I blog di Alessioempoli

Data 31 maggio 2021

IL VINO FA MALE, MOLTO MALE!

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IL VINO FA MALE,MOLTO MALE

E’ VELENO!

Non credete alla pubblicità ingannevole a fine di lucro

 

Tumori dell’apparato digerente  da alcol

Tumori all’esofago, allo stomaco, al colon-retto, al pancreas e al fegato: che legame hanno con l’alcol?

L’Unione dei Gastroenterologi Europei ha diffuso un dossier per confermare, in sintesi, che l’alcol è un fattore di rischio insindacabile per i tumori dell’apparato digerente (causa di tre milioni di decessi ogni anno nel mondo): all’esofago, allo stomaco, al colon-retto, al fegato e al pancreas. A questi, occorre aggiungere gli altri più frequenti tra i consumatori assidui di etanolo e acetaldeide (un metabolita, più tossico): alla testa e al collo e al seno. I colleghi, sintetizzando le conclusioni già diffuse dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) di Lione e da numerose società scientifiche nazionali.

 

Nove europei su dieci ignorano infatti il potenziale di rischio legato al consumo di birra, vino e superalcolici. Più della cancerogenicità dell’etanolo, è questo dato a fare notizia: assieme a quello che vede il Vecchio Continente come quello che fa registrare i maggiori consumi di bevande alcoliche. Oltre un quinto della popolazione di età superiore ai   15 anni ingolla quattro bicchieri al giorno almeno una volta a settimana, per un utilizzo annuo pro-capite che tocca la quota di nove litri.

 

Confermato l’effetto cancerogeno dell’etanolo e restituita un’istantanea fedele delle abitudini a tavola, da Vienna viene lanciata una previsione poco incoraggiante. Senza un’inversione di rotta, dovremo prepararci a un aumento dei tumori dell’apparato digerente: al colon-retto (nei consumatori moderati), all’esofago, allo stomaco, al fegato e al pancreas (nei forti bevitori). Il problema, come ribadito nelle 32 pagine del dossier, ha carattere d’emergenza (135mila le morti alcol-correlate stimate per il 2035). A definirlo sono le due tendenze osservate: ovvero l’elevata abitudine al consumo e la quasi nulla percezione del rischio. Dopo il calo osservato negli anni ’90, le vendite di alcolici hanno ripreso a salire negli ultimi dieci anni. In più, nello stesso tempo, s’è abbassata l’età della prima bevuta e consumi smodati si osservano in realtà più tra i giovani che tra gli adulti. Visto che il trend è piuttosto recente, non abbiamo ancora i numeri per determinare la correlazione tra il binge drinking e l’aumento di incidenza dei tumori. Ma è certo che l’attitudine all’abuso di alcolici da parte dei più giovani è un vizio che, se non interrotto, non lascia ben sperare. Alle spalle abbiamo infatti già diverse ricerche che evidenziano come, al diffondersi di una cultura del bere, corrisponda un aumento nell’incidenza dei tumori correlati al consumo di bevande alcoliche.

Emblematico è il caso dei Paesi dell’est Europa, dove non a caso si riscontrano tassi di malattie più elevati rispetto a quelli (comunque non trascurabili) che si misurano in Italia e in Francia: dove la maggiore adesione alla dieta mediterranea porta a consumare quantità di birra o vino più modeste e comunque in accompagnamento ai pasti.

Detto ciò, vero è che il dossier ci ricorda come «le probabilità di ammalarsi crescano di pari passo con le quantità di alcol consumato»: dunque un bicchiere a settimana farà in teoria meno danni di un paio di bicchieri al giorno, limitando sempre l’analisi al rischio oncologico. Ma lo è altrettanto l’affermazione secondo cui «non esistono livelli di consumo sicuro se si vogliono prevenire i tumori». Esiste una variabilità specifica per ogni distretto corporeo, come dimostrato nel 2015 grazie a un lavoro pubblicato sul British Journal of Cancer. Un drink al giorno accresce il rischio di sviluppare una neoplasia esofagea, mentre il colon-retto è sensibile a consumi più elevati: da uno a quattro bicchieri. Già nel 2012, 71 scienziati provenienti da 33 organizzazioni di 14 Paesi europei avevano prodotto un Manifesto per allertare i decisori politici sul problema specifico, indicando in oltre 136mila i nuovi casi di cancro in Unione Europea legati all’assunzione media di circa 32 grammi di alcol al giorno. Un evidenza che già da tre anni la Società Italiana di Alcologia ha acquisito e fatto oggetto di una campagna di sensibilizzazione esplicita in cui il messaggio centrale è di rivolgersi al medico curante per verificare possibili condizioni a maggior rischio.

 

Oggi riscopriamo dunque come il problema legato all’abuso di bevande alcoliche sia endemico. Parlare dell’alcol come di un cancerogeno deve diventare una priorità per le istituzioni, affermano i ricercatori e i clinici: anche se c’è una parte di loro che ancora non lo fa, per una verificata mancanza di cultura specifica e aggiornamento che spesso portano ad anteporre le opinioni personali all’evidenza scientifica. Occorre destare i consumatori da un torpore riconducibile alla scarsa cultura che finora ha portato a sottovalutare gli effetti dell’alcol sul nostro organismo, così come fino a mezzo secolo fa avveniva con il fumo di sigaretta. Il primo passo da compiere deve portare all’aumento della consapevolezza: basta con le informazioni fuorvianti, spesso frutto di rapporti discutibili  (grandi guadagni) che chiamano in causa anche colleghi e società scientifiche. Il target di riferimento di una campagna di corretta informazione deve essere rappresentato tanto dai giovani (quali saranno sennò le conseguenze di anni di sbronze?) quanto dagli adulti (in loro è dura a morire la bufala del bicchiere al giorno che fa bene al cuore). Ma servono molti fondi, oltre a una manifesta volontà politica, come avvenuto in Islanda: dove  investimenti consistenti e costanti per oltre dieci anni hanno consentito di abbattere il problema del’alcol in particolare tra i giovani

 

Una situazione raggiungibile attraverso investimenti in attività alternative sane rispetto al bere (sport, cultura e musica con interventi di comunità realizzati attraverso attività nelle scuole, facendo lavorare gomito a gomito istituzioni e associazioni.

 

Intercettare precocemente i consumatori a rischio, in particolare quelli con consumo dannoso di alcol, come dimostrato dall’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, è una mossa efficace per due ragioni: la prevenzione di complicanze, l’arresto della progressione del danno, la predisposizione di un intervento e comunque la fornitura di un trattamento. Serve da lezione di  quanto accaduto in Repubblica Ceca, dove fino a pochi anni fa l’incidenza del cancro del colon-retto era la più alta d’Europa. Oggi è scesa al settimo posto: merito in buona parte della capacità degli specialisti di intercettare i pazienti a rischio, garantendo così diagnosi tempestive e prognosi meno infauste. Una riflessione è stata avviata a livello europeo in merito ai messaggi sui rischi alla salute da inserire in etichetta, anche alla luce delle indicazioni derivanti dalla Joint Action Rarha che ha concluso tre anni di attività con tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, dialogando con i decisori politici e con tutti gli interlocutori del mondo della produzione. L’occasione è stata utile per richiamare la condivisione da parte dell’industria di un approccio rivolto a favorire scelte informate nei consumatori. La Commissione Europea ha invitato l’industria a proporre entro la fine dell’anno modifiche sostanziali e formali dell’autoregolamentazione che possano ispirare etichette in cui informazioni essenziali – come il contenuto in grammi e in chilocalorie – rappresentino alcune delle modalità attraverso cui comunicare ai consumatori le informazioni in maniera valida e completa.

 

Sebbene sia sulle nostre tavole fin dalla notte dei tempi, ormai è dimostrato che anche le bevande alcoliche possono favorire lo sviluppo dei tumori.

 

Si dice che a scoprirne le qualità sia stato addirittura Noè. Certo è che nella storia dell’umanità le bevande alcoliche hanno sempre accompagnato i pasti e soprattutto i festeggiamenti, che tipicamente prevedono molti brindisi.

 

Ma alzare il bicchiere può essere un importante fattore di rischio per lo sviluppo del cancro, soprattutto se non ci si attiene alle raccomandazioni ufficiali del WCRF (Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro).

 

Le prove scientifiche a dimostrazione del rischio

Lo IARC, che si occupa anche della valutazione degli effetti degli agenti chimici e fisici sul rischio di cancro, ha infatti classificato l’alcol come agente cancerogeno fin dal 1988. L’alcol è stato inserito nel gruppo 1, vale a dire quello in cui sono comprese le sostanze per cui esistono sufficienti prove scientifiche della loro capacità di influenzare l’insorgenza dei tumori. Da allora sempre più ricerche hanno chiarito il legame tra alcol e numerose forme tumorali: quello della bocca, della faringe, dell’esofago, della laringe, del seno, del colon, del fegato, del pancreas.

 

Tra questi la grande indagine EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), i cui risultati relativi alla relazione tra alcol e cancro sono stati pubblicati nel 2011 sul British Medical Journal. Lo studio, a cui hanno partecipato anche ricercatori AIRC, ha evidenziato che il 10 per cento di tutti i tumori che colpiscono i maschi e il 3 per cento di quelli che colpiscono le femmine sono attribuibili al consumo di alcolici. Nel dettaglio, la ricerca ha stimato che l’alcol è responsabile di una quota oscillante tra il 25 e il 44 per cento dei tumori di boccafaringe, laringe e cavità nasali, del 18-33 per cento di quelli del fegato, del 4-17 per cento dei tumori del colon e del 5 per cento dei tumori al seno femminili.

 

Come l’alcol favorisce l’insorgenza del cancro

A oggi non sono noti tutti i meccanismi attraverso cui l’alcol contribuisce alla nascita del tumore.

Alcune cose però le sappiamo: ad esempio, l’alcol irrita le mucose impedendo alle cellule danneggiate di ripararsi correttamente. Questo può favorire lo sviluppo dei tumori della bocca e della gola.

L’alcol è metabolizzato nel fegato, l’organo che ha il compito di rendere meno tossiche le sostanze che lo attraversano. Nel fegato l’alcol può causare infiammazione e alterazioni alle cellule epatiche che possono con il tempo diventare cellule tumorali.

 

A livello del colon l’alcol agisce con almeno due diversi meccanismi: tramite l’acetaldeide, una sostanza in cui l’alcol è convertito e che è riconosciuta come cancerogena; e poiché riduce la capacità di assorbimento dei folati, dei composti che sembrano proteggere dal cancro del colon e della mammella, e dalle loro recidive.

Inoltre l’alcol stimola la produzione di estrogeni e androgeni circolanti nel sangue, ormoni importanti nella crescita e nello sviluppo del tessuto del seno. Se tali ormoni sono in eccesso, aumenta il rischio di cancro.

 

La quantità di alcol conta più del tipo di bevanda

Vino a tavola o grappa a fine pasto? Birra o drink? Quanto al legame tra alcol e cancro non esiste differenza tra le diverse bevande: tutti gli alcolici sono un fattore di rischio. Indipendentemente dalla bevanda in cui esso è contenuto, è

infatti l’alcol stesso a provocare i danni all’organismo da cui può avere origine un tumore.

È quindi la quantità di alcol (e non di bevanda) che conta. Infatti la maggior parte dei tumori associati all’alcol si verifica nelle persone i cui consumi di alcolici superano le soglie raccomandate: 20 g di alcol al giorno (l’equivalente di due bicchieri di vino da 125 ml) per i maschi e 10 g al giorno per le femmine (circa un bicchiere di vino da 125 ml).

Proprio nella gradazione alcolica le bevande sono diverse: più è alta, maggiori sono le probabilità che si superino le soglie di consumo di alcol raccomandate.

 

La combinazione tra alcol e fumo

Nell’aumentare il rischio di tumori, l’alcol non lavora da solo, ma spesso interagisce con altri fattori di rischio potenziandone gli effetti dannosi.

 

È il caso del fumo. Anch’esso è una delle cause del cancro della la bocca, dell’esofago e del fegato (oltre che essere la principale causa di tumore del polmone). Diversi studi hanno evidenziato che il rischio di sviluppare queste forme tumorali non si somma, ma si moltiplica, per chi consuma alcol ed è anche fumatore.

 

Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano e pubblicato sulla rivista Alcohol and Alcoholism nel 2013 ha per esempio evidenziato che chi beve alcol, ma non fuma, ha il 32 per cento di probabilità in più di sviluppare un tumore della bocca e della gola rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, quando all’alcol si associano anche gli effetti del fumo, il rischio diventa quasi 10 volte più alto.

Analoghi risultati sono  stati evidenziati in relazione al tumore al fegato da uno studio pubblicato sull’International Journal of Cancer nel 2000. In chi consumava più di cinque unità alcoliche al giorno ed era anche un forte fumatore, il rischio di cancro al fegato è risultato essere più di 10 volte più alto che nella popolazione generale.

 

L’alcol durante e dopo le cure per il cancro

Si possono bere alcolici durante i trattamenti contro il cancro? Sebbene come raccomandazione generale non sia consigliata l’assunzione di alcol, non esiste una regola specifica in proposito e l’opportunità di berne o meno occasionalmente o in piccole dosi quotidiane varia da paziente a paziente. L’alcol, infatti, potrebbe interagire con alcuni farmaci (per esempio i chemioterapici procarbazina e lomustina) o peggiorare alcuni effetti collaterali delle terapie (per esempio le ulcere in bocca). Per questo è opportuno discuterne sempre con il proprio medico.

C’è poi da tenere presente che a oggi la ricerca non ha ancora chiarito se ci sia un nesso, statistico e causale, tra il consumo di alcol e recidive dei tumori in persone che abbiano già affrontato la malattia. Di certo, però, l’alcol, aumentando le probabilità di insorgenza di alcuni tumori, rende più probabile la comparsa di un ulteriore tumore in chi ne ha già avuto uno.

 

ALCOL E GASTRITE

 

L’alcol etilico è una macro molecola NON nutrizionale che fornisce 7 kcal per grammo; esso è contenuto nelle bevande alcoliche ottenute per fermentazione (vino, birra ecc.) o distillazione (grappa, whisky ecc.) grazie alla degradazione dei carboidrati (sia semplici che complessi) ad opera di alcuni microrganismi o lieviti, detti saccaromiceti.

 

L’alcol è un nervino e pertanto agisce in maniera tossica a livello di TUTTI i tessuti del corpo, tuttavia, alcuni distretti risultano più vulnerabili rispetto ad altri. Le cellule della mucosa digerente sono le prime a risentire dell’introduzione di alcol; infatti, l’assorbimento dell’etanolo avviene per diffusione semplice nell’epitelio della bocca, nella mucosa gastrica e nell’intestino tenue.

 

Una volta assorbito, l’alcol etilico entra in circolo e raggiunge tutte le periferie, nelle quali manifesta in maniera più o meno evidente la sua funzione tossica; l’effetto più facilmente identificabile è quello sul sistema nervoso centrale (SNC): sensazione di calore, disinibizione, alterazione della coordinazione ed allungamento dei tempi di reazione agli stimoli. Tuttavia, seppur asintomatiche, parallelamente avvengono citolisi (danneggiamento delle cellule)in tutte le forme istologiche del corpo: cellule del rene, cellule del pancreas, cellule del fegato, ecc. L’alcol etilico provoca anche una reazione ormonale molto simile all’introito di un forte carico glicemico con impennata dell’insulina, determinando un incremento del deposito adiposo fortificato dalla sua conversione in acidi grassi in quanto, NON essendo un nutriente, la sua ossidazione energetica NON è mai di tipo diretto.

 

Lo smaltimento dell’etanolo avviene soprattutto nel fegato grazie a processi enzimatici specifici; tuttavia, in seguito ad intossicazione etilica anche gli epatociti subiscono lesioni citolitiche identificabili con la rilevazione sanguigna delle trans-aminasi.

L’uso frequente di alcol etilico rappresenta un grosso fattore di rischio per l’abuso cronico, il quale può determinare l’insorgenza della sindrome psichiatrica da etilismo.

 

Alcol e gastrite

A livello gastrico, l’alcol etilico svolge una funzione marcatamente deleteria; esso può dar origine a complicanze sia acute che croniche, la cui manifestazione dipende soprattutto dal livello di predisposizione individuale e dalla presenza di altri comportamenti inadeguati (cattiva alimentazione, tabagismo, nervosismo ecc.). Le manifestazioni cliniche più frequenti sono:

 

– Gastrite acuta

– Gastrite cronica superficiale

– Gastrite cronica atrofica

L’eziopatogenesi della gastrite – acuta o cronica che sia – dipende da:

 

– Ridotta sintesi di muco

– Alterazione del flusso ematico sottomucoso

– Alterazione della permeabilità cellulare

Blocco della sintesi di Adenosina Monofosfato ciclico (AMPciclico – messaggero coinvolto nella trasduzione del segnale)

Alterazione del potenziale di membrana cellulare

 

Le complicanze più frequenti della gastrite da abuso etilico sono acute e croniche; tra quelle acute è possibile riscontrare emorragie gastriche identificabili con l’insorgenza di vomito ematico, mentre nel lungo termine, la presenza di patologie della mucosa può cronicizzare facilitando l’insorgenza di carcinoma gastrico.

 

Gastrite acuta emorragica

Questo genere di manifestazione patologica è imputabile fondamentalmente (20-40% dei casi) a due cause eziologiche: l’abuso di alcol e l’utilizzo di farmaci gastrolesivi (antinfiammatori FANS); mentre è più raro che sia causata dall’ingestione di agenti corrosivi. I meccanismi patogenetici legati all’insorgenza di gastrite acuta emorragica sono legati all’azione epitelio lesiva diretta dell’alcol sulla mucosa, all’iper-secrezione gastrica riflessa ed alla congestione vasale sottomucosa.

La gastrite acuta emorragica si manifesta con lesioni della mucosa gastrica (che talvolta raggiungono la perforazione del tubo digerente) associate ad erosioni, ulcere e stravasi emorragici, quindi a sanguinamento sia occulto che abbondante; tali alterazioni organiche sono legate a sintomi come dolori epigastrici, bruciori postprandiali, nausea e vomito ematico. Talvolta si possono evidenziare manifestazioni sistemiche quali febbre, tachicardia, pallore e sudorazione. Le forme più gravi di gastrite acuta ulcerosa evolvono in alterazioni elettrolitiche (indotte dal vomito) e in shock e/o collasso cardio-circolatorio; in genere la prognosi è benigna e di breve durata (circa 2-7 giorni), ma nelle forme più gravi non si escludono complicazioni di gravissima entità.

 

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