di formazione – Se sei minore titolare dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria hai accesso agli studi di ogni ordine e grado, secondo le modalità previste per il cittadino italiano- v. art. 26 c. 1 d. lgs. 251/2007. – Se sei minore titolare dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria o protezione umanitaria hai diritto all’istruzione nell’età dell’obbligo (dai 6 ai 16 anni d’età). – Se sei maggiorenne titolare dello status di rifugiato, dello status della protezione sussidiaria hai diritto di accedere al sistema di istruzione e di aggiornamento e perfezionamento professionale nei limiti e nei modi stabiliti per gli stranieri regolarmente soggiornanti.

+ Università

L’accesso alle Università è consentito agli stranieri regolarmente soggiornanti. a parità di condizioni con i cittadini italiani.

 

 

+ Alloggio

Se sei titolare dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, ti è consentita la partecipazione ai bandi di gara per l’assegnazione di alloggi residenziali pubblici, al pari di un cittadino italiano.

+ Edilizia residenziale pubblica

E’ l’insieme degli alloggi, di proprietà di appositi istituti pubblici, che i comuni assegnano alle famiglie bisognose a canoni di locazione più bassi di quelli normali di mercato. Per concorrere all’assegnazione degli alloggi popolari se sei rifugiato oppure sei titolare dello status di protezione sussidiaria devi presentare, al pari dei cittadini italiani, una apposita domanda, nelle forme e secondo le regole stabilite nei bandi di assegnazione pubblica.

 

 

 

Poi c’è altro???

Ma chi paga????

Sempre gli italiani naturalmente

Per i politici paga lo stato ,chi se ne frega se lo stato siamo noi?

L’Italia è proprio il paese di Bengodi! Che cos’è??

 

 

 

Il Paese di Bengodi, contrada del paese di Berlinzone, è un luogo immaginario descritto da Giovanni Boccaccio nella III novella dell’VIII giornata del Decamerone, intitolata “Calandrino e l’elitropia”.

 

La descrizione di questo luogo viene fatta da Maso del Saggio che, insieme a Bruno e Buffalmacco, inventano una burla ai danni del credulone Calandrino. Questi, attratto da quanto gli viene narrato riguardo al meraviglioso paese di Bengodi, dove si trova in abbondanza l’elitropia, pietra che rende invisibili, si mette alla sua ricerca.

 

Alcuni particolari del paese di Bengodi si ritrovano nella descrizione del Paese di Cuccagna.

 

Ecco la citazione dal Decamerone:

 

« Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua. »

 

E’ proprio così amici,ormai gli italiani sono diventati INVISIBILI PER LO STATO ,il quale si fa in 4 per soddisfare tutti i bisogni dei CLANDESTINI.

E così questi politici di merda fanno a gara a dare ai CLANDESTINI:

 

– vigne con salcicce

– oche,paperi

– montagne di formaggio parmigiano grattugiato

– maccheroni e ravioli

– brodo di cappone

– e chi più ne pigliava,più se n’aveva

– e c’era un fiumicello di vernaccia,la migliore al mondo

 

Questo sono i CLANDESTINI e gli italiani PAGANO!!!

Il problema è che tutto ciò non è una burla per gli italiani,come lo era per Calandrino,ma,DURA REALTA’.

Bravo Renzi e bravo Alfano.

 

 

 

Povertà record dal 2005: 4,6 milioni di italiani vivono in povertà assoluta.

 

 

Sempre più poveri. Nel 2015 l’Istat stima che le famiglie in condizione di povertà assoluta siano pari a 1 mln e 582 mila e le persone a 4 mln e 598 mila (il numero più alto dal 2005). L’incidenza della povertà assoluta cresce  se misurata in termini di persone (7,6% della popolazione residente nel 2015, 6,8%  nel 2014). Questo perché riguarda le famiglie più numerose. In aumento al Nord, la povertà colpisce chi vive in città, le persone fra i 45 e i 54 anni e gli operai.

 

Il Parlamento prova a dare una risposta con l’approvazione della legge delega per il contrasto alla povertà. Il premier Matteo Renzi scrive su Twitter:

La prima misura organica della storia repubblicana contro la povertà approvata oggi in prima lettura: 1,6 miliardi in 2 anni.

Stupendo,ora gli italiani possono stare finalmente tranquilli!

Evviva il maghetto!!!

 

 

 

Anche la povertà relativa  nel 2015 in termini di famiglie (2 milioni 678 mila, pari al 10,4% delle famiglie residenti dal 10,3% del 2014) mentre aumenta in termini di persone (8 milioni 307 mila, pari al 13,7% delle persone residenti dal 12,9% del 2014).

 

 

«Una vergogna nazionale, che dimostra come in questi anni non si sia fatto nulla per ridurre le diseguaglianze e aiutare chi ha più bisogno», commenta l’Unione nazionale dei consumatori. «I dati sulla povertà diffusi oggi dall’Istat umiliano l’Italia e gli italiani e dimostrano l’esigenza di interventi concreti per salvare migliaia di famiglie dal baratro», dice il Codacons. Federconsumatori e Adusbef parla di «bollettino di guerra» e ricorda che il campanello d’allarme era già suonato: «Dal 2008 a oggi le famiglie – ricordano in una nota – hanno ridotto i propri consumi: alimentari -11%, quelli relativi alle spese per la salute e per le cure -28,8%».

 

 

Povertà assoluta e relativa

 

Ma cosa vuol dire, secondo le statistiche, essere poveri? Ci sono due parametri diversi. La povertà relativa viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale che individuala spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è risultata nel 2015 pari a 1.050,95 euro (+0,9% rispetto al valore della soglia nel 2014, 1.041,91 euro). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere. Più articolato il calcolo di coloro che si possono definire poveri assoluti. Poveri in questo caso sono definiti coloro che non riescono ad accedere ad alcuni fabbisogni essenziali:

 

– un’alimentazione adeguata,

–  la disponibilità di un’abitazione e

– del minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, – istruirsi e

–  mantenersi in buona salute.

 

In questo caso, poiché questi servizi non hanno lo stesso costo dappertutto (il Sud è in genere meno caro del Nord) e per tutte le tipologie di persone (ad esempio, l’abitazione costerà di meno a chi vive in famiglia perché la cifra si ammortizza per tutti i componenti, mentre costerà di più a chi vive solo), le differenze possono essere anche molto forti. Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia di povertà assoluta è pari a 819,13 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 734,74 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a 552,39 euro se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.

 

 

 

Ius sanguinis e Ius soli

 

 

Lo ius sanguinis è un’espressione giuridica di origine latina che indica l’acquisizione della cittadinanza per il fatto della nascita da un genitore in possesso della stessa cittadinanza.

 

Si contrappone allo ius soli, che indica invece l’acquisizione della cittadinanza per il fatto di nascere nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.

Normalmente gli ordinamenti nazionali oscillano tra i due istituti.

Attualmente la maggior parte degli stati europei, fra cui l’Italia, adotta lo ius sanguinis, eccetto la Francia che però applica lo ius soli con alcune prerogative.

 

Massì dai,ormai sono superati entrambi: ius soli,ius sanguinis… ma oggi bisogna essere all’altezza dei tempi.. guardiamo avanti,andiamo oltre, io proporrei di istituire lo “IUS BARCONE” ,sì, avete capito bene,bisogna essere altruisti,non egoisti,lo dice anche Francesco e allora?

Allora andiamo a prendere i CLANDESTINI sulle coste della Libia e diamogli subito ciò che meritano :lo  “IUS BARCONE ” anzi,non siamo provinciali,non facciamoci distinguere,cerchiamo di essere un po’ “in”,forse fa più scic se lo chiamiamo “IUS BOAT”,che bello !!!!

Non siete daccordo?

 

 

 

Società multietnica

 

 

Una società multietnica è una società umana caratterizzata dalla coesistenza, più o meno integrata, di persone di numerose etnie diverse.

 

 

 

Il futuro delle società multietniche europee

 

Le previsioni di chi si occupa a livello scientifico di futurologia non è priva di elementi di profonda incertezza. In genere prevale la tesi che la popolazione originaria è in contrazione per la scarsa natalità (scarsa crescita di nuovi individui), mentre è possibile anche uno scenario in cui le attuali minoranze potranno in alcuni paesi assumere il ruolo di maggioranza. Le previsioni delle tendenze demografiche quando coesistono gruppi con un indice di natalità diverso è relativamente più facile da determinare, mentre resta una grande incognita la coesistenza di tradizioni diverse o l’assimilazione di una rispetto alle altre.

 

 

Dialogo interreligioso

 

 

L’espressione dialogo interreligioso è specificamente un dialogo di religioni si riferisce all’interazione positiva e cooperativa fra persone o gruppi di persone appartenenti a differenti tradizioni religiose, basata sul presupposto che tutte le parti coinvolte, a livello individuale e istituzionale, accettino e operino per la tolleranza e il rispetto reciproco.

 

Il Parlamento delle religioni mondiali, istituito nel 1993, è considerato da alcuni la nascita formale del dialogo interreligioso. (E RIPETO: FORMALE,NON REALE!!!).

 

Con l’Islam NON può esistere un dialogo interreligioso perchè non ci permette di portare i nostri usi e costumi nei paesi arabi: chiese,minigonna,canzoni,ballo ecc… insomma loro vengono da noi e vogliono fare quello che credono: moschee,burkini,veli di tutti i tipi,le donne non possono andare in bici,niente minigonne ecc… noi no.

E allora andate a cacare!

Loro non accettano il “Principio di reciprocità”,quindi fuori dai coglioni.

 

 

Pluralismo religioso

 

 

Il pluralismo religioso è quel pensiero secondo cui è possibile superare le differenze dottrinarie tra le religioni, e i conflitti interpretativi esistenti spesso all’interno della stessa religione.

 

Le più recenti acquisizioni del dialogo interreligioso hanno però mostrato tutti i limiti di quest’ultima posizione, soprattutto il fatto che essa tende ad appiattire ogni religione su di uno sfondo neutro con il quale nessuna religione riesce più a identificarsi.

 

 

 

 

Pluralismo religioso – Libertà di religione

 

L’esistenza del pluralismo religioso dipende dalla libertà di religione. La libertà di religione è la situazione nella quale differenti religioni, professate in uno stesso spazio, godono degli stessi diritti di esercizio e di espressione pubblica.

 

Di conseguenza, la libertà di religione viene indebolita dal conferimento ad una specifica religione di privilegi negati ad altre.

 

Tale libertà religiosa viene negata in alcuni stati teocratici e in molti regimi autoritari o meno.

 

 

 

                      Modelli di integrazione

 

 

I modelli di integrazione sono costrutti teorici elaborati con lo scopo di gestire le problematiche di integrazione dei migranti nella società d’accoglienza.

 

 

Una prima classificazione

 

La prima classificazione presa in esame è quella elaborata da Vincenzo Cesareo. Egli distingue tre fondamentali modelli di integrazione socio-culturale: il modello dell’assimilazione, il modello pluralista, il modello dello scambio culturale.

 

 

1) Il modello dell’assimilazione

 

In questo modello la priorità consiste nell’adattamento alla cultura della società ospitante. I migranti debbono quindi conformarsi quanto più possibile ad essa, mettendo in atto processi di desocializzazione, di cancellazione delle culture d’origine e di risocializzazione rispetto ai costumi e alle norme di quella d’arrivo.

 

 

2) Il modello pluralista

 

In questo modello l’alterità viene ammessa e tollerata, tanto da concepire la coesistenza di più culture all’interno di una medesima società. Nel contempo, però, vengono attivati processi di inclusione progressiva dei diversi gruppi etnici, che peraltro possono conservare i propri mores e i propri costumi, a condizione che non contraddicano o compromettano i valori generali che tengano unita l’intera società.

 

3) Il modello dello scambio culturale

 

In questo modello l’alterità non solo è ammessa, ma è riconosciuta come positiva. Le diverse culture si incontrano arricchendosi vicendevolmente, rimanendo tra loro diverse, ma anche trasformandosi tramite processi di scambio.

 

 

Una classificazione alternativa

 

 

Una classificazione alternativa è quella proposta da Giovanna Rossi. Quattro sono i modelli di integrazione presi in esame da questa autrice: il modello di fusione o melting pot, il modello assimilativo, il modello funzionalista e il modello multiculturalista.

 

 

1)Il modello di fusione o melting pot

 

Il modello di fusione si basa sulla metafora della società come una pentola in cui si mescolano le varie comunità presenti (melting pot). Il risultato è quello di dar vita ad una società omogenea, frutto della fusione di tutte le culture che in essa coesistono. Il rischio principale è quello di ridurre la società a una somma di comunità incapaci di entrare in contatto tra loro e confrontarsi.

 

 

2) Il modello assimilativo

 

Il modello assimilativo affonda le sue radici nella visione colonialista europea. Esso prescrive l’assimilazione delle comunità altre alla cultura del Paese ospitante. Tale assimilazione deve essere totale, tanto che gli immigrati devono rinunciare alle proprie tradizioni, alle proprie leggi e alle usanze della propria comunità di origine. Secondo questa prospettiva dunque l’integrazione viene intesa come uguaglianza di trattamento, che si sostanzia nella totale neutralità e laicità dello Stato. L’unico interlocutore della comunità nazionale  diventa così il singolo individuo e i gruppi sociali perdono qualunque tipo di influenza.

 

 

3) Il modello funzionalista

 

Il modello funzionalista si basa sul presupposto che il processo di integrazione dell’immigrato sia particolarmente difficoltoso. La relazione che si instaura tra migrante e società d’accoglienza è eminentemente strumentale e utilitaristica e si fonda sul principio dell’esclusione differenziale: i migranti vengono inseriti in alcuni ambiti sociali, scoraggiandone però lo stanziamento definitivo. La prospettiva, quindi, è quella di una permanenza temporanea dei migranti sul territorio del Paese d’accoglienza. Al migrante viene così riconosciuto soltanto lo status di lavoratore-ospite.

 

 

4) Il modello multiculturalista

 

Il modello multiculturalista trae anch’esso origine dalla visione colonialista europea. L’idea sulla quale si fonda è quella di valorizzare le diverse culture riconoscendone la dignità e il valore. Nella comunità nazionale d’accoglienza grande importanza viene riconosciuta alle singole comunità etniche, che divengono interlocutori pubblici di primaria importanza. Il rischio maggiore, però, è quello di incappare in un relativismo culturale che non permetta ai diversi gruppi di dialogare ma li porti allo scontro.

 

 

 

 

 

Modelli nazionali di incorporazione

 

 

Germania

 

La Germania è da considerarsi come l’esempio paradigmatico di un modello d’incorporazione ispirato all’esclusione differenziale, che prevede l’inserimento dei migranti soltanto in alcuni ambiti sociali (in particolare nel mercato del lavoro), negando loro, al contempo, il diritto di partecipare alla vita politica e di acquisire la cittadinanza. Alla base di questo modello vi è la nozione di Gastarbeiter (“lavoratore-ospite“) e l’idea di soddisfare i fabbisogni del sistema produttivo nazionale immettendo lavoratori stranieri per un tempo determinato, senza prevedere il loro stanziamento definitivo. È evidente come il modello d’integrazione tedesco così formulato dia origine a numerose problematiche e criticità, a partire dal trattamento riservato alle seconde generazioni. Tuttavia, negli anni Novanta si è fatta strada una nuova concezione del fenomeno migratorio e ha preso avvio un lento ma progressivo processo di ripensamento e mutamento nel senso della moderazione di tale modello.

 

 

Francia

 

La Francia rappresenta l’esperienza paradigmatica del modello assimilazionista, fondato sull’idea di uno stato laico che garantisca l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non riconoscendo diritti e trattamenti particolari alle minoranze etniche. I migranti sono tenuti a conformarsi completamente alla cultura e alla società francese. Viene così esclusa dalla vita pubblica ogni espressione della differenza. Esistono degli evidenti limiti a questo modello. Innanzitutto, le politiche d’integrazione non dovrebbero considerare l’appartenenza etnica e il retroterra culturale degli individui e dei gruppi. Tuttavia, nei fatti, l’elemento etnico e culturale prevalente in una data realtà è essenziale per permettere la concretizzazione di tali politiche. Inoltre, in molti casi l’integrazione socio-professionale dei migranti appare particolarmente difficoltosa, nonostante l’avvenuta assimilazione culturale: i giovani di discendenza extraeuropea sono frequentemente vittima di discriminazione e pregiudizio, di difficoltà di inserimento lavorativo e di condizioni abitative disagiate. L’emergere di conflitti etnici mette quindi in discussione il principio secondo cui la cittadinanza politica e l’uguaglianza di fronte alla legge siano sufficienti a garantire l’integrazione socio-culturale dei migranti nella società francese. Infine, la crescente ostilità da parte dell’opinione pubblica francese nei confronti degli stranieri ha permesso la formazione di uno dei partiti xenofobi più forti dell’intero panorama politico europeo. Appare evidente allora la necessità di rivedere il modello assimilazionista alla luce di queste considerazioni.

 

 

 

Banlieue

 

Il termine francese banlieue (in italiano: “periferia“, “sobborghi“) indica l’area periferica dei grandi agglomerati urbani francesi.

 

Con questo termine si intende fare riferimento ai comuni che si trovano nelle adiacenze di una metropoli, caratterizzati da forti legami socio-economici con il centro di riferimento. Nella banlieue vi sono zone ricche e agiate e zone povere, con una bassa qualità della vita ed un’economia depressa. Nel caso della regione parigina appartengono al primo gruppo comuni come Versailles, Le Vésinet e Neuilly-sur-Seine mentre al secondo cittadine come Clichy-sous-Bois, Aulnay-sous-Bois e Sevran. Lo sviluppo delle banlieue, essendo legato a quello delle città e dei loro mezzi di comunicazione, dà luogo a consistenti movimenti pendolari quotidiani per motivi di studio o lavoro. L’etimologia del termine è oggetto di un dibattito da cui si possono estrarre due ipotesi principali. La prima è quella secondo cui il suo significato letterale indicava l’area che circonda la città e che era sottomessa alla sua giurisdizione (ban:potere di amministrare“, lieue: “luogo”). La seconda invece fa riferimento al senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al centro cittadino e fa quindi risalire l’origine del termine “alla messa al bando” (lontano dalla città) degli individui più poveri e ritenuti più pericolosi.

 

A partire dalla fine degli anni sessanta la Francia ha conosciuto dei grandi flussi migratori provenienti soprattutto dalle ex-colonie che in quel periodo stavano ottenendo l’indipendenza. Per cui dall’inizio degli anni settanta il termine è anche stato utilizzato come eufemismo per descrivere i grandi progetti residenziali a basso costo per gli immigrati stranieri. Inizialmente nate come “città di transito“, cioè residenze provvisorie per la nuova manodopera che affluiva in quegli anni, queste aree sono poi diventate la loro dimora definitiva. Il degrado, la mancanza di infrastrutture e il sovraffollamento hanno fatto sì che negli anni sia cresciuta la criminalità e in particolare il traffico di droga, di armi e la microcriminalità soprattutto fra i più giovani. La banlieue è così divenuta, nella percezione comune, sinonimo di insicurezza e precarietà sociale, tanto da poter essere considerata un vero e proprio ghetto. Nel corso degli anni si sono verificati spesso episodi di rivolta, scaturiti dall’emarginazione sociale, fino a quelli dell’ottobre-novembre del 2005. La cosiddetta langue de la banlieue (“lingua di periferia“) indica un gergo usato nei quartieri popolari, è un misto di verlan e di termini provenienti dalle lingue d’origine dei migranti. Anche il termine banlieusard (“abitante della banlieue“) ha assunto una connotazione peggiorativa.

 

 

Rivolte del 2005

 

Le rivolte del 2005 nelle banlieue francesi sono iniziate a Clichy-sous-Bois il 27 ottobre 2005. Inizialmente circoscritte a questo comune, si sono poi estese a Montfermeil e ad altri centri del dipartimento di Senna-Saint-Denis a partire dal 1º novembre. In seguito il fenomeno si è esteso anche ad altre città della Francia come Rennes, Évreux, Rouen, Lilla, Valenciennes, Amiens, Digione, Tolosa, Pau, Marsiglia e Nizza. L’8 novembre il governo francese ha dichiarato lo stato d’emergenza riprendendo la legge del 3 aprile 1955, promulgata durante la guerra d’Algeria. Il 14 novembre è stato prolungato per altri 3 mesi.

 

Nell’insieme, le tre settimane di sommosse costituiscono la rivolta più importante in Francia dal maggio del 1968.

 

 

 

 

La situazione generale

 

Le difficoltà dei sobborghi francesi hanno le loro radici nei piani di ricostruzione che sono stati attuati dopo la seconda guerra mondiale. Durante il 1950, una carenza di abitazioni portò alla creazione di baraccopoli. Il paese accolse con gioia giovani lavoratori dalle colonie, prevalentemente dall’Africa del Nord e dell’Ovest, per aiutare la ricostruzione, e questi immigrati popolarono le baraccopoli.

 

La crisi abitativa portò alla costruzione di condomini, che furono inizialmente abitati dalla classe media. Quando la situazione delle abitazioni migliorò, la classe media si trasferì in case migliori e gli immigrati si trasferirono dalle baraccopoli ai condomini. Questi condomini sono chiamati “HLM” – habitation à loyer modéré (“appartamenti con affitto moderato“). Un piano urbanistico diffuso in questo periodo era quello di separare le aree delle città secondo le funzioni da svolgere: zone residenziali (condomini), zone commerciali e zone lavorative, collegate al centro tramite mezzi pubblici.

 

La crisi energetica nel 1973 ed un aumento della disoccupazione durante il 1980 contribuirono allo sviluppo di un senso di disperazione ed assenza di legalità. Questo è stato esacerbato dall’influsso dell’Islamismo militante come appare evidente dagli attentati del 1995 del Gruppo Islamico Armato.

 

esplosioni di violenza urbana: per lo più incendi e sassaiole, accadono soprattutto quando un abitante della zona viene ferito o ucciso durante un’operazione di polizia (durano di solito pochi giorni), o durante il giorno di Capodanno;

 

I due principali fattori scatenanti della rivolta sono.

 

– il bisogno di rispetto e dignità: lui crede che questo punto abbia dato origine all’ultima rivolta;

– la reputazione: si scatenerebbe nelle zone implicate una competizione ad essere l’area “più violenta”; i media sembrano quindi giocare un ruolo importante nella propagazione delle violenze.

 

Nicolas Sarkozy divenne ministro dell’interno con un chiaro obiettivo: condurre una rigida politica di tolleranza zero contro la criminalità sotterranea.

Egli introdusse la “double peine” (doppia pena),cioè il fatto che uno straniero legalmente in Francia ,che commette un reato ,può essere espulso dopo aver scontato la pena.

 

Il 25 ottobre, dopo esser andato ad Argenteuil, Sarkozy, riferendosi agli abitanti delle banlieues, usò la parola, appartenente al gergo giovanile, “racaille” (feccia). Gli abitanti delle periferie si sentirono, naturalmente, insultati, dato che Sarkozy aveva considerato tutti gli abitanti delle banlieue come criminali e delinquenti.

 

Ed è qui, in questi quartieri parigini dove vivevano popolazioni di medio e basso rango, che sono avvenuti drastici cambiamenti di tipo economico e razziale che hanno profondamente cambiato queste periferie in pericolosi ghetti.

 

 

 

                      Islam

 

 

 

“L’Islam è visto come la più grande sfida al modello secolare della nazione degli ultimi 100 anni“, e l'”assertività dell’Islam francese è vista come una minaccia, non solo ai valori della repubblica, ma alla sua sicurezza“, a causa “della crescita mondiale della militanza islamica”.

 

 

“le rivolte hanno evidenziato tensioni tra le grandi città benestanti e le loro banlieue tristemente ghettizzate, casa di immigranti del Maghreb e dell’Africa Occidentale che non sono mai stati pienamente integrati nella società francese e sono diventati una sottoclasse per cui disperazione e discriminazione sono la norma”

 

Le rivolte delle Banlieue, con la loro incontenibile forza, hanno infranto il muro mediatico che da svariati anni nascondeva al mondo intero la realtà delle aree suburbane francesi.

 

 

Un ultimo punto su cui è necessario soffermarsi riguarda la recente svolta a destra delle politiche occidentali. L’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato da una politica liberista di globalizzazione esasperata che sta distruggendo i tessuti sociali più fragili e che espone quindi tali popolazioni a rischio di emarginazione.

Le bande di giovani, poco per volta, si stanno organizzando sempre più, preparando attacchi tramite messaggi fra cellulari ed imparando come fare esplosivi con della benzina”

 

Un funzionario di Action Police CFTC, ha descritto le rivolte come una “guerra civile“, e ha richiesto l’intervento dell’esercito.  In relazione alla rivolta, il Ministro degli Interni francese Nicolas Sarkozy ha affermato che i funzionari della Polizia dovrebbero essere armati con armi non letali per combattere la violenza urbana. Il governo francese, anche prima di questa rivolta, ha equipaggiato le forze di polizia con armi non letali (come flashbang e taser) al fine di trattare meglio la piccola delinquenza ed i disordini urbani, specialmente, nelle comunità periferiche povere.

 

Alcuni sospettano che i ribelli siano collegati al traffico di droga o coordinati da fondamentalisti islamici.

 

 

 Danimarca

 

Probabilmente ispirati dai disordini in Francia, giovani immigrati hanno commesso diversi atti vandalici a Århus, Danimarca. Uno di loro ha detto “La Polizia deve stare lontano. Questo è il nostro territorio. Qui comandiamo noi.”  Questi avvenimenti sono stati significativamente sottostimati; l’area attorno a Rosenhøj Mall, la più interessata dagli scontri, è stata per diverse notti zona off-limit. Il principale quotidiano della zona, il Jylland Post, è stato preso di mira da estremisti musulmani, che hanno rivolto minacce di morte nei confronti di alcuni giornalisti.

 

 

Gran Bretagna

 

Il modello d’incorporazione caratteristico della Gran Bretagna affonda le sue radici nell’esperienza coloniale del Commonwealth. Esso contempla, accanto al principio di pari opportunità, anche il riconoscimento della diversità culturale e può essere definito come un approccio multiculturalista. La legislazione che si è sviluppata a partire dal secondo dopoguerra, infatti, ha preso in riferimento il modello nord-americano, enfatizzando i temi dei diritti civili e della partecipazione al mercato del lavoro, ponendosi come principale obiettivo la lotta contro la discriminazione su base etnica e razziale. Nonostante questo, quest’ultima non è sparita e la difficoltà di convivenza tra culture ed etnie diverse è spesso degenerata in conflitti urbani particolarmente violenti.

 

 

Italia

 

 

Il leader dell’opposizione Romano Prodi ha richiamato il governo italiano ad un provvedimento urgente in materia, dichiarando ai giornalisti: “Noi abbiamo le peggiori periferie in Europa. Non credo che le cose siano molto diverse rispetto a Parigi. È solo questione di tempo.”

 

 

Il modello d’integrazione italiano è ancora oggi in via di costruzione. I Paesi mediterranei infatti hanno raggiunto molto lentamente la consapevolezza del loro nuovo ruolo nel sistema migratorio internazionale e dell’esistenza di un fabbisogno di manodopera di importazione. In Italia, un ritardo di comprensione di questo tipo, ha rallentato l’elaborazione di un modello di politica migratoria, lasciando spazio per contro a un alternarsi di politiche incerte, con una forte delega della gestione agli enti locali e istituzioni religiose e laiche della società civile. D’altra parte c’è chi considera l’Italia come un paese che, con alcune sue leggi (in particolare con la legge Turco-Napolitano, n.40, del 1998), ha anticipato, o meglio si è trovata in sintonia con le politiche migratorie di integrazione “caldeggiate” dalla Commissione europea, in particolar modo con il Trattato di Amsterdam, e teso a “comunitarizzare” progressivamente la materia al riguardo di visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone.

 

La prima normativa organica in materia è stata elaborata nel 1998 con il primo Testo Unico sull’immigrazione (Legge Turco-Napolitano, n. 40, 1998, e D.Lgs. n. 286, 1998) ispirato dalla visione dell’immigrazione come elemento ormai strutturale della società contemporanea. Essa riconosce la presenza, accanto ai fattori espulsivi, di fattori attrattivi che hanno a che fare con il fabbisogno di manodopera di importazione da parte dell’economia italiana, prevedendo un preciso meccanismo di determinazione annuale di quote di ingressi per “motivi di lavoro” e istituendo per la prima volta in Italia centri di permanenza temporanea per gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione. La legge prefigura un modello di integrazione basato su quattro tasselli: interazione basata sulla sicurezza; tutela dei diritti della persona atti ad assicurare un minimo di integrità ai regolari, con la sua estensione agli irregolari; integrazione dei regolari; interazione basata sul pluralismo e comunicazione. La legge prevede infine di attuare le proprie politiche utilizzando anche l’intermediazione del privato sociale, mettendo in campo così una sorta di strategia di integrazione indiretta. Questo modello ha ricevuto giudizi per lo più positivi da parte degli esperti in virtù dell’apertura sui diritti sociali. Per contro, e ciò ne costituisce un limite fondamentale, essa manca di qualsiasi apertura sui diritti politici (es., diritto di voto alle amministrative, prima previsto poi stralciato per consentire l’approvazione in Parlamento). Uno degli aspetti negativi più rilevanti della normativa riguarda la sua concreta attuazione, che viene sistematicamente ostacolata dall’ inefficienza della burocrazia italiana, da un’inadeguata informazione degli attori istituzionali chiamata ad applicarla e da un’eccessiva discrezionalità amministrativa e diversificazione territoriale nella sua applicazione.

 

La legge successiva, la Legge Bossi-Fini del 2002, introduce integrazioni e modifiche. Essa non semplifica la precedente architettura istituzionale, ma rivede in senso più restrittivo l’ingresso e la permanenza in Italia per motivi di lavoro. Questa legge genera preoccupazione per l’accesso alle procedure di asilo, per la detenzione dei richiedenti asilo in violazione degli standard previsti dalla normativa internazionale e per la violazione del principio del non-refoulement (non respingimento) che vieta di rimpatriare ed espellere forzatamente i richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani .

 

In conclusione, il modello italiano di inclusione presenta alcuni aspetti di peculiarità giuridica rispetto ai modelli di altri Paesi europei e la normativa, ma rimane in via di definizione.

 

 

 

Devianza degli immigrati

 

 

Con l’espressione devianza degli immigrati ci si riferisce a un atto o un comportamento, posto in essere da uno straniero, giudicato e considerato dalla maggioranza dei membri della comunità d’accoglienza una violazione delle norme o credenze condivise e considerate legittime.

 

 

 rispetto delle leggi

 

Evidentemente (e specie in relazione ai diritti femminili) questo vale anche ove le nostre leggi siano considerate in eventuale conflitto con consuetudini importate come “tradizionireligiose, conformemente ai dettami della nostra Costituzione: Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8 della Costituzione Italiana). A questo proposito è estremamente importante  non  rassegnarsi all’impotenza (spesso travestita da presunto “rispetto” per le tradizioni altrui) e senza far sì che nascano delle  vere e proprie “società parallele”.

 

 

 

I clandestini restano in Italia anche dopo essere espulsi

 

Svezia e Finlandia cacciano gli irregolari. Anche Alfano dispone un piano: “Un charter alla settimana per i rimpatri”. Ma è un fallimento: oltre la metà degli irregolari rimane in Italia. E ora aumenta il rischio di nuovi arrivi dal Montenegro.

 

 

Il problema è che il ministro dell’Interno Angelino Alfano e la sua squadra al Viminale non sono in grado di farlo. Lo dimostrano i numeri.  Oltre il 53% degli immigrati irregolari non lasciano l’ Italia nemmeno quando gli sono stati consegnati i provvedimenti di espulsione.

 

Nel 2015 su 34.107 clandestini ben 18.128 sono rimasti in Italia. Si tratta di gente che non ha i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno. I numeri forniti dal Viminale vanno presi con le pinze. La maggior parte di questi disperati riesce, infatti, a sottrarsi alla cattura dopo l’ordine emesso dal questore o dal giudice e il ministero dell’Interno non ha la più pallida idea di dove si trovino. lo stesso discorso vale per i minori. Dai centri di prima accoglienza in Italia sono scomparsi 5.902 minori stranieri. “Non c’è un dato che certifichi se abbiano o meno varcato nuovamente la frontiera italiana e non sono stati registrati ricongiungimenti familiari – spiega la deputata di Alternativa Libera, Eleonora Bechis,  – dei 63mila migranti non identificati, secondo la Commissione europea, 5 mila erano minori non accompagnati. In totale, dunque, mancano all’appello circa 11mila minori migranti non accompagnati, giunti in Italia nel corso dell’anno 2015″.

 

La chiusura delle frontiere nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’area Schengen spingerà gli immigrati a far rotta sull’Italia. Secondo gli analisti ci dobbiamo aspettare una nuova ondata di almeno 400mila disperati. Il rischio è che si intensifichi la rotta balcanica con arrivi via mare anche dal Montenegro. Non solo. Si intensificheranno le partenze anche dai porti libici. Il governo Renzi brancola nel buio. Ieri ha spedito una delegazione della polizia in Albania per prendere contatti con le autorità di Tirana. Il prefetto Mario Morcone si è già messo alla ricerca di nuove strutture dove sistemare chi fa richiesta per ottenere lo status di rifugiato. Alfano sta ipotizzando di aprire un paio di hotspot nel Nord Est, al Brennero e al Tarvisio. Ma il problema vero è che il piano messo a punto dal Viminale per far tornare negli Stati d’origine i clandestini fa acqua da tutte le parti.

 

Alfano aveva previsto la partenza di un charter a settimana con 50 persone a bordo. Peccato che l’Italia abbia siglato accordi per consentire i rimpatri solo con Egitto, Tunisia, Algeria e Marocco. Con l’Afghanistan, per esempio, l’Italia non ha stretto alcun patto. E così, mentre i nostri partner europei rimpatriano tutti gli afgani che cercano di spacciarsi per siriani, il Viminale non può rispedirli indietro.  Ma per prevenire l’ondata di nuovi arrivi  Alfano non sta facendo nulla.

 

 

 

 

 

             L’integrazione degli immigrati è impossibile

 

 

 

Non c’è dubbio che la visita di papa Francesco nell’isola di Lesbo in solidarietà coi richiedenti asilo che arrivano dalla Turchia e che vorrebbero essere accolti in Europa rilancerà il dibattito sull’emigrazione di massa nel nostro continente. E tornerà a frullare nelle teste e a rimbalzare da un giornale a un talk-show la parola “integrazione”. L’unica su cui si registra una certa unanimità: che si sia favorevoli o contrari all’immigrazione, che si simpatizzi per i ponti oppure per i muri, che si vogliano lasciar passare grandi masse oppure quasi nessuno, tutti in Europa mostrano di essere d’accordo sul fatto che gli immigrati in ogni caso devono integrarsi e devono essere integrati. Per alcuni l’integrazione è sinonimo di assimilazione, per altri significa conformità coi valori fondamentali affermati nelle costituzioni nazionali, lasciando un po’ di spazio alla diversità culturale. Per alcuni gli immigrati devono diventare come noi, tali e quali a noi; per altri la loro diversità è benvenuta purché sull’essenziale dei valori politici e civili che regolano attualmente la convivenza sociale nei paesi dell’Unione Europea essi si conformino. Per alcuni l’integrazione ricade principalmente sulle spalle dei migranti, che devono dimostrare la volontà di adattarsi al nostro modo di vivere, per altri ricade soprattutto sui paesi ospitanti, che devono impegnarsi a offrire scuola, formazione e lavoro ai nuovi arrivati e ai loro figli, e a vigilare sulle discriminazioni.

 

 

A criticare il mantra dell’integrazione sono pochi. Certamente un Fabrice Hadjadj, che ha scritto che gli attentatori di Charlie Hebdo erano figli di immigrati perfettamente integrati, ma

 

«integrati al nulla» della cultura postmoderna reale che vige in Europa, centrata sul consumismo e sull’edonismo.

 

l’insistenza sull’integrazione non è realistica. Ogni essere umano è convinto che la sua cultura sia superiore o perlomeno soggettivamente preferibile a tutte le altre. Perciò insistere sull’integrazione degli immigrati alla cultura europea può solo provocare reazioni di rigetto (che si notano soprattutto nelle seconde generazioni). «Se in Occidente continuiamo a pensare che il problema sia l’integrazione»,  «anche noi facciamo i radicali e, implicitamente, sosteniamo, di fronte ad altri radicali (quelli che vogliono imporre l’islam col jihad ), che la nostra cultura è migliore della loro. E ci sono milioni di motivi che possono dimostrare la superiorità della cultura occidentale rispetto a qualsiasi altra.

 

Ma ai nostri occhi, non agli occhi delle persone che appartengono ad un’altra cultura, le quali continueranno a pensare il contrario.

 

Di questo passo si arriva inevitabilmente a quello scontro di civiltà che proprio la retorica dell’integrazione vorrebbe evitare». La conclusione  è che non si possono avere insieme immigrazione e integrazione: se si accetta – o si subisce, a seconda dei punti di vista – l’immigrazione, il multiculturalismo è inevitabile.

 

Ci sono «visioni del mondo, della storia, della vita e della morte, del destino che possono convivere, ma non integrarsi». Sono convinto che l’integrazione non ci sarà.

 

Ma sono anche convinto che non ci sarà neppure convivenza nel senso che normalmente si dà a questa parola. Ci sarà piuttosto una balcanizzazione dell’Europa, o soluzioni in stile apartheid così come i nazionalisti boeri sudafricani lo teorizzavano, cioè forme di sviluppo separato (che non può essere completamente separato, come i bianchi sudafricani scoprirono a proprie spese).

 

 

L’integrazione non avrà luogo:

i milioni di stranieri che si stanno trasferendo in Europa non saranno integrati. Né nella forma dell’assimilazione, né nella forma del multiculturalismo attenuato dalla lealtà verso le costituzioni nazionali vigenti.

 

 

 

 Per molti motivi, dei quali i principali sono:

 

–  l’alto numero dei nuovi arrivati,

–  lo squilibrio fra i tassi di natalità dell’Europa e quelli di Africa e Vicino Oriente e

–  il basso costo dei trasporti e delle comunicazioni nell’epoca della globalizzazione.

 

Chi richiama l’attenzione sugli esempi del passato per confutare la tesi dell’impossibilità dell’integrazione non tiene conto delle differenze esistenti fra l’emigrazione di ieri e quella di oggi. Gli emigranti europei nelle Americhe sono stati perfettamente integrati: italo-americani come Frank Sinatra, Robert De Niro o Frank Giuliani, o italo-argentini come Juan Manuel Fangio, Cesar Luis Menotti o Jorge Mario Bergoglio ora papa Francesco, sono veri statunitensi e veri argentini, la loro italianità riducendosi a un dato biografico e a qualche elemento folkloristico. Culturalmente e psicologicamente sono dei nordamericani e dei latinoamericani, non sono degli italiani. Però i loro genitori o antenati sono emigrati in terre spopolate, le loro famiglie avevano tassi di natalità prossimi a quelli di chi già viveva nei paesi dove sono emigrati, i loro viaggi di là dall’oceano erano virtualmente senza ritorno a causa della distanza e dei costi da sopportare,

 

 la persistenza di legami e rapporti con la patria d’origine era estremamente labile in assenza di forme di comunicazione diverse da quella postale.

 

Oggi chi emigra resta in contatto con la terra di origine attraverso le tecnologie informatiche che permettono di comunicare a prezzi bassissimi o comunque contenuti (e-mail, social media, telefoni cellulari); le tivù satellitari che ogni sera riversano notizie della patria nella lingua madre e i viaggi aerei low cost che permettono di fare la spola fra il luogo di nascita e quello di emigrazione più volte all’anno con costi contenuti, fanno sì che il cordone ombelicale col mondo di provenienza non venga mai tagliato. Oggi non ci sono fattori materiali come la grande distanza e gli alti costi per superare la distanza che costringano gli emigranti allo sradicamento completo e all’adattamento alla nuova realtà.

 

 

Poi c’è il fattore demografico: gli immigrati fanno molti più figli degli indigeni europei. Il tasso di fertilità nella Ue è di 1,6 figli per ogni donna in età fertile; nel Medio Oriente e Nordafrica è di 3 figli, nell’Africa sub-sahariana è di 5 figli. Perché una popolazione giovane e numericamente in ascesa dovrebbe conformarsi ai valori di una popolazione senescente?

 

Ha detto Massimo D’Alema che l’Italia ha bisogno di 30 milioni di immigrati nell’arco di 20 anni per mantenere il sistema pensionistico e rilanciare la crescita economica.

 

 Se “noi” abbiamo bisogno di “loro” più di quanto loro abbiano bisogno di noi, perché loro dovrebbero adattarsi a noi e non piuttosto viceversa?

 

È intuitivo che un’Italia dove arrivano e fanno figli 30 milioni di stranieri nel giro di 20 anni non sarebbe più l’Italia ma diventerebbe un’altra cosa.

 

Gli immigrati tenderebbero a vivere fra loro, occuperebbero spontaneamente porzioni di territorio, diventerebbero la maggioranza dei residenti in certe aree, e non si capisce perché, essendo la maggioranza, dovrebbero vivere secondo i desideri della minoranza. Il problema nasce proprio qui, nasce dal rapporto fra maggioranze e minoranze nei paesi moderni. Ed è qui che nasce la mia convinzione, che non sia possibile nemmeno la semplice convivenza in alternativa all’integrazione.

 

 

 

La forma dello stato-nazione europeo, frutto ideale dell’incrocio fra illuminismo e romanticismo e prodotto delle guerre e dei moti popolari ottocenteschi, è del tutto inidonea alla convivenza fra comunità profondamente diverse per valori e visioni della vita.

 

Al contrario della forma imperiale. Gli imperi centrali demoliti dall’esito della Prima Guerra mondiale –Impero austro-ungarico e Impero ottomano – erano entità politiche multiculturali e multireligiose, nelle quali convivevano popolazioni diverse per lingua, cultura e fede religiosa. Ogni etnia e ogni comunità confessionale si regolava secondo le proprie convinzioni e tradizioni, tradotte in norme di diritto comune e di codice di famiglia. Al potere imperiale andavano versati tributi sotto forma di tasse e di reclute per l’esercito, in cambio dell’autorizzazione a un ampio autogoverno. Le leggi e i provvedimenti che originavano dall’imperatore non potevano, ovviamente, essere sindacati. E nessuno ci provava.

 

 

 

In una democrazia moderna la cosa non può funzionare: non esiste un’autorità insindacabile sovrastante il popolo, le leggi sono l’espressione della volontà maggioritaria dei cittadini attraverso la mediazione parlamentare. Le leggi approvate dalla maggioranza valgono per tutti e tutti devono accettarle. Questo modo di funzionamento della politica presuppone una certa omogeneità culturale: ci si divide e si discute su tanti argomenti, ma alla fine chi si ritrova in minoranza accetta, anche se malvolentieri, la volontà della maggioranza perché ciò che unisce è più profondo di ciò che divide. La maggioranza tende – almeno fino a qualche tempo fa, oggi si comincia ad annusare odore di neo-totalitarismo – a lasciare qualche spazio alla minoranza. Gran parte dei paesi europei ha deciso purtroppo di legalizzare l’aborto, ma almeno è stato riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza per chi potrebbe essere chiamato a praticarla.

 

 

Ora, è evidente che democrazia liberale e pluralismo culturale assoluto non possono convivere.

 

Come si può legiferare su un tema come la blasfemia in un paese dove le opinioni sono radicalmente opposte? Se metà della popolazione pensa che le offese a Dio meritano la pena di morte, e l’altra metà pensa che sia diritto di ogni artista reale o presunto e di ogni umorista reale o presunto offendere la divinità in nome di messaggi estetici, satirici, comunque concettuali, come possono queste due metà convivere nello stesso stato? La metà messa in minoranza dalla legge non si considererà più veramente cittadina dello stesso Stato, non riconoscerà più la legittimità di chi governa.

 

 

Ecco perché io credo che l’Europa, dopo 70 anni di processi di integrazione, vada incontro alla più grande disintegrazione della sua storia dall’epoca della fine dell’Impero Romano. L’immigrazione proseguirà, gli stati si frammenteranno di diritto o di fatto a causa delle differenze culturali fra vecchi e nuovi abitanti.

 

Ci scambieremo merci, servizi e manodopera, ma scordatevi l’Europa unita nell’Inno alla gioia di L. van Beethoven.

 

E TUTTO QUESTO E’ COLPA DEI POLITICI:

 

–  CIECHI,

– FACILONI

– ILLUSI

– VISIONARI,

– INCOMPETENTI

– STUPIDI

– CRIMINALI

 

CHE PORTERANNO ALLA  DISTRUZIONE DELL’ITALIA  PER  COSTRUIRE LA QUALE,NEL CORSO DEI SECOLI,MILIONI DI PERSONE HANNO DATO LA LORO VITA PER UN’ITALIA MIGLIORE PER I LORO FIGLI!!!

 

SPERO SOLO CHE IL POPOLO,ILLUMINATO,SI SVEGLI E BUTTI NEL CESSO QUESTI POLITICI DI MERDA!!!

 

 

 

 

CHI E’ CONTRO GLI ITALIANI’ ?

il PD

 

 

 

 

 

Ecco i punti su cui mi impegno a promuovere politiche precise:

Accoglienza e integrazione

 

Deve finire la vergogna dei Centri di Accoglienza e dei Centri di Identificazione ed Espulsione. Non si possono trattare degli esseri umani, in via pregiudiziale, come detenuti senza diritti, in modo da scatenare solo disperazione e antagonismo. È dimostrato che tali strutture non riducono il fenomeno dell’immigrazione clandestina, anzi, il più delle volte trasformano degli innocui individui in difficoltà in delinquenti. Dunque non solo hanno costi enormi a carico della comunità, senza alcun beneficio riscontrabile, ma essi stessi sono causa di numerosi problemi ulteriori, pieni di ricadute negative che andranno a pesare su tutta la società, sia economicamente sia in termini dell’accumulo di conflitti. Del resto respingere gli immigrati irregolari che riescono ad accedere al nostro territorio, oltre che inumano, è impossibile o perfettamente inutile; invocare questa “misura” come risolutoria è mentire sapendo di farlo. Appare molto più conveniente ribaltare completamente tutto il sistema dell’accoglienza, dandogli obiettivi precisi di contenimento del danno e, perché no, di fare magari di necessità virtù. Un modo conveniente potrebbe essere

 

– impiegare le decine di caserme sparse per l’Italia, oggi abbandonate, per ospitare gli immigrati durante un periodo di inserimento, in cui creare dei processi di “do ut des” che possono essere di controllo del fenomeno e di vantaggio per tutti. Processi che si basino sul costruire dei percorsi formativi di base, durante i quali venga dato loro modo di imparare a comunicare nella nostra lingua; vengano trasmessi loro i principi base della nostra Costituzione e delle nostre leggi, e venga insegnato loro un mestiere artigianale (muratore, giardiniere, etc.). Si creerebbe così una sorta di scuola-stage in cui, a fronte dei costi (che comunque già oggi nei “centri di accoglienza-lager” sono già molto alti) si investa su persone che possono essere introdotte meglio alla convivenza e all’integrazione e che, durante questi processi di formazione, possono rendersi utili in programmi di recupero e restauro di edifici pubblici, che come sappiamo (le scuole ne sono un esempio drammatico), per mancanza di fondi oggi versano in pessimo stato. Si potrebbe obiettare che, inseriti in un simile programma, “le persone clandestine tenderebbero a scappare”. Può darsi; ma (a parte che questo concetto di “clandestinità” andrà superato) : si possono comunque ideare sistemi meno vessatori per mantenere un controllo su persone che non sono state ancora regolarizzate, in attesa di definire vere soluzioni (Qualunque sistema di controllo sembra infinitamente meno inumano che consentire una simile carcerazione nei campi di raccolta, condizione gravissima che oggi si protrae per mesi, e a volte anni, nelle condizioni più degradanti, senza alcuno sbocco). Si deve anche valutare se far gestire (con convenzioni statali) simili percorsi alle associazioni che dispongono di strumenti di mediazione culturale superiori a quelli della Polizia che oggi gestisce i Centri di detenzione.

 

Le persone immigrate, incluse quelle che si trovino in condizione di clandestinità, vanno tutelate nella salute: per un fattore umanitario e per evitare che si diffondano situazioni pericolose per tutti sul piano sanitario.

 

Nelle politiche relative all’integrazione vanno valutate con la massima attenzione tutte le opzioni che possano promuovere il ruolo positivo che possono avere le donne.

 

 

 

Cittadinanza e diritto di voto

 

Chi nasce in Italia da genitori stranieri e risiede in Italia non ha oggi gli stessi diritti di chi nasce da genitori italiani. Questo rappresenta una situazione di disuguaglianza e di ingiustizia in contrasto con la nostra Costituzione. Oggi circa il 15% dei nuovi nati ha genitori stranieri, un fenomeno che non può più essere ignorato. Ai figli di immigrati nati e residenti in Italia va concessa la cittadinanza italiana, applicando correttamente e  introducendo anche nel nostro Paese il principio dello ius soli. Chi nasce e cresce in Italia è italiano.

 

Il contributo economico dei lavoratori stranieri in Italia ha assunto dimensioni ragguardevoli, circa il 10% del PIL e il 5% delle entrate fiscali. Per questo hanno diritto al voto per la scelta del loro sindaco e delle amministrazioni locali.

 

 

Questo è quello che dice la PUPPATO senatrice del Partito Democratico.

 

Brava Puppato,hai una mente eccelsa,sei stupenda,possiamo timidamente batterti le mani …. ??

Con i tuoi progetti la DISGREGAZIONE DELL’ITALIA  sarebbe a portata di mano!!

Ma come mai certi politici odiano così tanto gli italiani???

Forse ce l’hanno nella loro genetica

Forse hanno una microcefalia

Forse hanno mutazioni cromosomiche deleterie

Certamente andrebbero “bonificati”

Cara Puppato,per cortesia leggiti quello che ho scritto sopra e convinciti che le tue teorie porteranno l’Italia alla  ROVINA TOTALE   ed alla sostituzione degli italiani  (e non solo dei leghisti) con gli ISLAMICI.

Ma come fai ad essere così ottusa??

Un saluto

 

 

 

LAURA PUPPATO

 

Crocetta del Montello 17 febbraio 1957 –

studio: diploma magistrale

Frase storica:

Nell’aprile 2014 ha destato forti critiche la frase «Le nostre riforme elimineranno la presenza fisica dei militanti leghisti», pronunciata dall’ “onorevole” Puppato nella trasmissione Agorà.

E brava Puppato,prima c’erano i professorini che hanno messo l’Italia nella disperazione ,ora c’era proprio bisogno di una maestrina per salvare gli italiani ?

Per favore Puppato,ritorna sui banchi delle elementari,certamente sarai molto più utile agli italiani.

Puppato…… tutto un programma … !!!

 

 

 

 

L’Islam vuole conquistare  da sempre  i luoghi del cattolicesimo ed in particolare IL VATICANO ,l’ultima grande spedizione con 140.000 uomini partì dalla Turchia,arrivò a VIENNA  e per un soffio non arrivò a ROMA,dove adesso ci sarebbe la più grande moschea d’Europa al posto del Vaticano!

Francesco rifletti !!!!

 

 

 

La Battaglia di Vienna

 

 

La battaglia di Vienna (polacco: Bitwa pod Wiedniem; tedesco: Schlacht am Kahlenberg) ebbe luogo l’11 e il 12 settembre 1683 e pose fine a due mesi di assedio posto dall’esercito turco alla città di Vienna.

Questa battaglia campale fu combattuta dall’esercito polacco-austro-tedesco comandato dal re polacco Giovanni III Sobieski contro l’esercito dell’Impero ottomano comandato dal Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha, e fu l’evento decisivo della guerra austro-turca (1683-1699), conclusasi definitivamente con la firma del Trattato di Karlowitz.

L’assedio di Vienna fu posto a partire dal 14 luglio 1683 dall’esercito dell’Impero Ottomano, composto da circa 140 000 uomini. La battaglia decisiva cominciò l’11 settembre, quando cioè si concluse il raggruppamento dei rinforzi dalla Polonia, comandati da Giovanni III Sobieski stesso, dalla Germania e dal resto dell’Austria, oltre alle forze presenti nella città.

 

L’imperatore Leopoldo I si era rifugiato a Passavia, da cui dirigeva l’attività diplomatica (sostenuto dalla diplomazia del papa Innocenzo XI) indispensabile per tenere unito un esercito variegato in un momento tanto drammatico; di conseguenza i capi militari della città non esitarono a conferire a Sobieski il comando dell’esercito così composto:

 

30 000 polacchi al comando di Giovanni III Sobieski;

18 500 austriaci e italiani (toscani, veneziani e mantovani), al comando di Carlo V duca di Lorena e di Eugenio di Savoia;

19 000 franconi, svevi e bavaresi, al comando di Giorgio Federico di Waldeck;

9 000 sassoni, al comando di Giovanni Giorgio III di Sassonia.

 

In tutto quindi le forze europee contavano su 75/80 000 uomini, contro 140 000 ottomani che avevano invaso l’Austria. La maggior parte di essi tuttavia non si trovava a Vienna il giorno della battaglia.

Le forze cristiane, appena arrivate, conoscevano malissimo il territorio, mentre i soldati all’interno della città erano mal ridotti a causa dei due mesi d’assedio. Buona parte dell’esercito ottomano aveva comunque una scarsissima preparazione militare, e alcuni contingenti ottomani (come i tartari e i magiari) parteciparono solo in maniera indiretta alla battaglia e all’assedio, limitandosi a saccheggiare i territori circostanti e a compiere incursioni. Durante la battaglia l’esercito ottomano non si riunì, ma inviò un corpo ad affrontare i polacco-imperiali, mentre altre truppe continuavano ad assediare la città.

 

In pratica la battaglia fu uno scontro fra i polacchi e la parte militarmente più capace dell’esercito del Gran Vizir, che quindi si trovò a combattere in condizioni di rilevante inferiorità e di stanchezza, visto che combatteva da giugno contro la guarnigione di Vienna ed era stato indebolito da diverse epidemie, soprattutto di dissenteria. La maggior parte dell’esercito Ottomano era partita per la guerra nell’autunno dell’anno precedente, con marce che avevano avuto inizio in Crimea, Valacchia, Mesopotamia, Armenia, o dalla stessa Istanbul.

 

 

 

L’assedio

 

Il grosso dell’esercito ottomano investì Vienna ed i suoi difensori il 14 luglio. Il conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, capo delle truppe superstiti (circa 20.000 uomini) rifiutò di arrendersi e si chiuse dentro le mura della città. La corte imperiale e gli ambasciatori presenti, presi dal panico, si diedero alla fuga. Drappelli di Tatari, talvolta di soli 3 o 4 uomini, arrivarono a 80 chilometri ad ovest di Vienna, saccheggiando e disturbando le comunicazioni, incendiando villaggi e fienili, radunandosi e disperdendosi a seconda delle condizioni locali, e diffondendo il panico secondo la più consolidata tradizione mongola.

 

I difensori avevano abbattuto le case che circondavano la città, in modo da non lasciare alcun riparo per chiunque si avvicinasse alle mura, anche se i lavori erano stati affrettati e mal eseguiti. Kara Mustafa Pascià risolse il problema facendo scavare profonde trincee che dal campo ottomano si diramavano fino alle mura, limitando così di molto il numero di batterie viennesi in grado di colpire i soldati che si avvicinavano.

Dato che le mura della città erano molto solide ed i cannoni ottomani piuttosto vetusti ed inefficaci, gli assedianti pensarono bene di minare le mura (come fecero già a Candia contro i Veneziani) anziché distruggerle a cannonate. Le trincee furono così prolungate fin sotto le mura dove vennero poste le cariche esplosive. L’artiglieria d’assedio ottomana era di qualità appena sufficiente, scarsa e scadente quella campale da utilizzare in supporto, al contrario gli ingegneri turchi avevano una grande abilità sia nella guerra di mina e contromina, sia nello scavo delle trincee di approccio.

Un po’ alla volta i lavori d’assedio ottomani distrussero le difese poste posteriormente al palazzo imperiale e al bastione Bug; il rivellino antistante fu completamente distrutto con più mine, ambedue i bastioni presso il torrente Wien furono rovinati sullo spigolo e notevolmente danneggiati in vari punti, mentre il muro tra i due bastioni era ormai indebolito; quando l’esercito di soccorso raggiunse la città danubiana rimanevano ormai pochi giorni di tempo previsti prima dello sfondamento. In compenso la difesa asburgica fu molto aggressiva ed efficiente, almeno in superficie, riuscendo a rallentare notevolmente i lavori d’approccio, al contrario gli austriaci fecero molta fatica ad operare delle contromine. Inoltre la calura estiva e la concentrazione di civili e militari nella città causò, com’era sperato dai turchi, un’epidemia di dissenteria, che però si diffuse anche tra gli assedianti.

Kara Mustafa non aveva però messo in conto che Leopoldo I a Passavia aveva ormai concluso l’accordo con i suoi alleati, tra cui spiccava Sobieski e la sua potentissima cavalleria composta da Ussari alati di Polonia, che si preparava infatti a marciare verso Vienna. Va infatti ricordato che Kara Mustafa era tranquillo, in quanto la maggior potenza continentale dell’epoca, cioè la Francia di Luigi XIV, era nascostamente sua alleata, poiché sperava in un ulteriore indebolimento dell’Austria, e ciò causava preoccupazione negli Stati tedeschi alleati all’imperatore perché si pensava che potesse invadere l’impero da ovest. L’intransigente posizione papale contribuì a disinnescare questo rischio, spingendo al contrario Luigi XIV a inviare una squadra navale contro Algeri per dimostrare la sua cattolicità.

 

L‘assedio fu ovviamente durissimo, con malattie, fame e morte all’ordine del giorno. Ormai il destino della città era segnato, e i Turchi aspettavano solo di penetrarvi, anche se loro stessi non sapevano se saccheggiare “la mela d’oro” (soprannome turco di Vienna) e passare lì l’inverno, oppure conquistarla ed annettere così l’Austria orientale al loro impero. Carlo di Lorena e i suoi uomini compivano numerosi movimenti in appoggio alla capitale, e disturbando (assieme alle sortite delle fortezze rimaste isolate alla frontiera) i rifornimenti ottomani. Le truppe austriache, molto esigue numericamente, furono subito fronteggiate dagli ungheresi di Imre Thököly, alleati dei Turchi, ma in svariati scontri l’effetto sorpresa ebbe la meglio e gli Ungheresi si dovettero ritirare.

 

Kara Mustafa a questo punto capì che la presa di Vienna non era così a portata di mano come sembrava, e quindi diede ordine di procedere alla distruzione delle mura e di prepararsi all’assalto finale, rinunciando a inseguire il duca di Lorena, che nel frattempo si era allontanato dalla città. La situazione pareva di nuovo volgere a favore degli assedianti in quanto le mura poco a poco si assottigliavano erose dalle mine turche. Prevedendo la prossima apertura di una breccia nelle mura, i viennesi si prepararono al combattimento strada per strada. Un gravissimo errore di Kara Mustafa, già notato dai giannizzeri e dai generali turchi, fu però quello di non aver fortificato il campo con bastioni di terra e legno, ma il visir riteneva che non si potesse togliere genieri, manodopera e legname alla costruzione di trincee d’approccio.

 

 

I preparativi

 

La situazione era a questo punto più che caotica. Da un lato turchi ancora superiori numericamente ma preoccupati dall’arrivo di Carlo di Lorena e soprattutto resi perplessi dall’arrivo, ormai imminente, del grosso dei rinforzi, di cui ignoravano ancora l’entità, di cui si era sparsa la notizia. Dall’altro i viennesi che sentivano la morsa stringersi su di loro, con poche informazioni che giungevano in città tramite spie che riuscivano a passare lo schieramento turco, certi ormai dell’esito infausto che li aspettava. Infine lo stesso duca di Lorena, che aspettava Sobieski (cui nel frattempo si erano uniti la maggior parte dei rinforzi inviati dai principi tedeschi) era indeciso sulla strategia da adottare, sulla tempistica (era propenso ad un attacco immediato, anche prima che i rinforzi fossero arrivati, ma fu trattenuto dall’Imperatore) e in disaccordo con quasi tutti i suoi ufficiali superiori.

Finalmente Sobieski varcò il Danubio il 6 settembre su un ponte di barche costruito dagli imperiali a Tulln, 30 km da Vienna, e fu subito posto a comando dell’ormai formidabile armata che si era riunita. Sobieski dimostrò in quell’occasione una lungimiranza assai rara per i re dell’epoca. Infatti l’aiuto che gli chiese Leopoldo I non portava nulla al regno di Polonia che in quegli anni era impegnato in lotte altrettanto crude con i vicini Regno di Svezia e Impero Russo. Egli accettò poiché aveva capito che la caduta di Vienna avrebbe spalancato ai turchi le porte della Germania, ancora devastata dalla recente guerra dei trent’anni e dalla pestilenza del 1679; e una volta in Germania, nessuno avrebbe potuto fermare l’espansionismo ottomano. Inoltre gli Ottomani erano nemici anche dei polacchi, e la presenza dei turchi nel cuore dell’Europa avrebbe interrotto le vie commerciali che giungevano in Polonia. Soprattutto il re polacco voleva imporre il suo prestigio all’interno ed all’esterno della sua nazione, e cercava di rendere possibile l‘elezione al trono di suo figlio (il trono polacco era elettivo) e la stabilizzazione dell’esercito permanente.

 

Non altrettanta lungimiranza mostrò Kara Mustafa, che anzi non fece nulla per motivare il suo esercito e fidelizzare le truppe non turche che ne componevano la gran parte. Addirittura il Khan di Crimea, esitò quando ebbe l’occasione di attaccare la cavalleria pesante di Sobieski quando questa si trovava sulle colline a nord di Vienna, cioè in una situazione di estrema vulnerabilità. E non fu l’unico caso di divisione interna nel fronte turco. Infatti Kara Mustafa rappresentava una fazione di corte, ostile ai giannizzeri, ai dervisci, e a tutti i movimenti dei musulmani tolleranti e eterodossi; gli eterodossi però formavano una buona percentuale dei migliori elementi dell’esercito, e la quasi totalità dei giannizzeri, e riuscivano ad avere le simpatie di molti cristiani soprattutto dei nobili ungheresi protestanti e degli ortodossi rumeni (che preferivano la tolleranza degli ottomani all’inflessibilità controriformistica austriaca). Inoltre molti dei più importanti generali ottomani, come Ibrahim di Buda, veterani di molte campagne e di grande ascendente sulle truppe, erano stati contrari all’impresa sin dal principio, avrebbero preferito una campagna limitata alla conquista di alcune fortezze di frontiera, oppure erano stati contrari alla guerra sin dal principio. Il principato di Valacchia aveva sempre dimostrato un atteggiamento ambivalente verso i nemici cristiani dei turchi, e le truppe valacche si ritirarono in parte nei giorni precedenti alla battaglia, sia ufficialmente (con scuse varie), sia individualmente e alla chetichella disertando in maniera troppo sistematica perché non sia possibile indovinare precisi ordini.

 

Un altro errore fu quello di non fortificare le colline a nord di Vienna, lasciando così praticamente indifesi i passi ed i passaggi che dal Nord conducono alla città, interamente costruita sulla riva Sud del Danubio. Bastò agli alleati ricostruire un ponte di barche nei pressi di un ponte che i turchi avevano distrutto.

 

Le forze della Lega Santa si riunirono così l’11 settembre sul Monte Calvo (Kahlenberg), pronte alla resa dei conti con gli ottomani. Nelle prime ore del mattino del 12 una Messa propiziatoria venne celebrata, e la tradizione tramanda che Sobieski in persona prestò il proprio servizio all’altare.

 

 

La battaglia

 

La battaglia ebbe inizio all’alba, subito dopo la messa celebrata da Marco d’Aviano. Furono i Turchi ad aprire le ostilità nel tentativo di interrompere il dispiegamento di forze che la lega santa stava ancora ultimando. Carlo di Lorena ed i tedeschi rintuzzarono l’attacco in attesa che Sobieski ed i suoi fossero pronti.

 

La battaglia era cominciata, furibonda come e più del previsto. I turchi pagarono subito l’errore di non essersi preparati a difendersi dalle forze provenienti dal nord, trovandosi di fatto con l’élite dell’esercito (i Giannizzeri) schierati dove non serviva, cioè presso le mura che erano ancora in piedi, e le retroguardie difese solo da truppe poco preparate. A questo punto Kara Mustafa capì che la battaglia era persa, e tentò con tutte le forze di vendere cara la pelle, cioè prendere Vienna, complicando così di molto i piani della Lega Santa e soprattutto infliggendole lo smacco di entrare in città proprio mentre la battaglia volgeva a favore dei cristiani

 

Ma ancora l’esercito cristiano non aveva giocato la sua carta più forte: la cavalleria polacca. Nel tardo pomeriggio dopo aver seguito dalla collina l’andamento dello scontro 4 corpi di cavalleria (1 tedesca e 3 polacche) scesero all’attacco a passo di carica. L’attacco fu condotto da Sobieski in persona e dai suoi 3000 Ussari. La carica sbaragliò definitivamente l’esercito turco, mentre gli assediati uscirono dalle mura a raggiungere i rinforzi che già inseguivano gli ottomani in rotta. Il cronista turco Mehmed, der Silihdar così commentò l’arrivo dell’armata del Sobieski

 

« Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Arrivavano con un’ala di fronte ai valacchi e moldavi addossati ad una riva del Danubio e con l’altra ala fino all’estremità delle divisioni tartare, coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi. »

La battaglia di Vienna vide anche l’esordio in combattimento di un futuro, grande condottiero: Eugenio di Savoia.

 

È storicamente provato che un notevole contributo alla vittoria di Sobieski fu arrecato dal graduato polacco Franciszek Jerzy (= Giorgio) Kulczycki, che svolse attività di spionaggio trafficando con i turchi in sacchi di caffè, ma in realtà fornendo al comando polacco notizie sulla dislocazione delle truppe turche e sui loro movimenti. Finito l’assedio Jan III lo ricompensò con una scritta sul suo stemma di famiglia: Salus Vienna Tua, nonché donandogli tutto il caffè abbandonato dalle truppe ottomane.

 

Kara Mustafa pagò con la vita i suoi errori strategici e soprattutto tattici: il 25 dicembre successivo, per ordine del Sultano Mehmed IV, fu strangolato a Belgrado, che a sua volta si apprestava a capitolare. Subito prima aveva fatto impiccare Ibrhaim di Buda, privando così i turchi dell’unico generale che sarebbe riuscito a gestire la ritirata.

 

 

 

Conseguenze

 

La battaglia rappresentò il punto di svolta, a favore degli europei, delle guerre austro-turche. Infatti non solo segnò l‘arresto della spinta espansionistica ottomana in Europa, ma anche l’inizio della loro estromissione dai Balcani: poco dopo infatti gli austriaci occuparono l’Ungheria e la Transilvania, firmando quindi nel 1699 la pace coi turchi (Trattato di Karlowitz).

 

Sobieski fu riconosciuto come l’eroe della battaglia, e una chiesa fu eretta sul Monte Calvo in onore del re polacco.

Quindi fu il re polacco Sobieski ,considerato marrano e bifolco da tutti i signorini viennesi abituati solo alla bella musica ,ai vestiti da damigelle, trucchi e parrucche, a salvare Vienna e tutta la cristianità .

Non volevano dare il comando a Sobieski il quale però lo pretese per partecipare alla liberazione di Vienna.

Di notte a tappe forzate,portò i suoi cannoni e la sua cavalleria sulla collina davanti a Vienna da cui all’improvviso discese sui  turchi-musulmani come una valanga.

 

Grazie Sobieski,rimarrai sempre nei nostri cuori.

 

 

Se Vienne fosse caduta,ROMA avrebbe seguito la stessa sorte di lì a poco!!

Ciò valga da monito : ricordiamoci sempre che i musulmani hanno tentato di distruggere la cristianità “gli infedelida sempre.

 

Oggi la storia continua con l’ISIS.

 

RIFLETTIAMO!

 

 

Oggi i musulmani,dopo centinaia di anni nei quali ogni tentativo di conquista dell’occidente è fallito,stanno cercando di giocare l’ultima carta: conquistare l’occidente dal suo interno,con la più grande invasione che sia mai avvenuta nella storia.

 

E i nostri governanti  “illuminati” che fanno?

Li vanno a prendere a casa loro,gli aprono le porte ,li lavano,li stirano,prego accomodatevi…. ! Noi siamo quà,al vostro servizio!!

 

E anche Francesco dovrebbe ricordarsi che se oggi è lì ,lo deve anche all’eroe polacco!

 

Ma sembra che la storia venga dimenticata rapidamente,purtroppo e se un popolo non ricorda la sua storia,è destinato, prima o poi, al GIOGO .

 

 

 

Lascia una risposta