I blog di Alessioempoli

Data 15 dicembre 2019

GRAMMATICA ITALIANA – 1

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Le lettere dell’alfabeto

 

L’ALFABETO

L’ideazione dell’alfabeto è stata la più grande invenzione della storia: non più un segno per ogni parola, ma un segno per ogni suono. Da allora, scrivere e leggere fu molto più facile di prima.

Forse furono i Sumeri i primi ad adoperare i segni per indicare nomi e numeri, ma furono i Fenici (1700-1400 a.C.) a semplificare i complicati sistemi delle prime scritture e a scegliere un solo segno per un solo suono.

Nacquero così quei 22 segni che diedero vita all’alfabeto, il codice migliore per comunicare.

Dai 22 segni dell’alfabeto fenicio ebbe origine quello greco, dal greco l’etrusco, dall’etrusco il latino, dal latino l’italiano.

La parola alfabeto vuol dire semplicemente a b, le prime due lettere, che in greco si chiamano alfa e beta. Del resto, anche in italiano diciamo «imparare l’abbicci» (cioè a, b, c) per significare «apprendere l’alfabeto».

Le seguenti 26 lettere sono i segni dell’alfabeto usati in Italia. Di essi 21 sono italiani: 5 vocali e 16 consonanti.

Tali segni sono disposti in un ordine convenzionale fisso, che viene seguito in ogni elenco alfabetico. L’ordine è il seguente:

1-

 

Quando si usa la maiuscola

Esempi

Dio mio! chi l’avrebbe detto? chi l’avrebbe immaginato?

– Il mio amico aveva detto : “Ascoltami, moglie.”

–  Marco, Giovanni, Maria; Alighieri, Garibaldi, Marconi ecc.

– l’ Italia, la Francia, la Russia; l’Abruzzo, la Liguria, il Lazio; Capri, Malta,ecc.

–  Roma, Parigi, Londra; il Tirreno, l’Adriatico, il Mediterraneo; il Gran Sasso, il Cervino, le Dolomiti; il Po, il Tevere, l’Arno; il lago di Garda, il lago Maggiore, il lago di Como

– il Natale, la Pasqua, il Risorgimento, la Resistenza

– Sirio, Venere, Orsa Maggiore, Via Lattea

–  la Terra gira intorno al Sole, eclissi di Luna,

– una festa al chiaro di luna, stare al sole, sentirsi mancare la terra sotto i piedi

– il Senato, la Camera dei deputati, lo Stato, la Chiesa, la Croce Rossa, la Banca d’Italia

–  la Divina Commedia, i Canti; la Repubblica, il Corriere della Sera; la Gioconda di Leonardo, il Gallo morente, la Primavera del Botticelli; l’Aida di Verdi, la Lucia di Donizetti, la Tosca di Puccini.

– via Mazzini, via Pascoli, piazza Roma, piazza Cavour

– Ariete, Bilancia, Vergine, ecc.

– Dio, il Signore, il Creatore, la Vergine, l’Assunta, l’Addolorata

– la casa editrice Mondadori, la Fanta, la pasta Barilla, l’anisetta Meletti

–  O.N.U., F.I.A.T., M.E.C., che si possono pure scrivere ONU, FIAT, MEC ed anche – più modernamente – Onu, Fiat, Mec

– Villa Borghese, il Pincio, Villa d’Este, il giardino di Boboli

 

LE VOCALI

Sono cinque: a, e, i, o, u e corrispondono ai suoni formati con la più semplice emissione della voce. Di queste, la vocale a ha sempre suono largo o aperto; i e u hanno sempre suono stretto o chiuso. Le altre due vocali, e ed o hanno un duplice suono: largo e stretto. In alcuni vocabolari il suono stretto viene segnato con l’accento acuto e quello largo con l’accento grave:

 

Solitamente la e ha suono largo nei seguenti casi:

2-

La e ha suono stretto:

3-

 

La o ha suono largo:

4-

La o ha suono stretto:

5-

Pronunciare esattamente la e e la o, larghe o strette a seconda dei casi, è importante perché nella lingua italiana alcuni vocaboli, composti dalle stesse lettere e detti omonimi, cambiano significato in base al suono largo o stretto di queste vocali.

6-

– chi non pronuncia esattamente il suono stretto o largo,non è un italiano,ma una CAPRA.

 

Dittonghi e Trittonghi

– L’incontro di due vocali che vengono pronunciate con una sola emissione di voce, ossia contando per una sola sillaba, si chiama dittongo.

I dittonghi possibili sono:

7-

– L’unione di due vocali deboli con una vocale forte nella stessa sillaba (che si esprime con una sola emissione di voce) forma un trittongo: ad esempio, miei, tuoi, guai, aiuole. Oggi si preferisce accorciare il trittongo iuo nel dittongo io: ad esempio, figliòlo invece di figliuòlo; fagiòlo invece di fagiuòlo.

 

CONSONANTI

Le consonanti si distinguono in:

Le doppie

–  babbo, reddito, pallido, correre; accludere, agglomerato, rabbrividire, spettro, dottrina;

– Il rafforzamento di q è cq: acqua, acquisto. Unica eccezione soqquadro.

–  sacchi, acciaio, occhiali, cuccia

– agghiacciare, raggiro

– Le consonanti g, z non si raddoppiano mai davanti alla terminazione -ione (stagione, azione)

– accanto, davvero, frapporre, raccogliere, sommesso, sussulto, sopraggiungere, sovrapporre, contraffare

–  ebbene (e bene), oppure (o pure), suvvia (su via), diciannove, fabbisogno, fallo (fa lo)

 

Diamo  di seguito un elenco di parole che acquistano significato diverso, secondo che hanno consonante semplice o doppia:

8-

SILLABE

La sillaba è la minima unità fonetica che possa essere articolata e percepita acusticamente, in cui ogni parola può essere divisa.

Una sillaba può essere formata da una vocale (a-mo-re), da un dittongo (uo-mo) o trittongo (a-iuo-la); oppure da vocale, dittongo, trittongo seguiti o preceduti da una consonante (sa-pe-re, pie-de, fi-gliuo-lo).

A seconda del numero delle sillabe che la compongono, una parola può essere:

9-

La divisione in sillabe ha assunto una particolare importanza per la divisione della parola nella scrittura e nella stampa in fine di rigo.

Alcuni esempi

– ma-re, fe-de-le, di-so-no-re-vo-le

– a-cre, so-pra, sem-pli-ce, ne-gli-gen-te, tim-bro

– al-be-ro, sem-pli-ce, pen-sie-ro, tor-ta

–  pi-sta, fe-sta, na-stro, e-sclu-so, tra-spor-to

– tet-to, bal-la-re, bi-stec-ca, car-ro, sof-fit-to, ac-qua, ac-qui-sto, an-nac-qua-re

–  so-gna-re, pa-sce-re, mo-glie, fa-scia-re, lo-zio-ne, fri-zio-ne, scien-za, sco-no-sciu-to, co-sciot-to

– ma-e-stro, a-e-re-o, vio-li-no, ri-e-sa-me, e-te-re-o

– que-st’al-be-ro, l’an-no scor-so, quel-l’uo-mo, tut-t’al-tro

 

ACCENTO

Ogni parola ha una sillaba che è pronunciata con maggiore intensità di voce rispetto alle altre. Questo modo particolare di pronunciare tale sillaba si chiama accento tonico o più semplicemente accento.

La sillaba su cui cade l’accento si chiama sillaba tonica, mentre le altre si chiamano sillabe atone.

 

In base all’accento le parole si dividono in:

10-

L’accento è di tre specie:

 

1) accento grave, si usa per i suoni aperti, e cioè sulle vocali a, e, o aperte: ad esempio, pietà, canapè, falò.

2) accento acuto, si usa per i suoni chiusi, e cioè sulle vocali i, u, e, o chiusi: morí, Corfú, saldaménte, tócco.

3) accento circonflesso, che si usa assai raramente, per indicare una sillaba contratta (tôrre per togliere; côrre per cogliere), oppure su certe i finali per indicare che una i è caduta: studî, ozî, spazî

 

–  qui, qua non si accentano mai

– su alcuni polisillabi omografi (cioè di eguale scrittura) che cambiano di significato col cambiare della sillaba tonica: ad esempio, àncora, ancóra; capitàno, càpitano; bàlia, balìa, ecc.;

– nella voce dànno  del verbo dare, per distinguerlo dal sostantivo danno

 

IL TRONCAMENTO

Il troncamento (chiamato anche apocope) consiste nella eliminazione di una vocale  o di una sillaba  finale di una parola dinanzi ad altra parola che cominci per vocale o per consonante.

Esempi

–  bel bambino, buon mattino, signor presidente

– ora (or ora), suora (suor Anna)

Il troncamento è obbligatorio nei seguenti casi:

un uomo, alcun pensiero, nessun dubbio, ciascun anno

–  un buon amico, un buon cavallo;

bel giovane, quel signore

qual governo, qual potere, tal attesa, tal cosa;

gran fardello, gran sorpresa, gran cose, gran discutere

grand‘affare, grand‘usuraio, grand‘onore o – meglio grande affare, grande usuraio, grande onore

san Carlo, san Giovanni (ma santo Stefano, ad esempio, è la forma da utilizzare);

fra Cristoforo

suor Angela, suor Teresa

volger lo sguardo, cambiar parere, parlar chiaro, non dir sciocchezze,

buon gusto (buongusto), belvedere, bel canto (belcanto), buon costume (buoncostume)

–  mal di denti, dolor di schiena, Mar Caspio, Mar Tirreno, l’imposizion delle mani, l’onor delle armi, l’ingegner Guidotti.

 

ELISIONE

L’ elisione (da elidere «eliminare») è la soppressione della vocale finale di una parola dinanzi alla vocale iniziale di un’altra: tale caduta è indicata dal segno dell’apostrofo: brav’uomo, quell‘albero.

tutt‘altro, quell‘uomo

le età e non l’età che si potrebbe confondere con il singolare

–  si può dire: pieno di entusiasmo o pieno d’entusiasmo, una ipotesi o un’ipotesi, ecc.

l’ostaggio, l‘aquila, un’anfora

dell’ovile, all’aria, nell’isola, dall’Africa, sull’insalata)

– Attenzione: l’articolo e pronome le non si elide mai, perciò si scriverà le oche, le industrie, le epoche, le incontrai

– ma non gl’atleti, gl’ultimi, ecc., bensì gli atleti, gli ultimi, ecc.

un’oca, quest’uomo, quell’arma, bell’asino, grand’olmo, buon’anima, sant’Orsola;

 m’accompagna, t’aspetto, s’allontana, v’esalta, m’ama, l’intende (ma si scrive anche: mi accompagna, ti aspetto, si allontana, ecc.);

d’aria, d’estro, d’orzo (ma si scrive anche: di aria, di estro, di orzo);

 c’esprime, c’indicò (sebbene vada precisato che in questi casi è preferibile non elidere ci);

gl’indicai, gl’inglesi (ma anche: gli indicai, gli inglesi)

–  d’altronde, d’altra parte, d’ora in poi

–  quest’ombrello, cotest’albero, quell’imbroglione;

perch’io, bench’io.

– si può scrivere l’eliche come pure le eliche, ma non l’ingenuità che si confonderebbe con il plurale le ingenuità.

 

I SEGNI DI PUNTEGGIATURA

 

La virgola

Fra i segni d’interpunzione, la virgola (,) è quello che indica la più breve pausa nel discorso.

Esempi

– In quella stanza vidi te, tuo padre, tua madre, tuo fratello; Cammina, cammina, cammina, arrivammo a un paesetto; Il panorama era bello, suggestivo, nuovo.

–  Il panorama era bello, suggestivo e nuovo

–  E corre, e si precipita, e vola; oppure O Roma, o morte

– Né l’oro né gli onori possono piegarmi; Verrò domani o dopodomani o lunedì

– di solito, la sera leggo o guardo la televisione

–  Per me, può far quel che vuole; Di soldi, ne ho speso abbastanza; Disse tutto, con acconce parole, ai suoi genitori.

–  Per me, può far quel che vuole; Di soldi, ne ho speso abbastanza; Disse tutto, con acconce parole, ai suoi genitori.

– Sì, ho una buona speranza; No, non posso venire; Bene, ce la vedremo; Laura ha l’influenza. Infatti, non uscirà.

– Mi piace la musica moderna, ma preferisco quella classica.

– Il mio amico, sebbene fosse stato ferito, non mi abbandonò mai

– Io uscivo, mentre egli arrivava

– Ti credo, giacché lo dici con tanta passione

– Poveri ma belli; Parla, ma prima rifletti; Non fiori ma opere di bene; Concluderemo l’accordo anche nel caso in cui sia poco conveniente ma ci garantisca un ritorno di immagine; Era un uomo stupido, ma onesto; Mi pregò più volte; ma come avrei potuto accontentarlo?.

–  La casa è confortevole sia d’inverno sia d’estate

–  Non sa né leggere né scrivere

– Ho portato il bambino in riva al mare, sia per farlo giocare con la sabbia sia per fargli respirare un po’ d’aria pura

–  Una sincera espressione di affetto non la trovò, né nella dolcezza sempre immutabile con cui m’accoglieva ogni volta, né nella sua cura materna con cui mi proteggeva dagli spifferi d’aria

–  Roma, 31 agosto 2011

– Che dice, Luigi? (senza la virgola Luigi sarebbe soggetto invece che vocativo, in una frase dove si dà del lei a Luigi)

– Ho consigliato a Paolo di studiare, come dicevi tu, che equivale a “ho consigliato a Paolo di studiare, come tu mi dicevi di consigliarlo”. Senza la virgola, come vorrebbe dire “nel modo in cui” e l’intero enunciato significherebbe: “Paolo ha studiato nel modo in cui tu dicevi che avrebbe dovuto studiare”

–   Nella vecchia autorimessa c’erano carcasse di copertoni, stracci di tessuto, lamiere contorte, e pezzi di vetro dappertutto (in questo caso, la virgola chiarisce che “dappertutto” erano solo i pezzi di vetro)

– Ascoltava il radiocronista che trasmetteva la partita di calcio, e annotava le reti segnate dai calciatori (se si fosse omessa la virgola, il soggetto sottinteso “egli” si sarebbe limitato ad ascoltare e non avrebbe compiuto l’azione di annotare le reti, che sarebbe stata attribuita al radiocronista)

– Disse molte parole, espose le sue idee, criticò i nostri progetti, se ne andò; Fabio si alzò, aprì la finestra, si stropicciò gli occhi, guardò fuori con stupore: i tetti erano ricoperti di neve

– Ho visto, mentre partivo, che arrivava tua madre, ma non le ho detto niente, perché era tardi

– Le fortezze furono smantellate; le città, distrutte; le campagne, devastate (in questo caso, si omette di ripetere il verbo furono

– Sei di questi libri sono miei, tre [di questi libri sono] di Laura, due [di questi libri sono] di Carlo

– Il treno di Francesco, che arriva a mezzogiorno (in questo caso, ad arrivare a mezzogiorno è il treno e non Francesco)

– Il treno che arriva a mezzogiorno da Roma (si omette la virgola perché la relativa “che” si riferisce alla parola immediatamente precedente e cioè al treno)

– Gli amici che ti amano ti aiutano (la proposizione relativa “che ti amano” ha valore specificativo, poiché determina quali amici ti aiutano e cioè quelli che ti amano)

– Gli amici, che ti amano, ti aiutano (la proposizione relativa “che ti amano” qui ha un valore incidentale, poiché indica un attributo del soggetto “gli amici”)

–  Lo seppi molto tardi che tu avevi dato le dimissioni;  /  Che tu avevi dato le dimissioni, io lo seppi molto tardi (in questo caso è usata la virgola perché viene invertito l’ordine naturale della frase)

– Era chiaro che aspettavano me;  /  Era chiaro, lo sapevano tutti, che aspettavano me (nella frase viene incluso un inciso, posto tra due virgole)

–  I filosofi discutono la questione se il mondo sia stato creato o no

– Nessuno sapeva dove si fosse cacciato

– Carlo non riusciva a trovare la soluzione del problema

 

Punto e virgola

Il punto e virgola (;) è uno dei segni di interpunzione che va scomparendo nell’uso comune. Purtroppo, l’idea di una punteggiatura affidata all’orecchio o al gusto, che dovrebbe ricalcare le pause fatte nel discorso, ha reso il ricorso ad esso problematico, poiché il punto e virgola si colloca tra la pausa breve della virgola e quella più lunga indicata dal punto (fermo). Se, invece, la punteggiatura venisse considerata nella sua funzione principale, che è quella logico-sintattica, ci si accorgerebbe che il punto e virgola assolve ad una funzione ben precisa, molto utile a rendere più chiaro e fruibile il testo scritto. In sostanza, esso va usato quando al lettore viene richiesto di compiere un piccolo salto logico, passando – ad esempio – ad un soggetto diverso, oppure quando, all’interno dello stesso concetto, se ne descrive una variante; oppure, ancora, quando si vuole evitare la proliferazione di virgole all’interno di una stessa frase.

 

Esempio del primo caso: “Giovanni mangiò una pizza che non gli piacque; Francesco ne ordinò una ai quattro formaggi”.

Esempio del secondo caso: “Mi sono chiesto tante volte chi fosse; ho anche pensato che si trattasse di una persona dalla doppia vita”.

Esempio del terzo caso: “La mia casa è molto bella, piena di comodità e con una vista stupenda; inoltre, l’ho anche pagata poco, se si considerano i prezzi di mercato”.

In sintesi, si potrebbe dire che il punto e virgola indica una pausa un po’ più lunga della virgola, che si fa dentro al periodo (?), per separare tra loro i termini di un’enumerazione, ciascuno dei quali piuttosto lungo e complesso; oppure, vi si può fare ricorso anche per segnalare che c’è una differenza tra due ordini di circostanze, o addirittura un’opposizione, ma non così marcata da escludere una certa relazione tra loro.

 

Esempio: “Senza aspettar risposta, fra Cristoforo andò verso la sacrestia; i viaggiatori usciron di chiesa; e fra Fazio chiuse la porta, dando loro un addio, con la voce alterata anche lui” (A. Manzoni).

11-

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I due punti

Altro segno della punteggiatura che gode sempre meno di popolarità è quello dei due punti, sebbene esso sia particolarmente utile a sintetizzare un discorso ed a sottolineare una spiegazione o una elencazione (di solito, viene usato in quest’ultimo caso). Un esempio di sintesi del discorso: Non risposi alla sua domanda: era stupida”; senza i due punti, sarebbe stato necessario aggiungere la congiunzioneperché” (o “poiché”).

Ecco un esempio con cui si sottolinea una spiegazione, accresecendone l’effetto drammatico: Aveva gli occhi scavati e rossi: nella notte, un suo amico era stato travolto da un’auto. Esempio di elencazione: “In una persona sono queste le doti che mi piacciono: sincerità, lealtà, generosità”.

Quindi, la funzione dei due punti è soprattutto esplicativa e chiarificativa di una affermazione; farvi ricorso consente di conferire espressività al testo, rendendolo più denso e intelligibile per il lettore. L’unico rischio, più frequente di quanto si immagini, è quello di abusarne, ottenendo il risultato di rendere più complicata la frase.

Per riassumere, i due punti (:) servono per introdurre un discorso diretto, una citazione testuale, una enumerazione, una frase che serve da chiarimento o da amplificazione di quanto precede: ad esempio, “L’animo dell’astuto è come la serpe: liscia, lucente, lubrica e fredda (N. Tommaseo).

I due punti si usano nei sottostanti casi:

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E’ un errore usare i due punti nei seguenti casi:

15-

Il punto

Nella prosa recente, soprattutto giornalistica, ma anche letteraria, si può constatare una proliferazione dell’uso del punto, una volta chiamato “punto fermo“. Quasi sempre si tratta di un utilizzo che mira ad enfatizzare un concetto, in modo da rendere la scrittura più espressiva, più diretta ed incisiva. In alcuni casi, inoltre, il punto consente di semplificare le frasi molto articolate, magari inserendolo dopo una congiunzione avversativa come “ma”. In altre circostanze, però, il suo abuso sembra evidenziare una sorta di scappatoia, un modo per trarsi d’impaccio quando non si sa bene che segno di interpunzione adottare. Quando l’uso del punto non risulta pienamente giustificato, oltre a palesare una scarsa padronanza della lingua, si corre il rischio di rendere la prosa sincopata, di conferirle un ritmo ansiogeno, eccessivamente serrato. Di conseguenza, è bene orientarsi ad un utilizzo appropriato, tenendo ben presente la funzione del punto, che è quella di separare concetti logicamente ben distinti.

 

Ecco alcuni esempi di prosa. Uso eccessivo, nel caso in cui la finalità non sia di natura espressiva: “Mangiai tutte le frittelle. Ma non avevo fame. Perché avevo cenato poco prima. Forse ero soltanto nervoso.”

La stessa frase risulta più scorrevole se scritta così: Mangiai tutte le frittelle, ma non avevo fame perché avevo cenato poco prima; forse ero soltanto nervoso” (in questo caso si potrebbe fare ricorso, in alternativa, al punto . Forse ero soltanto nervoso”). Poiché non si tratta di un periodo (?) molto lungo o articolato, la narrazione appare più scorrevole evitando il punto; inoltre, l’uso delle virgole e del punto e virgola segnalano al lettore che le frasi fanno parte di una singola unità logica.

 

Il punto (.) segna la pausa più lunga del discorso e si mette alla fine d’un periodo per significare che quanto è stato detto ha un senso compiuto. Esempio: È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie novelle. (L. Pirandello).

Il punto può essere posto nei seguenti casi:

16-

Ecco invece esempi di periodi  brevi continuamente interrotti dal punto fermo: “La musica è la fusione delle altre arti. Essa costruisce, scolpisce e dipinge tutte le fantasie della nostra realtà quotidiana. Del resto tutte le arti tendono alla musicalità. L’architettura è armonia di linee. La scultura è armonia di forme. La pittura è armonia di colori”.

Si possono distinguere il punto di seguito e il punto a capo.

 Dopo il primo, si continua a scrivere sulla stessa riga, implicando il fatto che si continuerà a trattare lo stesso argomento;

dopo il secondo, si va a capo, implicando che la trattazione passerà ad un argomento o ad un sottoargomento diverso. Se si volesse distinguere maggiormente il nuovo periodo, si dovrebbe andare a capo, lasciando un maggiore spazio prima della parola, nell’allineamente normale.

 

Il punto nelle abbreviazioni e nelle sigle

Nell’uso comune si ricorre spesso alle abbreviazioni ed alle sigle. Le abbreviazioni sono parole abbreviate (dott. = dottore); le sigle sono invece le iniziali di parole che formano il titolo di un ente, di un partito, di una associazione (CRI = Croce Rossa Italiana) o simili.

–  (dott., prof., avv., ing., geom., rag., cav., comm.), ed in svariate espressioni convenzionali: op.cit. (opera citata); ecc. (eccetera).

– p. (pagina); v. (verso)

 jr (junior), sr (senior), dr (dal latino doctor, ‘dottore’), cfr (dal latino confer, “confronta”), ecc.

Nelle abbreviazioni per contrazione non bisogna mettere il punto. Il punto si mette soltanto quando indica la mancanza di lettere finali e non quelle centrali.

–  ill.mo (illustrissimo); chiar.mo (chiarissimo); f.lli (fratelli)

–   prof. (professore), prof.ssa (professoressa);

–   sig. (signore), sig.ra (signora), sig.na (signorina)

–  pag./pagg. (pagina/-e); art./artt. (articolo/-i); cap./capp. (capitolo/-i); vol./voll. (volume/-i); prof./proff. (professore/-i)

p./pp. (pagina/-e); v./vv. (verso-i)

–  avv./avv.ti/avv.sse (avvocato-i/avvocatesse); dott./dott.ri/dott.sse (dottore-i/dottoresse)

– Il punto si pone anche tra le lettere di una sigla (O.N.U., O.E.C.E., C.G.I.L., N.A.T.O.), quando ciascuna lettera corrisponde all’iniziale di altrettante parole scritte per esteso; invece, quando tale stretta corrispondenza non esiste, le lettere si succedono senza interpunzione.

– Esistono casi che non rispettano questa regola: alcune sigle, infatti, sono diventate così comuni da contenere anche lettere minuscole; ad esempio, C.d.A. (Corte d’Appello, Corte d’Assise), G.d.F. (Guardia di Finanza), S.p.A. (Società per Azioni), S.r.l. (Società a responsabilità limitata). Altre sigle hanno finito per assumere il carattere di parole vere e proprie: ad esempio, Agip (Azienda generale italiana petroli), Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino), Rai (Radio audizioni italiane). Alcune sigle si possono scrivere anche senza il punto: ad esempio, ITIS (Istituto Tecnico Industriale Statale), IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), UCI (Unione Ciclistica Internazionale).

 

Il punto interrogativo

Il punto interrogativo  – o punto di domanda – esprime interrogazione, domanda, e serve per avvertire il lettore che deve dare alla frase una particolare inclinazione interrogativa nella pronuncia. L’interrogazione, però, deve essere diretta; altrimenti, non si deve aggiungere il punto interrogativo: ad esempio, Che ore sono?; Dimmi che ore sono; Dimmi: Che ore sono?. Il primo esempio indica un’interrogazione diretta, il secondo un’interrogazione indiretta , il terzo un’interrogazione diretta, sia pure retta da un verbo asseverativo .

– Se il punto interrogativo chiude un periodo o una frase di senso compiuto, la parola seguente si scrive con la maiuscola; se invece si succedono più interrogazioni, ogni punto interrogativo potrà essere seguito da lettera minuscola. Esempio: Dove sei stato? Ti ho cercato tutto il giorno; «Che cos’hai? hai freddo?» .

– Talvolta una frase conclusa da punto interrogativo ha, in realtà, valore esclamativo: Per questa ragione alcuni preferiscono, in casi simili, affiancare un punto esclamativo ad uno interrogativo: ?! o !? (ma sei matto?!).

 

Il punto esclamativo

Il punto esclamativo – o ammirativo(!) indica stupore, meraviglia, dolore; in generale, uno stato d’animo eccitato. Si pone alla fine della frase o della parola-frase, in sostituzione del punto per chiudere il periodo (in tal caso, la parola seguente avrà la lettera maiuscola). Esempio: Che bello spettacolo! Sono proprio contento.

Il punto esclamativo si pone anche nel mezzo della frase creando una pausa qualitativa (in tal caso, la parola seguente può essere scritta con lettera minuscola). Esempio: Il lupo, oh angoscia!, si avvicinò a noi; Alla fine, quale orrore!, li vidi precipitare tutti.

La minuscola si può usare quando il periodo continua. Esempio: Ma guarda un po’! chi l’avrebbe creduto? chi l’avrebbe immaginato?

 

Il punto esclamativo si usa nei seguenti casi

17-

Oh! che pena mi hai fatto!, a volte si pone una sola volta : Oh, che pena mi hai fatto!

– E’ sconsigliabile usare due o più punti esclamativi di seguito: non si dovrebbe scrivere Che bella sorpresa!!!, ma, piuttosto, Che bella sorpresa!

 

I puntini di sospensione

I puntini o punti di sospensione, detti anche di reticenza, sono costituiti da tre puntini (…; talvolta, anche in numero superiore a tre, come si può leggere nei testi di alcuni scrittori) e servono ad esprimere:

18-

– Inoltre, i puntini si pongono alla fine di una serie, per indicare che la stessa serie continua: Vedemmo cavalli, asini, buoi…; Primo, secondo, terzo…; 1, 2, 3, 4, 5, 6…

– Talvolta essi indicano che una parola o un numero o parte di una parola sono stati omessi o debbono essere scritti per completare la frase o la parola o la dicitura: Abitante in via… n. …; Il signore A… B… ci scrive da Torino; Della firma si legge solo Ros…; Questa è una casa… (mettere l’aggettivo).

– Dopo i puntini si usa la lettera maiuscola solo se essi indicano la fine di un periodo ; altrimenti, si può proseguire con la minuscola.

 

Le virgolette

Le virgolette basse (« ») o alte (” “) servono nei seguenti casi:

19-

– Nel dialogo, le virgolette sono talvolta sostituite dalla lineetta (– Andiamo! – esclamò); spesso, anche in presenza di virgolette, si ricorre alla lineetta se nel dialogo si inseriscono i commenti dell’autore «Forse – pensò – dovrei ritirarmi»

 

– Talvolta il corsivo sostituisce le virgolette, soprattutto nelle citazioni brevi, nei proverbi, nelle frasi fatte e nei titoli (La coscienza di Zeno o, più raramente, «La coscienza di Zeno»). Quest’ultimo uso andrebbe comunque evitato, mentre è largamente accettato l’impiego delle virgolette per indicare il titolo di pubblicazioni periodiche : «L’Espresso»

– Negli elenchi, ripetizioni, ecc. le virgolette basse (») sostituiscono la parola idem e sono poste sotto alla parola che non si vuol trascrivere.

 

Esempio:

 

Eugenio abita a Roma

Laura » » »

Giulio abitava a »

 

– è errato scrivere Qual è il significato di “dogma?”; mentre è corretta la forma Qual è il significato di “dogma”?

– Nel discorso diretto, invece, i segni d’interpunzione dovrebbero sempre precedere e non seguire le virgolette o lineette, come si rileva dalla prosa manzoniana: ad esempio, «Sì,» disse Lucia: « ma come…? » (Manzoni).

– In alcuni casi, le virgolette alte si usano anche semplificate (‘ ‘), specialmente nei casi di parola virgolettata all’interno di un testo già virgolettato (e disse: “io cerco il ‘cuore’ della questione”), oppure per segnalare l’accezione particolare di una parola (il ballerino ‘ parlava ‘ con le gambe mentre danzava).

– Le virgolette semplici racchiudono in genere il significato di una parola o la sua traduzione, mentre in corsivo – o, raramente, tra virgolette – si scrive di solito la parola da sottolineare, da definire o da tradurre: « onichìa » vuol dire ‘malattia delle unghie’.

 

La lineetta

La lineetta (–) sostituisce spesso le virgolette, specialmente nei dialoghi, dove segna il distacco fra le varie battute.

20-

Il trattino

Il trattino o tratto d’unione (-), che è più breve della lineetta, serve nei seguenti casi.

21-

E’ un errore usare il trattino tra due parole che formano un vero e proprio composto:

 

non si deve scrivere “cassa-forte, gatta-morta, pesce-spada”, ma si deve scrivere “cassaforte, gattamorta, pescespada”.

 

E’ sbagliato usare il trattino dopo ex o extra all’interno di locuzioni latine entrate nell’uso comune e di alcuni composti:

 

non si scrive ex-abrupto, ex-aequo, ex-cathedra, ex-lege, ex-novo, ex-voto, extra-moenia“, ma si scrive ex abrupto, ex aequo, ex cathedra, ex lege, ex novo, ex voto, extra moenia”;

 

non si scrive “ex-ministro, ex-giocatore“, ma si scrive “ex ministro, ex giocatore“.

 

L’asterisco

L’asterisco (*), quasi sempre ripetuto tre volte (***), può servire sei seguenti casi.

22-

Le parentesi tonde

Le parentesi tonde ( ) si usano nei seguenti casi.

23-

Le parentesi quadre

Le parentesi quadre [ ] si usano nei seguenti casi.

24-

La sbarretta

La sbarretta o barretta ( / ) è usata nei seguenti casi.

25-

La sbarretta viene usata spesso anche per separare i numeri di una data: (15/09/2011).

Una replica a “GRAMMATICA ITALIANA – 1”

  1. Olegar scrive:

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