I blog di Alessioempoli

Data 24 gennaio 2016

DONNA – 6°

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GRAVIDANZA – (3°)

 

 

ARGOMENTI TRATTATI

– Inversione sessuale

– Pseudoermafroditismo

– Sindrome di Morris

– Sindrome di Rokitanski

– Cefalotripsia

– Inversione d’utero

– Linea nigra

– Gravidanza bicoriale

– Ovulazione

– Gravidanza protratta

– Lithopedion

– Villocentesi

– Colestasi gravidica

– Ossitocina

– Diagnostica prenatale

– Fecondazione

– Fecondazione artificiale

– Procreazione assistita

– Procreazione assistita (Diritto italiano)

– Inseminazione artificiale

– FIVET (Fecondazione in vitro)

– Surrogazione di maternità

– ICSI

– Fisiopatologia della riproduzione

– Aborto

– Poliabortività

– Sterilità

 

 

 

 

Inversione sessuale

 

 

In biologia

 

In biologia l’inversione sessuale è il fenomeno per cui un individuo di un dato sesso, ad un certo momento della sua vita, si trasforma acquistando i caratteri e le capacità funzionali proprie dell’altro sesso.

Tale condizione si riscontra in molte specie di pesci e in alcuni anfibi, i quali conducono una parte dell’esistenza da maschi ed un’altra da femmine, in alcuni il periodo maschile e femminile può alternarsi più volte.

 

In sessuologia

 

A cavallo fra il XIX e il XX in sessuologia fu indicata per molti decenni con tale definizione, in base alla teoria del terzo sesso, la condizione degli individui, soprattutto transessuali ma anche omosessuali, che manifestavano desideri sessuali e a volte comportamenti esteriori tipici del sesso opposto a quello a cui appartenevano dal punto di vista biologico. Questa seconda accezione è quella di gran lunga più nota al di fuori del campo della biologia, e viene usata colloquialmente anche come insulto o come definizione denigratoria per l’omosessualità, derivandone il termine “invertito” quale sinonimo pseudoscientifico di “omosessuale”.

Questo uso fu proposto nel 1870 da Arrigo Tamassia come traduzione del tedesco “Konträre sexualempfindung” (reso in modo insoddisfacente fino ad allora come “sentire sessual-contrario”) ed ebbe successo in italiano, ma fu adottato anche in francese ed inglese.

 

Pseudoermafroditismo

 

Lo pseudoermafroditismo è una condizione per la quale un individuo presenta un aspetto del sesso opposto a quello cromosomico o un fenotipo sessuale ambiguo.

 

Pseudoermafroditismo maschile

 

Nei casi di pseudoermafroditismo maschile, le cause riguardano principalmente una scarsa produzione di androgeni o insufficiente risposta a questi, che possono essere determinate da vari fattori come deficit enzimatici (come quello del 5 alfa reduttasi) o una resistenza periferica all’azione degli androgeni dovuta principalmente a mutazioni recettoriali.

Gli individui pseudoermafroditi (per inibizione della sintesi o dell’azione del diidrotestosterone (DHT), possono avere pene e testicoli di dimensioni normali, ma più spesso sono nettamente più piccoli e meno sviluppati del normale, o presentano forma ambigua; in genere questi pazienti non hanno ginecomastia, ma hanno una carenza di caratteri sessuali secondari come barba, peluria corporea, profondità della voce, tuttavia di solito hanno una sessualità e una fertilità normale.

Altri casi di sindrome da insensibilità agli androgeni possono presentarsi in varie forme: in quella completa (CAIS) un individuo con un cariotipo 46, XY può svilupparsi come una femmina , ma presentando vagina a fondo cieco, assenza degli organi derivati dai dotti di Mueller, criptoorchidismo e amenorrea primaria.Nella forma parziale (PAIS) i sintomi sono simili, ma è presente una parziale mascolinizzazione e quindi genitali ambigui o prevalentemente maschili.

 

Pseudoermafroditismo femminile

 

Anche nei casi di pseudoermafroditismo femminile c’è una causa ormonale, determinata da difetti enzimatici (sindrome adreno-genitale), che può portare ad una virilizzazione più o meno significativa.

 

 

Sindrome di Morris

 

La sindrome di Morris o femminilizzazione testicolare è una sindrome determinata da un diverso percorso nella differenziazione sessuale: persone con corredo cromosomico 46,XY (a cui corrisponde un genotipo maschile) sviluppano caratteri sessuali femminili. Oggi si conosce questa condizione e si deve definirla più correttamente sindrome da insensibilità agli androgeni, in inglese androgen insensitivity syndrome (AIS).

 

Epidemiologia

 

La sindrome da insensibilità agli androgeni è inclusa nella lista delle malattie rare. Il fenomeno interessa circa un neonato su 13 mila.

 

Fisiopatologia

 

Nell’essere umano, durante il periodo embriofetale esistono gli abbozzi del futuro apparato riproduttivo sia maschile che femminile. In generale, se il cariotipo è 46,XY, la presenza del gene SRY sul cromosoma Y determinerà lo sviluppo dei caratteri sessuali maschili e darà il via alla soppressione dei caratteri primari femminili (utero, tube e ovaio). Se il cariotipo è 46,XX, l’individuo matura caratteri femminili.

Nel caso della sindrome di Morris il cariotipo 46,XY dà luogo allo sviluppo di gonadi (testicoli) ritenute nell’addome; ma la refrattarietà agli ormoni androgeni determinerà la mancata soppressione dei caratteri femminili, pertanto avremo un individuo fenotipicamente femminile, senza utero e ovaie, e con possibilità di ipoplasia vaginale (vagina con canale vaginale di dimensioni ridotte), problema che può essere risolto con la terapia dilatativa e senza interventi chirurgici.

 

Ereditarietà

 

L’insensibilità dei tessuti agli androgeni è causata da un allele recessivo (indicato con tfm) che si trova nel cromosoma X (X-linked): è pertanto la madre che trasmette tale condizione. La prole geneticamente maschile sarà per il 50% affetta, mentre le figlie geneticamente XX saranno per il 50% portatrici.

In circa un terzo dei casi la condizione è dovuta a una mutazione spontanea.

 

Segni e sintomi

 

Il quadro è molto variabile. In genere gli individui portatori di questa sindrome sono longilinei, con un bacino stretto. I peli pubici e ascellari sono diminuiti, la mammella può presentare un capezzolo più chiaro. Non esistono organi interni femminili (né utero né ovaie), ma ritenuti nell’addome sono presenti gonadi che possono essere asportate chirurgicamente. In generale nella forma completa (CAIS) il pericolo di degenerazione tumorale è talmente basso che si tende ad aspettare ad effettuare la gonadectomia o addirittura ad evitarla.

Le persone affette da questa sindrome sono dal punto di vista anatomico e legale delle donne.

Un luogo comune rispetto ai soggetti affetti da sindrome di Morris è che esista una frequenza maggiore nel mondo della moda o dello spettacolo: si tratta tuttavia di un errore statistico, lo stesso errore che si fece con la sindrome 47,XYY, un errore che si commette se il campione di studio risulta non adeguato, cioè costituito da una popolazione non omogenea.

 

Sinonimi

Femminilizzazione testicolare

Sindrome da refrattarietà agli boh androgeni

Sindrome da resistenza agli androgeni

Sindrome da insensibilità agli androgeni

Sindrome della bella donna

AIS

Sindrome di Goldberg-Maxwell

Sindrome di Goldberg-Maxwell-Morris

Sindrome di Goldberg-Morris

 

 

Sindrome di Rokitanski

 

La sindrome di Rokitansky, o agenesia mülleriana, è una rara malformazione congenita femminile causata da un alterato sviluppo dei dotti di Müller, cui consegue l’assenza (agenesia) di utero e tube e variabili malformazioni della porzione prossimale della vagina. Rappresenta la seconda causa di amenorrea primaria dopo la sindrome di Turner. È chiamata anche sindrome di Mayer-Rokitansky-Küstner-Hauser, dal nome dei suoi scopritori.

 

Epidemiologia

 

La prevalenza della malattia è stimata intorno a 1-9 su 100.000.

 

Eziologia

 

Le cause della sindrome sono sconosciute. Sono stati studiati numerosi geni al fine di identificare una causa genetica senza alcun risultato. In particolare sono stati studiati i geni della famiglia WNT, come il WNT4, le cui mutazioni sono state associate ad amenorrea primaria e ad anomalie dei dotti mulleriani; non è stato tuttavia dimostrato che tali mutazioni possano provocare la sindrome di Rokitansky. Normalmente durante l’embriogenesi umana, insieme ai vari apparati e sistemi, avviene lo sviluppo dell’apparato riproduttivo; nei pazienti affetti da questa malattia lo sviluppo inizia ma non riesce a concludersi.

 

Presentazione clinica

 

Una donna con questa sindrome ha una normale situazione ormonale e, all’inizio della pubertà, va normalmente incontro allo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, al pubarca e al telarca. Il cariotipo è normale (46,XX), le ovaie sono presenti e il ciclo ovarico è normale. La vagina è solitamente a fondo cieco e il rapporto sessuale può essere difficoltoso e doloroso. L’ecografia è diagnostica e mostra l’assenza di utero, tube e, parzialmente, della cervice uterina. Normalmente la scoperta della condizione avviene durante indagini effettuate per assenza di mestruazioni successivamente all’inizio della pubertà, ma può avvenire anche incidentalmente nel caso di esami effettuati per altri motivi.

Esistono due tipologie di agenesia mülleriana: nel primo tipo si riscontra l’assenza solo di utero e vagina; nel secondo caso sono associate malformazioni di altri organi. In particolare il 40% delle donne malate presenta anomalie renali (il 15% nasce con un solo rene), il 10% presenta difficoltà uditive e il 10-12% anomalie scheletriche.

 

Terapia

 

I trattamenti effettuati sono finalizzati a migliorare il rapporto sessuale, ma non possono permettere una gravidanza. Tuttavia, essendo il ciclo ovarico presente, è possibile per queste donne, nei paesi dove ciò è permesso, usufruire della fecondazione in vitro e della surrogazione di maternità. Il trattamento con utero artificiale è ancora in fase di studio.

Per migliorare il rapporto sessuale sono utilizzati sia dilatatori vaginali, sia la chirurgia, che presenta numerosi approcci, tra i quali:

– il metodo McIndoe: prevede l’utilizzo di cute del paziente al fine di confezionare una vagina artificiale; dopo l’intervento l’uso di dilatatori vaginali può rendersi necessario in caso di stenosi.

– il metodo Vecchietti: consiste nell’inserimento, a livello del fondo cieco della vagina, di una dispositivo di forma ovalare che viene successivamente messo in trazione dall’interno dell’addome tramite un intervento laparoscopico; l’intervento dura in tutto 45 minuti. In tal modo la vagina può crescere in dimensione di 1 cm al giorno, creando una vagina normale in circa una settimana o più.

 

Cefalotripsia

 

La cefalotripsia (da testa e tribein, stritolare) è una procedura medica, utilizzata in passato in ostetricia, che prevedeva, in caso di aborto, l’estrazione del feto dell’utero dopo frattura della base cranica.

Si utilizzava uno specifico strumento, il cefalotribo, un forcipe inventato da Jean-Louis Baudelocque nel XIX secolo, e veniva praticata solo quando l’estrazione con mezzi usuali era impedita.

Cadde in disuso e fu sostituito dal basiotribo, inventato da Etienne Stéphane Tarnier.

 

 

Inversione d’utero

 

L’ inversione d’utero è una complicanza che può insorgere durante il parto, nel suo terzo stadio, quando la donna riesce ad espellere solo una parte della placenta. In tal caso l’utero si rovescia all’interno della propria cavità. Tale patologia, tipica del secondamento, si associa ad un’insorgenza precedente di shock materno.

 

Epidemiologia

 

L’incidenza, per quanto riguarda i parti, è di 1 su 2000, contestata da altri autori.

 

Tipologia

 

Esistono tre tipi di gravità:

 

1º grado, inversione incompleta, la meno grave.

2º grado, inversione completa, dove nell’atto il fondo uterino; riesce a superare la cervice ma non la rima vulvulare;

3º grado, dove si supera anche la rima vulvulare, la più pericolosa.

 

Sintomatologia

 

I sintomi presentano dolore improvviso e violento, ipotensione, emorragia, i sintomi a seconda del grado sono più o meno forti.

 

Eziologia

 

Normalmente nell’atto del parto vi è un innalzamento improvviso della pressione per via degli sforzi della donna o per le varie manovre (manovra di Andrews, manovra di Brandtm ecc). Nella manifestazione clinica si osservano due fasi, la prima del rovesciamento interno e la seconda dove l’organismo cerca di rigettare quel corpo, divenuto ormai estraneo.

 

Fattori di rischio

 

L’inversione può manifestarsi naturalmente, essendoci dei fattori che minacciano l’evento come l’atonia del fondo placentare.

 

Terapie

 

Il trattamento è la riduzione uterina, da eseguire immediatamente perché la persona rischia la vita per via dello shock imminente. Inizialmente senza utilizzo di farmaci, se diventano necessari il solfato di magnesio porta ad una quasi totalità di successo. Nel caso la riduzione non fosse possibile bisogna, dopo anestesia generale, ricorrere alla laparotomia. Si somministra l’ossitocina per evitare il nascere di un ulteriore complicanza: l’atonia uterina.

 

 

Linea nigra

 

Con il termine linea nigra (linea nera) ci si riferisce ad una linea verticale di colore scuro che appare sull’addome in genere a partire dal secondo trimestre della gravidanza.

 

Caratteristiche

 

Larga circa un centimetro, la linea nigra si estende dal pube fino all’ombelico, ma può portarsi fino al processo xifoide. La comparsa della linea nigra si deve ad una iperpigmentazione della pelle che deriva da un aumento di produzione della melanina, secondario ai cambiamenti ormonali che occorrono durante la gestazione, ed in particolare ad un incremento degli estrogeni.

La linea nigra in realtà non è altro che una iperpigmentazione della linea alba, una struttura aponeurotica situata sulla porzione mediana dell’addome. La linea nigra è dovuta ad un aumento dell’ormone melanocito-stimolante prodotto dalla placenta. Lo stesso ormone causa anche cloasma e la tendenza dei capezzoli ad assumere una colorazione più scura. Esistono lavori che mettono in evidenza la comparsa di linea nigra anche in soggetti di sesso maschile affetti da neoplasie prostatiche benigne e maligne, sempre in conseguenza dei livelli di ormoni sessuali. In altre parole proprio i cambiamenti nei livelli degli ormoni sessuali, sia a causa di malattie che di farmaci, possono tradursi in cambiamenti nell’incidenza di una linea nigra. Vi sono evidenze che mettono in relazione la comparsa della linea nigra e di altre iperpigmentazioni cutanee con la carenza di acido folico. Per tale motivo una dieta adeguata e ricca in alimenti contenenti acido folico come verdure a foglia verde (spinaci, broccoli, asparagi lattuga ed altri), arance e limoni, cereali, legumi kiwi e fragole, può essere di giovamento.

 

Storia naturale

 

Contrariamente ad altre macchie scure che tendono a comparire sul volto nel corso della gestazione (cloasma gravidico) e tendono a permanere nel tempo, la linea nigra scompare spontaneamente nell’arco di alcune settimane, successivamente al parto.

 

Trattamento

 

La linea nigra in genere non richiede alcun trattamento.

In rari casi che tendono a persistere più lungamente nel tempo sono stati proposti alcuni trattamenti di tipo estetico con agenti sbiancanti.

Anche l’efficacia del ricorso a questo tipo di trattamento a volte può essere insoddisfacente.

 

1-98 K

 

 

Gravidanza bicoriale

 

La gravidanza bicoriale è la gravidanza gemellare, in cui i due feti si sviluppano in due sacchi gestazionali distinti. Avremo perciò anche due placente distinte. Il sacco gestazionale è formato da due membrane adese tra loro denominate amnios e corion. L’amnios è la membrana interna che si trova a contatto con il liquido amniotico e che riveste la faccia fetale della placenta e il cordone fino all’inserzione ombelicale. Il corion invece è la membrana esterna a contatto con la parete uterina.

Il termine “bicoriale” si riferisce alla presenza di due corion e quindi di 2 sacchi gestazionali distinti. La gravidanza gemellare bicoriale è quella più frequente. Nella gravidanza monocoriale è presente invece un solo corion e una sola placenta da cui escono due o più cordoni ombelicali. All’interno del corion può esserci un unico amnios (monocoriale monoamniotica) o più sacchi amniotici (monocoriale biamniotica, triamniotica etc.). La gravidanza monocoriale presenta un rischio fetale più elevato rispetto alla bicoriale.

La diagnosi di “corionicità” va fatta entro le prime 16 settimane di gestazione perché in seguito si verifica la “fusione” delle 2 placente e dei 2 corion e risulta poi molto difficile distinguerli.

 

2-96 K

 

3-66 K

 

 

Ovulazione

 

 

L’ovulazione è il momento durante il quale l’ovocita viene espulso dalle ovaie e avviene di norma attorno al quattordicesimo giorno del ciclo mestruale (cioè, mediamente, dai 16 ai 12 giorni prima dell’inizio del flusso mestruale), in corrispondenza di un picco di ormoni LH e estrogeni.

Quando il follicolo ovarico raggiunge le sue massime dimensioni provoca un rigonfiamento visibile sulla superficie dell’ovaia che prende l’aspetto di un’area avascolare, biancastra chiamata stigma. A questo punto il follicolo è separato dalla cavità peritoneale soltanto da uno strato di cellule sottilissimo.

La rottura del follicolo è provocata dall’azione di enzimi litici (plasmina, collagenasi).

 

La pressione del liquido contenuto nel follicolo si riduce gradatamente e perciò la rottura dello stigma non è un fenomeno esplosivo: l’ovocita, circondato da alcune cellule del cumulo ooforo (che vanno a formare la corona radiata) viene espulso lentamente dall’ovaia insieme al liquido antrale. A questo punto le fimbrie dell’ovidotto, che nel periodo dell’ovulazione si sono avvicinate alle ovaie, catturano l’ovocita e lo spingono all’interno dell’ovidotto.

Al momento dell’ovulazione anche la membrana propria cha separava la teca dalla granulosa si rompe, vascolarizzando la granulosa e formando un coagulo al centro di quel che resta del follicolo ovulato.

Inizia così la trasformazione di questa struttura in corpo luteo.

 

4-303 K

 

5-218 K

 

 

Gravidanza protratta

 

In medicina si definisce gravidanza protratta ogni gravidanza la cui durata superi le 42 settimane complete (294 giorni) contando a partire dal 1º giorno dell’ultima mestruazione regolare.

 

Classificazione

 

Esistono due tipologie di gravidanza protratta:

 

biologicamente protratta: quando è prolungata sia l’età concezionale che quella gestazionale [prolungamento reale]

cronologicamente protratta: quando è prolungata solo l’età gestazionale

 

Epidemiologia

 

In base alla definizione, la gravidanza protratta rappresenta il 10% di tutte le gravidanze che giungono a termine.

 

Eziologia e patogenesi

 

Gravidanza biologicamente protratta: eziologia ignota

Probabilmente il meccanismo si ricollega ad anomalie dei fattori che determinano l’inizio del travaglio di parto. Inoltre, in alcune donne si nota la tendenza al ripetersi di gravidanze protratte; similmente in alcune famiglie vi è una frequenza particolarmente elevata del fenomeno, il che farebbe supporre l’esistenza di una predisposizione genetica.

 

Gravidanza cronologicamente protratta: ovulazione procrastinata

È un fenomeno che può verificarsi spontaneamente, soprattutto in donne con cicli mestruali irregolari o con tendenza all’amenorrea disfunzionale, oppure nei primi cicli mestruali che seguono un parto o un aborto o la sospensione di un trattamento anticoncezionale estroprogestinico. In questi casi l’ovulazione sovente non avviene attorno al 14º giorno del ciclo mestruale contando dal primo giorno dell’ultima mestruazione, bensì anche molto dopo. Infine non bisogna dimenticarsi che talvolta la donna non ricorda la data esatta dell’ultima mestruazione.

 

Anatomia patologica

 

Nella gravidanza biologicamente protratta sovente intervengono fenomeni di senescenza placentare, che favoriscono l’insorgere di sofferenza fetale subacuta o cronica, fino alla morte del feto. È opportuno pertanto sorvegliare le condizioni del feto, se non insorge un travaglio spontaneo, già a partire da 281- 286 giorni di amenorrea (40+1 settimane di gestazione), poiché in un buon numero di casi tali fenomeni di senescenza placentare iniziano ben prima del 294º giorno di amenorrea (42 settimane). Inoltre spesso risulta impossibile distinguere la gravidanza biologicamente protratta da quella cronologicamente protratta, pertanto si è obbligati a sottoporre a sorveglianza anche molti casi in cui l’abnorme durata della gestazione è solo apparente.

I fenomeni di senescenza placentare consistono in:

 

progressiva riduzione della capacità di trasporto dell’ossigeno con sofferenza fetale ingravescente per ipossia cronica sempre più grave

compromissione più o meno spiccata del trasporto di altre sostanze nutritive

alterazioni della funzione regolatrice del metabolismo idroelettrolitico

 

Inoltre, il peso della placenta a volte è inferiore a quello normale di una gravidanza a termine, con larghe zone non funzionanti (infarti).

 

Liquido amniotico

 

Nella gravidanza biologicamente protratta si verifica spesso una notevole diminuzione del volume del liquido amniotico, che nei casi più gravi può essere ridotto a pochi cm3. In presenza di sofferenza fetale il liquido appare spesso tinto di meconio in modo più o meno manifesto.

Alla riduzione del volume di liquido amniotico molte volte si associa una riduzione della gelatina di Wharton che circonda i vasi del funicolo cosicché il funicolo ombelicale appare sottile. In queste circostanze la circolazione del sangue nei vasi funicolari incontra maggiori resistenze con sfavorevoli ripercussioni sul benessere del feto.

 

Clinica

 

Nonostante ogni attenzione, immancabilmente si osservano singoli casi di morte fetale inspiegata, nel senso che la morte avviene a breve distanza dall’esecuzione di uno o più accertamenti del benessere fetale, che avevano fornito risultati del tutto rassicuranti.

Frequenza: 0,5- 1/1 000 casi, per ora sembra non ulteriormente riducibile moltiplicando le visite e gli esami.

Il nato da gravidanza biologicamente protratta sovente è privo di vernice caseosa e di lanugine e presenta una pelle grinzosa, per la riduzione del tessuto adiposo sottocutaneo e della disidratazione. Inoltre si riscontrano:

 

unghie piuttosto lunghe

cute con segni iniziali di macerazione

ossa craniche spesso di consistenza aumentata

 

Questi neonati sono a maggior rischio di sviluppare pericolo di crisi ipoglicemiche accentuate nelle prime ore dopo la nascita, a causa della scarsità delle riserve di glicogeno epatico, dovute alla sofferenza fetale prolungata. È da sottolineare, comunque sia, che in un discreto numero di casi, feto e placenta non presentano alcuna alterazione, in tali casi la senescenza placentare non è intervenuta e l’accrescimento del feto è potuto continuare indisturbato per un tempo superiore al previsto.

 

Diagnosi

 

Le problematiche insorgono a carico del feto, la madre non ne risente. Perciò sarà necessario monitorare le condizioni di benessere fetale e ciò si attua tramite:

 

CTG [eseguito ogni 2-3 giorni]

conteggio dei movimenti fetali attivi

valutazione ecografica dell’indice amniotico (AFI) e morfologica della maturità placentare

valutazione ecografica del peso fetale, delle dimensioni fetali. La valutazione del profilo biofisico fetale viene utilizzata per i casi clinici dubbi [è un esame lungo e minuzioso]

 

Trattamento

 

La terapia della gravidanza protratta consiste nella provocazione del parto. È bene espletare il parto non molto oltre il 15º giorno di ritardo oltre il termine presunto di 280 giorni di età gestazionale. A tal punto, infatti, anche ammettendo di essersi sbagliati di 4 settimane nel calcolo dell’epoca presunta del parto, la gravidanza avrebbe raggiunto per lo meno le 37 settimane, inoltre conviene sempre espletare il parto senza attendere che compaiano i segni di iniziale compromissione del feto.

Le modalità di espletamento del parto dipendono da una valutazione clinica complessiva del caso (parità, età, anamnesi ostetrica, esistenza di distocie del canale, sofferenza fetale, grado di sviluppo dimensionale fetale, presentazione fetale), anche se la constatazione di una grave sofferenza fetale già prima dell’inizio del travaglio di parto (liquido amniotico tinto di meconio + alterazioni evidenti e ripetute dell’azione cardiaca fetale) è da sola indicazione sufficiente all’esecuzione immediata del taglio cesareo.

 

 

Lithopedion

 

Un lithopedion (dal greco antico λίθος líthos = pietra e παιδίον paidion = bambino), detto anche litopedion o litopedio, è un raro fenomeno che riguarda la morte del feto durante una gravidanza extrauterina addominale.

Solitamente, in questo tipo di gravidanze il feto muore precocemente, a causa dell’ambiente sfavorevole in cui deve crescere; in alcuni rarissimi casi può raggiungere uno stadio di sviluppo compatibile con la vita autonoma, sebbene questa sia un’eventualità eccezionale. Quando il feto muore, il materiale viene riassorbito dalle strutture circostanti; tuttavia, se lo stadio di crescita è così avanzato da aver già permesso lo sviluppo dello scheletro, il riassorbimento completo diventa impossibile. In assenza di complicanze, quindi, nel feto si depositano sali di calcio ed avviene un processo di mummificazione, che dà origine al lithopedion; se questo processo coinvolge anche il sacco gestazionale, il materiale prende il nome di chelifolithopedion.

Non è raro che un lithopedion rimanga non diagnosticato per decenni, finché la paziente non viene esaminata per altre patologie, ad esempio tramite radiografia o ecografia, o in seguito ad un intervento chirurgico. La paziente più anziana in cui è stato riscontrato tale fenomeno fu una donna di 94 anni, in cui il lithopedion rimase in loco per circa 60 anni. Il fenomeno fu descritto per la prima volta in un trattato del fisiologo Albucasis nel X secolo d.C., ma sono stati riscontrati meno di 300 casi in oltre 400 anni di letteratura medica. Il più antico lithopedion fu ritrovato durante alcuni scavi archeologici, con datazione intorno all’XI secolo a.C.. Il Lithopedion più vecchio è stato ritrovato nel 2013 nella donna cinese Huang Yijun di 92 anni che aveva un feto risalente al 1948 cioè a 65 anni prima dell’intervento di rimozione a cui aveva rinunciato 65 anni prima per mancanza di denaro.

 

 

Villocentesi

 

La villocentesi, o prelievo dei villi coriali, consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di tessuto coriale (10-15 mg).

Il prelievo dei villi coriali trova la sua ratio nella considerazione che il trofoblasto ed il feto originano dal medesimo tessuto.

L’applicazione della tecnica del DNA alla diagnosi prenatale di una affezione monogenica venne praticata per la prima volta nel 1976 e fu mirata alla ricerca della mutazione genica responsabile dell’alfa-talassemia.

A questa prima esperienza ne seguirono molte altre, sia sui villi coriali che nel liquido amniotico, fino al giorno d’oggi, in cui si può dire che le possibilità di diagnosticare una affezione genica in epoca prenatale con il DNA non riconosce altro limite se non quello della conoscenza e marcatura genica del sito o dei siti responsabili della malattia. In altri termini, ogniqualvolta i biologi molecolari o i genetisti riconoscono il gene di una affezione nell’adulto, questa ricerca può essere eseguita anche nel feto.

L’approccio per via transaddominale fu suggerito nel 1984 e largamente utilizzato dalla seconda metà degli anni ottanta con indubbi vantaggi, rispetto al prelievo transcervicale, sia per la maggiore familiarità degli operatori con tale via di approccio, che per il minor rischio di infezione intrauterina.

La validità dell’analisi dei villi coriali come esame di diagnosi prenatale è stato dimostrato per la prima volta nel mondo dallo scienziato italiano Giuseppe Simoni, genetista, con uno studio pubblicato su Lancet nel 1983 in collaborazione con il ginecologo Bruno Brambati.

 

Scopo

 

L’esame dei villi coriali serve a valutare il cariotipo, cioè l’assetto cromosomico fetale, al fine di valutarne la normalità o, al contrario, la presenza di anomalie.

Viene effettuato tra l’11ª e la 13ª settimana di gestazione.

Le indicazioni al prelievo dei villi coriali, già dai primi tempi, includevano, oltre allo studio del cariotipo e quindi le alterazioni numeriche e strutturali cromosomiche, anche le analisi enzimatiche e molecolari. La ricerca, diretta ad ottenere dalle cellule trofoblastiche i relativi cariotipi, risulta particolarmente allettante proprio in ragione della rapidità con cui si può ottenere il risultato citogenetico.

Le cellule trofoblastiche possiedono, infatti, un alto indice di crescita mitotica e permettono di eseguire colture a lungo termine spesso molto rapide (soli 5-7 giorni), periodo inferiore rispetto alle colture degli amniociti. La possibilità inoltre di poter esaminare direttamente le cellule prelevate in mitosi spontanea rende i termini temporali riducibili a soli 2-3 giorni.

L’esame viene proposto alle pazienti giudicate ad elevato rischio di anomalie cromosomiche, come ad esempio:

 

donne di età superiore ai 35 anni

aumentato spessore della translucenza nucale

precedente figlio affetto da anomalia cromosomica

genitori portatori di alterazioni cromosomiche (traslocazioni, inversioni, aneuploidie)

È utile accennare brevemente al perché la diagnosi molecolare sui villi coriali sta sempre più soppiantando le ricerche tradizionali sul liquido amniotico e sul sangue fetale.

I soggetti che vanno incontro alla diagnosi molecolare sono solitamente motivati da una rischio elevato per l’anomalia specifica, rischio solitamente valutato dal genetista sulla base dei parametri anamnestici e della familiarità.

Colei che ha un rischio elevato, e quindi una elevata possibilità di dover interrompere la gravidanza, richiede una diagnosi quanto più precoce possibile e la villocentesi risponde bene a tale requisito. Si tratta infatti della più precoce diagnosi prenatale ed inoltre, dal punto di vista strettamente laboratoristico, il poter disporre di una adeguata quantità di materiale di pertinenza fetale aiuta ulteriormente nell’abbreviare i tempi di diagnosi. Se si dovesse eseguire la stessa diagnosi sul liquido amniotico, si dovrebbe ricorrere ad una coltura cellulare preliminare che allungherebbe considerevolmente i tempi di analisi. Si tratta inoltre di diagnosi certe, che lasciano poco spazio ad errori interpretativi se ben condotte e su materiale puro e di buona qualità.

Attualmente, molte malattie geniche si studiano routinariamente sui villi coriali ed il ricorso per esse alle tradizionali tecniche, come la funicolocentesi, risulta del tutto da eliminare. La ricerca sui villi è infatti più precoce, sensibile, accurata e meno rischiosa.

Si prenda ad esempio la ricerca dell’anemia mediterranea. Fino a pochi anni or sono si eseguiva una funicolocentesi intorno alla 20º settimana di gravidanza, la diagnosi (ammesso che il prelievo fosse ben riuscito) si eseguiva con un’analisi morfologica e pertanto imprecisa. Il rischio di abortire era elevato e pure estremamente pesante dal punto di vista fisico e morale era il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza che, in caso di feto affetto, doveva avvenire intorno alla fine del sesto mese. Oggi, la ricerca delle mutazioni geniche sui villi coriali fornisce una diagnosi di certezza a sole 9-10 settimane di gestazione, con un rischio abortivo molto ridotto e con la eventualità di andare incontro ad una interruzione volontaria, per feto affetto, comunque entro il primo trimestre di gravidanza.

Attualmente sono entrate nel novero delle diagnosi prenatali di disordini mendeliani, tramite villi coriali, numerosissime patologie. Tra le più comuni si individuano la sordità congenita, la sindrome dell’X fragile e la fibrosi cistica; fra le centinaia di altre più rare, si segnalano la distrofia muscolare di Duchenne, le emoglobinopatie, la sindrome di Werdnig-Hoffmann.

Va tenuto comunque presente che, come detto in precedenza, il numero di queste si accresce quotidianamente e bisogna sempre mantenere stretti contatti con diversi Centri di biologia molecolare e genetica per poter sapere se sia possibile addivenire alla diagnosi di una di queste, anche se si trattasse di malattie rare e poco note.

 

Ricerca della paternità

 

Tramite la villocentesi è possibile individuare con assoluta certezza il genitore biologico. Ciò avviene sia in casi di controversie legali e/o patrimoniali che, più raramente, in soggetti sottoposti a fecondazione in vitro dove vi sia il sospetto di uno scambio e/o di un errore di impianto dello zigote.

 

Cellule staminali

 

I villi coriali contengono cellule staminali fetali multipotenti.

Oggi è anche possibile conservare ad uso autologo le cellule staminali presenti in un frammento dei villi coriali prelevati durante l’esecuzione della villocentesi.

Le cellule staminali dei villi coriali sono staminali fetali mesenchimali con prospettive applicative in medicina rigenerativa, avendo buone capacità riproduttive e ottima stabilità genomica. Queste cellule conservano intatte le proprie caratteristiche di staminalità durante tutta la gravidanza, tanto che possono essere prelevate anche da un frammento di placenta estratta dopo il parto.

 

Ricerca di agenti infettivi sui villi coriali

 

Che le malattie infettive possano determinare malformazioni al feto è un concetto antico. Nel 1971 fu coniato il termine complesso TORCH, acronimo di Toxoplasmosi, Rosolia, Citomegalovirus, Herpesvirus, per descrivere una serie di infezioni che, trasmesse al feto in epoca prenatale, potevano determinare una anomalia.

La diagnosi prenatale si è quindi concentrata subito nel tentativo di riconoscere precocemente l’insorgere della malattia e dell’eventuale difetto.

Bisogna però informare con chiarezza sui confini della diagnosi prenatale di malattie infettive; a tale scopo, esistono alcuni principi culturali ai quali vale riferirsi prima di interpretare un protocollo di diagnosi prenatale di una eventuale malattia infettiva. Tale schema costituirà inoltre parte integrante del consenso informato a cui i genitori debbono essere introdotti prima di ogni procedura operativa:

 

– la presenza di una infezione nella madre non comporta affatto che questa debba necessariamente passare al feto, esistendo barriere naturali difensive. Ogni procedura invasiva deve tenere presente questo concetto, onde evitare il ricorso ad interventi inutili e talvolta pericolosi;

 

– la diagnosi prenatale invasiva, per quanto raffinata e sensibile, può darci solo informazioni in merito all’eventuale infezione fetale. Se questa abbia o meno determinato una anomalia nel feto non potrà mai stabilirlo con precisione ma solo in termini probabilistici. L’ecografia rimane pertanto l’unico vero strumento in grado di diagnosticare l’eventuale danno teratogeno, solo se questo si annovera tra quelli diagnosticabili con gli ultrasuoni. Ne consegue che bisogna assolutamente specificare con chiarezza che la diagnosi prenatale invasiva è finalizzata alla sola ricerca dell’agente infettivo e non alla possibile malformazione.

 

Il ricorso alla villocentesi ai fini della diagnosi di una infezione del compartimento fetale è procedura relativamente recente. Deve essenzialmente la sua introduzione alla possibilità, fornita dalla biologia molecolare, di riconoscere anche minime porzioni di materiale genico dell’agente infettante. Nei villi coriali infatti l’agente infettivo staziona a lungo, anche molto tempo dopo che l’infezione acuta sia oramai esaurita, ed esso non può essere riscontrato in altri compartimenti. La placenta è infatti un eccellente terreno di coltura ove la presenza dell’agente infettante può permanere anche dopo il parto.

La possibilità di eseguire ricerche sul DNA di agenti infettivi, particolarmente di natura virale, ha modificato sostanzialmente i protocolli tradizionali rendendo il ricorso alla funicolocentesi non più giustificabile sul piano diagnostico, poiché tardivo, impreciso e rischioso. La cosa non cambia in caso di infezioni sostenute da virus RNA, giacché la procedura si complica solo di un passaggio enzimatico preliminare, quello della transcriptasi inversa, volto a cambiare la sequenza di DNA.

Di enorme importanza è il ricorrere alla tecnica laboratoristica della reazione a catena della polimerasi (PCR), prima di ricercare con le sequenze specifiche, tramite ibridazione o altra tecnica genica, l’agente infettivo. La PCR infatti permette di amplificare più di un milione di volte le poche sequenze di DNA disponibile accelerando i tempi di indagine e rendendo la ricerca molecolare molto più sensibile.

L’isolamento del virus nei villi coriali può trarre in inganno nella sola evenienza che questo fosse andato a colonizzare solo la parte materna e non abbia forato il versante fetale della placenta. Tale evenienza è però più teorica che reale ed il riscontro di DNA infettivo sui villi coriali corrisponde, nella quasi totalità dei casi, al suo riscontro nel neonato. Cionondimeno tale ipotesi deve essere presa in considerazione nei casi dubbi ove la positività è borderline e la ricerca su altri tessuti fetali è negativa.

 

Microarray

 

Negli ultimi anni sono stati introdotti i microarray, utilizzati per permettere l’esame di un grande numero di prodotti genici simultaneamente.

La tecnica oggi utilizzata (CGH, Comparative Genomic Hybridization microarray analysis) permette una più accurata identificazione delle anomalie dei geni fetali rispetto alla tradizionale analisi del cariotipo, essendo più sensibile nei confronti di piccole variazioni genomiche non altrimenti riscontrabili, come ad esempio le microdelezioni e le microduplicazioni. In tal modo può essere contemporaneamente studiato un ampio ventaglio di patologie genetiche selezionate, incluse quelle che implicano il riarrangiamento dei subtelomeri (componenti microscopiche del DNA), che sono stati recentemente riconosciuti tra le cause di ritardo mentale.

La metodica, attualmente utilizzata solo in centri altamente specializzati, si chiama Micro Deletion Telomeric – CGH Array e con essa, al momento attuale, vengono analizzati i seguenti geni e delezioni cromosomiche:

  1. Sindrome di monosomia 1p36
  2. Sindrome di Van Der Woude
  3. Nefronoftisi 1
  4. Sindrome dibrachidattilia – ritardo mentale
  5. Sindrome di Wolf-Hirschhorn
  6. Sindrome del Cri du Chat
  7. Poliposiadenomatosa ereditaria del colon
  8. Sindrome di Sotos
  9. Sindrome di Saethre-Chotzen
  10. Sindrome di Williams-Beuren
  11. Sindrome di Kallmann 2
  12. Sindrome di Langer-Giedon
  13. Sindrome di monosomia 9p
  14. Sindrome di HDR
  15. Sindrome di DiGeorge / Sindrome velocardiofacciale
  16. Sindrome di Wagr
  17. Sindrome di Potocki-Shaffer
  18. Sindrome di Prader-Willi/ Sindrome di Angelman
  19. Sindrome di ATR-16
  20. Lissencefalia di Miller-Dieker
  21. Malattia di Charcot-Marie-Tooth
  22. Ereditaria, con paralisi
  23. Sindrome di Smith-Magenis

 

  1. Neurofibratosi spinale ereditaria
  2. Sindrome di Alagille
  3. Sindrome di Digeorge
  4. Neurofibromatosi di tipo 2
  5. Bassa statura
  6. Deficienza di sulfatasi
  7. Sindrome di Kallmann 1
  8. Distrofia muscolare di Duchenne
  9. Sindrome di ATR-X
  10. Malattia di Pelizaeus-Merzbacher
  11. Sindrome di XX maschile
  12. Sindrome di Greig
  13. Regione telomerica e sub-telomerica
  14. Aneuploidia cromosomica

 

Con tale metodica è possibile analizzare solo le delezioni e le microdelezioni relative alle regioni studiate. Non è possibile determinare la presenza di mutazioni geniche ed anomalie cromosomiche diverse da quelle descritte sopra, vale a dire delezioni, microdelezioni, aneuploidie, microdelezione delle regioni telomeriche e sub-telomeriche.

Allo stato attuale questo sistema viene proposto alle pazienti con feto portatore di anomalie genetiche i cui segni sono riconducibili ad una patologia sopra riportata e quando i precedenti esami hanno dato esito negativo. Il prelievo del campione biologico (villi coriali, liquido amniotico) viene prima messo in coltura, dalle cellule viene estratto il DNA ed eseguita la metodica. In caso di prelievo di sangue fetale non è necessaria la coltura, per cui la risposta è disponibile in tempi più brevi (5 giorni circa).

È possibile, in casi eccezionali, utilizzare l’IntegraChip, DNA micro-Array ad alta densità costituito da 3200 cloni che rappresentano regioni specifiche di tutti i cromosomi umani, coprendo l’intero genoma umano con una risoluzione di 0,9 Mb.

Studi piuttosto recenti stanno valutando inoltre la possibilità di utilizzare la tecnologia dei microarray nell’analisi molecolare di una frazione del DNA presente in una frazione di scarto del liquido amniotico prelevato, che non necessita di essere messa in coltura, e che fornirebbe quindi un risultato ancora più rapido sull’ampio numero di alterazioni genomiche studiate.

 

Procedura di esecuzione

 

Il prelievo dei villi coriali si esegue di regola fra le dieci e le tredici settimane di gravidanza. In particolari casi può essere condotta anche dopo queste settimane. Si deve tener presente che se la procedura si esegue prima dell’ottava settimana è stata segnalata la possibilità di malformazione degli arti.

 

Prima della villocentesi occorre aver eseguito degli esami preliminari:

 

Gruppo sanguigno e fattore Rh di entrambi i genitori

Ricerca dell’epatite B e C nella madre

Test HIV (non obbligatorio)

Qualora la madre presenti un fattore Rh- ed il padre Rh+ è necessario che si esegua anche un test di Coombs indiretto. In tal caso alla gestante verrà somministrata la profilassi anti D, dopo aver eseguito il prelievo.

 

Secondo alcuni è necessario praticare, nei 3 giorni che precedono l’esame, una terapia antibiotica per sterilizzare la madre da eventuale pre-infezione da micoplasma o clamidia.

 

Villocentesi transcervicale

Si tratta della tecnica più antica, oggi quasi completamente abbandonata.

 

Villocentesi transaddominale

La villocentesi transaddominale rappresenta oggi la tecnica preferita da molti centri. Proposta nel 1984 come metodo di diagnosi citogenetica meno rischiosa della transcervicale, fu prima, seppur sporadicamente, utilizzata per scopi diversi, quali la diagnosi di mola idatiforme nel 1966, oppure la valutazione dello stato placentare.

La tecnica sviluppata e correntemente applicata in centri ad alta specializzazione si basa sul prelievo ecoguidato mediante ago singolo o “doppio ago”. Si usa la stessa sonda ecografica descritta per l’amniocentesi e dotata in alcuni centri di uno stativo orientabile munito di un tunnel di guida il cui diametro può essere variato a seconda del diametro dell’ago.

Nella tecnica con due aghi il primo ago, detto “guida” ha un diametro gauge 18 ed una lunghezza di 15 cm. In questo si introdurrà il secondo, detto “prelevatore”, di diametro gauge 20 e lungo 20 cm., esattamente uguale a quello utilizzato per l’amniocentesi.

Una volta localizzato il punto esatto dove si intende prelevare il materiale, si introduce l’ago guida, si arriva al margine del chorion frondosum, si rimuove il mandrino e si introduce il secondo ago che, essendo più lungo del precedente, potrà sopravanzarlo di quel tanto che si riterrà necessario per approfondirsi nel chorion. Questo ago sarà già privo di mandrino e preventivamente raccordato con una siringa da 20 cc, a buona tenuta, che conterrà, in alcuni casi, alcuni millilitri di un liquido di coltura o di soluzione fisiologica sterile. Il movimento dell’ago prelevatore sarà duplice: l’escursione in su ed in giù per pochi millimetri, nello spazio del chorion oltre la punta dell’ago-guida e, contemporaneamente, la rotazione sul proprio asse. Tali movimenti sono compiuti mentre viene mantenuta, tramite la trazione sullo stantuffo, la massima decompressione possibile. In tal modo si aspira il materiale che viene progressivamente reciso dall’ago nei suoi movimenti; tale materiale si raccoglie nella siringa. L’ago prelevatore si muove per circa 10 secondi, poi lo si estrae e si cambia la siringa. Tale procedura viene eseguita 2 o 3 volte fino a quando un collaboratore, esperto nella valutazione dei materiale, avvertirà che questo è sufficiente. Solitamente si esegue anche un ultimo passaggio aspirante con l’ago-guida, per pochi secondi e senza traumatizzare, giacché mentre tutta la precedente procedura non genera in genere dolore, quest’ultimo movimento ne provoca uno vivo. Tale ultimo passaggio deve pertanto esclusivamente entrare in quello spazio tracciato dall’ago prelevatore ed aspirare quei villi che, già sezionati, fossero rimasti imprelevati. Ovviamente tutta la procedura viene seguita direttamente sullo schermo ecografico in tempo reale. In tal modo si può evidenziare con chiarezza il corretto posizionamento dell’ago guida al margine più prossimale del chorion e controllare la corretta escursione dell’ago prelevatore.

Con la biopsia transaddominale possono essere realizzati tre tipi di approccio al chorion:

 

Chorion anteriore

Chorion laterale o fundico

Chorion posteriore

 

Ognuna di queste eventualità presenta diverse caratteristiche. Il chorion anteriore è di solito sottile, il che comporta che la escursione dell’ago prelevatore sarà breve. Si dovrà perciò scegliere con cura lo spessore massimo in modo da ottenere una maggiore quantità di materiale. Si dovrà inoltre evitare di forare il piatto coriale, cosa che ci porterebbe immediatamente all’interno del sacco gestazionale. Per precisione, in considerazione della precoce età gestazionale, questa errata manovra porterebbe la punta dell’ago nello spazio amnio-coriale.

Il chorion laterale o fundico in qualsiasi parete fosse stivato, permette una escursione ampia ed il materiale prelevato è di solito abbondante. Tale inserzione è la migliore e la più frequente. Bisogna aver cura di penetrare nel mezzo del chorion, tenendosi equidistanti tra il limite miometriale ed il piatto coriale. Se ci si insinua vicino alla base d’inserzione, l’ago prelevatore determina uno scollamento del chorion ed un sanguinamento vaginale. Sono questi di solito i casi nei quali aumenta il rischio abortivo.

La presenza di un chorion disposto posteriormente imporrebbe, che, per raggiungerlo, l’ago-guida attraversi il sacco gestazionale. Tale evenienza, invero, è piuttosto rara, trovandosi quasi sempre il modo di manovrare la sonda e la sede di prelievo in modo tale da arrivare al chorion senza attraversare il sacco. Qualora però, ciò fosse necessario, può essere fatto senza particolare preoccupazione. L’attuale esperienza di centri ad elevata specializzazione, accumulatasi nell’eseguire embrioscopie diagnostiche, ha dimostrato con chiarezza che è sempre molto difficile che con l’ago si possa colpire l’embrione. A 10 settimane, inoltre, è stato notato che la maggior parte della cavità è occupata dal liquido compreso tra amnios e chorion, il cosiddetto spazio amnio-coriale. Embrioscopicamente si vede bene come l’embrione risulti sempre raccolto oltre la sottile e trasparente membrana amniotica, che non viene violata. Come già detto è però quasi sempre possibile evitare di penetrare nel sacco amniotico e questo può essere fatto modificando la posizione della sonda ed orientando opportunamente la direzione dell’ago.

 

Tecniche miste

In occasioni particolari può risultare necessario dover prelevare contemporaneamente villi coriali e liquido amniotico. Ciò avviene quando si deve esaminare la presenza di materiale infettivo nei due distretti, ovvero quando le tecniche genomiche necessitano di una verifica sia sugli amniociti che sulle cellule del trofoblasto. Tali indagini si eseguono di solito nel secondo trimestre di gravidanza. In tali casi non è necessario eseguire due prelievi distinti, ma si può procedere in un’unica operazione avendo l’accortezza di scegliere, nel posizionare l’ago, una traiettoria che includa la placenta e la cavità amniotica. Si danno per tale tecnica due possibilità:

 

placenta anteriore

placenta posteriore.

 

Nelle tecniche miste con placenta anteriore si inserisce l’ago guida (18 gauge) fino al margine superiore della cavità coriale, come avviene nelle comuni villocentesi. Si inserisce poi l’ago prelevatore (20 gauge) eparinizzato, praticando il prelievo come già descritto in precedenza. L’ago prelevatore può essere inserito anche una seconda volta se il materiale non è sufficiente. In questa operazione bisogna porre grande attenzione a non superare il piatto coriale onde evitare di procurare lesioni dello stesso con conseguenti sanguinamenti endoamniotici.

Si passa poi al prelievo di liquido amniotico, introducendo un nuovo ago sterile, dello stesso gauge di quello prelevatore, all’interno dell’ago guida e procedendo con decisione in basso superando il piatto coriale ed entrando in cavità amniotica. Il prelievo fornirà un liquido non contaminato da sangue se nella procedura della villocentesi si era rispettato il piatto coriale. Rimosso tale ago si potrà poi prelevare, se necessario, un ulteriore frustolo di villi operando un’altra aspirazione con l’ago guida. In definitiva per le tecniche miste con placenta anteriore si utilizzeranno due aghi prelevatori ed uno guida.

Nelle tecniche miste con placenta posteriore la metodica è ancora più semplice. Si inserisce l’ago guida nella cavità amniotica senza arrivare alla placenta. Si esegue quindi il prelievo di liquido amniotico, che risulta più rapido in considerazione del diametro dell’ago. Si prosegue poi facendo penetrare l’ago guida nella placenta, forando il piatto coriale. A questo punto si inserisce l’ago prelevatore dei villi e di qui in poi ci si comporta come per una comune villocentesi. Nelle tecniche miste con placenta posteriore si utilizzeranno un unico ago guida ed uno prelevatore.

 

Controllo del materiale prelevato

Una volta eseguito il prelievo si passa alla fase del controllo della quantità e qualità del materiale. Queste operazioni devono essere compiute in locali adiacenti a quello del prelievo e, comunque, prima di rimuovere la gestante dalla sua posizione, onde poter ripetere il prelievo al bisogno.

Il controllo del materiale raccolto viene eseguito solitamente al microscopio, sotto cappa a flusso laminare o verticale come sono le più recenti. Quando però si sarà ottenuto un buon grado di affiatamento nell’equipe, i tempi si snelliscono molto ed il controllo della quantità ed addirittura della qualità del materiale prelevato diviene cosa molto semplice che si esegue già con la prima osservazione nella siringa.

La separazione dei villi coriali dalla decidua basale e dai coaguli è procedura altrettanto delicata e solitamente affidata al biologo genetista presente nell’equipe. In mancanza del genetista, dopo un opportuno addestramento, anche un collaboratore diverso, tecnico, medico o paramedico può egregiamente supplire.

Dopo ogni procedura di aspirazione, l’ago prelevatore viene rimosso, il materiale raccolto nella siringa viene rapidamente esaminato. In tal modo si riduce il numero delle procedure di introduzione dell’ago prelevatore solo a quelle necessarie.

Il materiale prelevato viene poi raccolto in una capsula di Petri o in una provetta a fondo conico, tipo Falcon. Con una pipetta di Pasteur si passa poi alla separazione e pulitura dei villi da inviare al laboratorio. Il lavaggio dei villi stessi, per purificarli dalle contaminazioni (sangue, muco, decidua) viene eseguito sterilmente con liquido di Chang o con soluzione fisiologica. È bene che tali procedure siano eseguite sotto cappa a flusso laminare.

Se il materiale è ben preparato i villi risulteranno molto puri ma, affinché il genetista possa fornire una risposta affidabile ed in tempi brevi, bisogna che il materiale prelevato sia di buona qualità e non solo ben preparato. Si deve innanzitutto tener presente che, ai fini di una più accurata e veloce diagnosi citogenetica, il materiale villare migliore è quello che si reperisce nella porzione di chorion frondosum più vascolarizzato, presso l’inserzione del funicolo ombelicale. I villi coriali prelevati per via transcervicale derivano dal seno marginale del chorion frondosum che, di solito, non sono i migliori per un esame citogenetico diretto. Più rare sono infatti le mitosi spontanee alla periferia del chorion e di solito per ottenere un responso diagnostico si deve ricorrere alla coltura. D’altra parte se la biopsia coriale si esegue per motivi diversi da quelli citogenetici, come avviene per una ricerca di anomalie geniche mediante analisi del DNA, la sede del prelievo è indifferente giacché non risulta necessario prelevare villi in mitosi spontanea. Riveste invece enorme importanza la purezza del materiale, per cui deve essere evitata ogni contaminazione con tessuti materni.

La quantità dei villi da prelevare varia a seconda della loro qualità e del tipo di indagine da eseguire. Le indagini citogenetiche sono quelle che richiedono la migliore qualità di villi. In teoria la quantità sufficiente ad una indagine diretta varia dai 5 ai 20 mg, di tessuto secco ottenuto.

Per le indagini geniche-molecolari il quantitativo di materiale varia anch’esso fra i 10 ed i 20 mg, con notevole variabilità a seconda del laboratorio e della metodica. Il prelievo per via transcervicale difficilmente può fornire quantità superiori a quelle sovracitate ed è anche per tale motivo che gli operatori si sono rivolti al prelievo transaddominale, in cui è di regola prelevare oltre 50 mg di materiale villare.

Il prelievo di 50 mg è solitamente ben tollerato, senza danni per la prosecuzione della gestazione. Le indagini biochimiche o molecolari sono di solito meno esigenti. Il requisito più importante per tali esami è, come si è detto, la purezza.

 

Rischi

 

Come detto in precedenza, la villocentesi risulta gravata da un rischio abortivo variabile in rapporto alla tecnica. Il prelievo transcervicale, con la pinza da biopsia, presenta il più alto rischio abortivo (8%). Con la cannula di Portex il rischio scende al 3,6% in alcuni studi ed al 2,6% in altri. La tecnica transaddominale sembra in molti studi essere gravata da un rischio sovrapponibile a quello trancervicale, entrambe intorno al 2,5%. La tecnica transcervicale risulta oramai abbandonata da troppi anni per potersi raffrontare a quella attuale, transaddominale. Questa è gravata da un rischio abortivo che negli ultimi 3 anni sembra attestarsi attorno all’1,8%. Se andiamo a suddividere la popolazione, ci accorgiamo che esistono poi delle differenze importanti:

 

– le villocentesi eseguite per via transamniotica (placenta posteriore) hanno un rischio abortivo del 2,9% mentre quelle che non richiedono tale passaggio mostrano un rischio abortivo inferiore all’1%;

– le villocentesi del secondo e terzo trimestre di gravidanza non hanno mai dato esito ad aborto.

 

La presenza di un sanguinamento nei 2-3 giorni. che seguono la procedura si manifesta in circa 1 caso su 5 e di per sé stessa non pregiudica la gravidanza. Per solito la gestante se ne avvede già subito dopo la villocentesi. L’insorgere di dolori e contrazioni è evenienza frequente, di significato trascurabile ai fini della prognosi giacché presenti in modo del tutto indipendente dall’esito della gravidanza.

Di particolare importanza sono i risultati di uno studio multicentrico compiuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e presentato all’Euromeeting di Tel-Aviv nel maggio del 1994. Secondo tale studio, riferentesi ad un’esperienza su 138.996 biopsie coriali, la procedura è piuttosto sicura ed è associata ad un rischio di aborto comparabile a quello delle amniocentesi. Il registro delle biopsie coriali dimostra che la tecnica è correntemente eseguita, essenzialmente, fra la 9º e la 12º settimana di gestazione. La più volte segnalata maggiore incidenza di rischio di anomalie degli arti, non sembra affatto reale. L’incidenza di queste, infatti, dopo biopsia coriale, ha un campo che varia fra il 5,2 e 5,7 ogni 10.000 casi. Considerando che, nella popolazione in generale, lo stesso campo varia fra il 4,8 e il 5,97 su 10.000, la differenza non risulta statisticamente significativa. In definitiva, se tali dati verranno confermati anche in futuro, essi dimostrano che non c’è evidenza di alcun rischio di malformazione congenita dipendente dalla biopsia coriale.

Rimane però il dubbio concreto che essa possa determinare la malconformazione, se eseguita più precocemente. Scarsi sono, infatti, i dati disponibili prima dell’8º settimana. Evitando una villocentesi precoce, in effetti, si escludono dal computo anche quegli aborti naturali che, quando la biopsia coriale è eseguita prima dell’8º settimana, ad essa potrebbero erroneamente essere attribuiti. In centri di diagnosi prenatale ad altissima specializzazione, il rischio abortivo è tra i più bassi della letteratura mondiale essendo stabilmente inferiore all’1%.

 

Risultati

 

L’esame è molto sicuro, gli errori accadono soltanto in casi eccezionali. In circa un caso ogni 100 esami la coltura delle cellule o la relativa lettura per le malattie cromosomiche viene a mancare. La procedura non è ripetuta solitamente e l’amniocentesi è condotta preferibilmente. Se l’analisi richiesta non è quella del cariotipo (lo studio dei cromosomi), ma è una malattia ereditaria specifica con esame del DNA, la risposta è praticamente infallibile. L’eventualità d’un errore o di una mancanza di una diagnosi è molto improbabile.

La prima risposta diretta per quanto riguarda le malattie cromosomiche la si ottiene dopo solo 48 ore dall’esecuzione del prelievo. La risposta definitiva si ottiene dopo circa 12-15 giorni.

Dopo circa un’ora dal prelievo verrà effettuata un’ecografia per verificare la presenza del battito cardiaco fetale; la paziente potrà poi tornare al proprio domicilio senza alcuna particolare terapia, se non la precauzione di non sollevare pesi e/o effettuare sforzi per 3-4 giorni.

 

6-337 K

 

Colestasi gravidica

 

 

La colestasi gravidica è una patologia epatica indotta dalla gravidanza che insorge prevalentemente nel terzo trimestre di gestazione.

 

Epidemiologia

 

L’incidenza risulta variabile tra 0.1 e 10% a seconda del gruppo etnico e delle statistiche. Sono Cile e i paesi scandinavi le nazioni con la maggiore incidenza.

 

Sintomatologia

 

Intenso prurito, specie a superficie estensorie di arti superiori e inferiori; associato a rialzo delle transaminasi e a modesto ittero, i sali biliari sierici aumentano di 10-100 volte, il quadro sintomatologico si risolve spontaneamente pochi giorni dopo il parto, ma tende a ripresentarsi in gravidanze successive.

 

Eziologia

 

La patologia è dovuta all’effetto colestatico degli ormoni estrogeni, ma il meccanismo non è completamente noto. in pazienti sensibili la somministrazione di contraccettivi orali può riprodurre o innescare una colestasi al di fuori della gravidanza.

La colestasi mostra spesso un andamento familiare e ci suggerisce la presenza di possibili fattori genetici alla base di questa patologia.

 

Diagnosi

 

Oltre alla sintomatologia clinica, riscontro di transaminasemia elevata, aumentata concentrazione dei sali biliari sierici, aumenta anche la fosfatasemia alcalina, che pero è frequentemente elevata in gravidanza.

 

Diagnosi differenziale

 

Bisogna differenziarla da epatiti acute ad andamento colestatico (occorre effettuare a tal proposito markers infettivologici).

 

Prognosi

 

la prognosi materna buona, si risolve spontaneamente con il parto; la prognosi fetale è gravata da aumentata incidenza di sofferenza fetale in travaglio, morte endouterina improvvisa, parto pretermine, verosimilmente dovuto al passaggio nel circolo fetale dei sali biliari. probabilmente questi interferiscono anche con il meccanismo della contrazione ventricolare, l’aggiunta di sali biliari in colture di miociti mostra contrazioni non sincrone degli stessi.

 

Terapia

 

Controllare la sintomatologia mediante acido ursodesossicolico e resine leganti i sali biliari a livello enterico (tipo colestiramina), causandone un perdita netta. Tale terapia può però comportare fenomeni di maleassorbimento specie di vitamine liposolubili nel lungo termine, in tal caso associare vitamina K. Per il prurito si possono usare anche gli antistaminici ma con scarsi risultati. Associare la terapia medica al riposo, cosa che riduce significativamente il parto pretermine. Anticipare l’espletamento del parto nel caso la sintomatologia non sia adeguatamente controllata dalla terapia medica e in funzione delle condizioni fetali.

 

 

Ossitocina

 

L’ossitocina (o “oxitocina“, abbreviato OXT) è un ormone peptidico di 9 aminoacidi prodotto dai nuclei ipotalamici sopraottico (principalmente) e paraventricolare e secreto nella neuroipofisi.

L’azione principale dell’ossitocina è quella di stimolare le contrazioni della muscolatura liscia dell’utero. Nell’ultimo periodo della gravidanza la responsività dell’utero all’ossitocina aumenta notevolmente e l’ormone esercita un ruolo importante nell’inizio e nel mantenimento del travaglio e del parto.

Altro fondamentale ruolo è quella di stimolo delle cellule dei dotti lattiferi delle mammelle. In tal modo l’ossitocina provoca una contrazione delle cellule muscolari e la secrezione del latte. Ciò avviene in risposta allo stimolo della poppata.

 

Fisiopatologia

 

Sessualità ed etologia

L’ossitocina è un antagonista della acetilcolina, che a livelli alti può risultare tossica e indurre comportamenti aggressivi.

L’ossitocina è responsabile del comportamento materno. Le donne hanno in media il 30% in più di ossitocina degli uomini.

La produzione di ossitocina aumenta con la stimolazione tattile di seni e capezzoli (reazione uguale a quella dell’allattamento), così come della clitoride. Stimola la prolattina e la liberazione di dopamina durante l’orgasmo che risulta più intenso (in questo senso la stimolazione clitoridea è utile che avvenga prima di quella vaginale).

A seguito di esperimenti sugli animali (Panskepp, 1998) si è visto che iniezioni di ossitocina nel cervello dei topi femmine creano un comportamento materno in femmine non gravide, gli inibitori portano a dimenticarsi dei piccoli se si allontanano. Ugualmente nei maschi bassi livelli di ossitocina provocano amnesia sociale e chi è privo del gene codificante presenta aggressività, indifferenza al distacco dalla madre e assenza di attaccamento sociale.

 

In gravidanza e durante il parto

Durante il parto l’utero ha un aumento di recettori dell’ossitocina indotto dagli estrogeni e sviluppa la sua massima sensibilità all’ossitocina.

Al momento del parto il fondo uterino espleta la funzione di pacemaker e induce delle contrazioni regolari e coordinate che giungono alla cervice.

L’ormone esogeno viene utilizzato per indurre o aumentare il travaglio in caso di scarsa funzionalità della muscolatura uterina, previa amnioressi: in caso di membrane integre si preferisce il dinoprostone.

Dosi elevate di ossitocina esogena interferiscono col flusso ematico attraverso la placenta e possono determinare ipossia del feto e morte.

Le prostaglandine invece sono vasoattive con azione costrittrice, causano cioè necrosi ischemica, e sono uterotoniche, aumentando, quindi, il tono della muscolatura uterina. In Italia non sono commercializzate se non per l’interruzione di gravidanza.

 

 

Diagnostica prenatale

 

La diagnostica prenatale è quella branca della medicina ed in particolare dell’ostetricia, che applica e studia le tecniche che svelano la normalità o la presenza di patologie di vario tipo, nel feto.

Tutte le tecniche di diagnostica prenatale si eseguono durante la gravidanza e possono essere invasive o meno.

 

Esami invasivi

 

Prevedono l’analisi del cariotipo di cellule fetali ottenute mediante diversi tipi di prelievi invasivi. Il fine è quello di evidenziare l’eventuale presenza di malattie cromosomiche a livello fetale ma anche malattie genetiche quali ad esempio talassemia, fibrosi cistica, emofilia, spina bifida, albinismo, distrofia muscolare.

Il cariotipo da liquido amniotico è la tecnica più utilizzata al giorno d’oggi per la diagnosi prenatale invasiva. Il liquido amniotico viene prelevato mediante amniocentesi.

Le cellule fetali sospese nel liquido prelevato permettono di ricostruire la mappa cromosomica (o cariotipo) del feto. I test genetici però non sono in grado di riconoscere le caratteristiche fisiche o psichiche del nascituro date dall’interazione fra più geni e l’ambiente. Sul liquido amniotico sono possibili altri tipi di analisi, più o meno complesse, ed è anche possibile conservare le cellule staminali amniotiche.

Un’altra tecnica prevede un prelievo di cellule fetali dai villi coriali, mediante la villocentesi. Anche in questo caso si mettono in coltura le cellule per evidenziarne la normalità, ma si tratta di cellule prelevate esternamente alla camera gestazionale (villi coriali).

In entrambi i casi il cariotipo può essere eseguito mediante tecnica tradizionale o mediante la tecnica di ibridazione genomica comparativa su microarray (Array CGH), che data la maggiore sensibilità, permette di evidenziare un maggior numero di anomalie cromosomiche.

 

Esami non invasivi

 

Queste sono due tecniche di tipo invasivo (il liquido si preleva tramite puntura in ambedue i casi), ma esistono anche tecniche non invasive. Lo sviluppo dell’ecografia ad esempio, ha permesso di mettere a punto alcune tecniche diagnostiche ad alta sensibilità, al primo trimestre quali il test combinato (bitest + translucenza nucale), il test “quadruplo” ed ultimamente lo sca test, al secondo trimestre tutti basati sulla misurazione ecografica di parametri anatomici e funzionali del feto e sul risultato di esami ematochimici. Questi test sono esami di screening, quindi non danno una risposta certa ma hanno un valore statistico (molto accurato) che può indirizzare verso esami diagnostici.

Possono rientrare nelle metodiche di diagnosi prenatale anche l’ecografia del secondo trimestre di gravidanza (detta anche ecografia morfologica) che può evidenziare eventuali malformazioni o anormalità fetali e l’ecocardiografia fetale che analizza (sempre ecograficamente) il cuore del feto non solo anatomicamente ma anche dal punto di vista dinamico-funzionale. Questa tecnica non è in grado di individuare malattie genetiche.

Di recente è stato proposto un test estremamente sensibile per le aneuploidie più comuni che va a ricercare ed analizzare il DNA fetale libero circolante nel plasma materno, comunemente noto come NIPT (non invasive prenatal test).

Il NIPT si basa sul conteggio di frammenti dei cromosomi di interesse (il 21 nel caso della sindrome di Down) presenti nel sangue materno. Pur non rientrando nei test diagnostici ma probabilistici il test è in assoluto il più accurato finora disponibile con valori che si attestano superiori al 99.99% di sensibilità per la trisomia 21 e a meno dello 0.2% di falsi positivi.

 

Attualmente in Italia sono presenti 3 tipi di test non invasivi prenatali di recente generazione.

La distinzione di questi test fatta su base tecnologica, prende in considerazione 2 parametri:

 

– Il metodo utilizzato per sequenziamento/allineamento delle sequenze.

– Il metodo di conteggio del quantitativo di DNA. Poiché è possibile rilevare aneuploidie cromosomiche in funzione del quantitativo di DNA rilevato.

 

In base al primo parametro è possibile distinguere i test tra quelli che si avvalgono di un sequenziamento massivo paralleloMPS (whole genome shotgun sequencing) e quelli che utilizzano un sequenziamento mirato (targeted sequencing). In base al secondo, invece, si distinguono i test che eseguono il conteggio (counting) di tutte le sequenze prodotte e quelli che invece eseguono un conteggio di determinati polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs).

I test che utilizzano il metodo MPS abbinato al conteggio di tutte le sequenze sono:

 

Vera Prenatal Test: eseguito da Ames Centro Polidiagnostico Strumentale (Italia), partner di Verinata-Illumina (USA) che esegue il test Verifi (non commercializzato in Italia, ma analogo al Vera Prenatal Test).

PrenatalSafe: eseguito da Genoma Group (Italia), partner di Verinata-Illumina (USA) che esegue il test Verifi (analogo al PrenatalSafe, non commercializzato in Italia).

MaterniT21 Plus: eseguito da Sequenom (USA) e il Praenatest da Lifecodexx (Germania).

Nifty: eseguito da BGI (Cina) e commercializzato in Italia come G-Test da Bioscience Institute (RSM).

Aurora: eseguito dai laboratori Illumina Inc. (USA) e distribuito da Sorgente Genetica srl (Italia).

 

I test che utilizzano il sequenziamento mirato abbinato al conteggio di tutte le sequenze:

 

Harmony: eseguito da Ariosa (USA) e commercializzato in Italia da Cam, Toma e Archimed.

 

I test che utilizzano il sequenziamento mirato abbinato al conteggio di determinati SNPs:

 

Panorama: eseguito da Natera (USA) e commercializzato in Italia da Geneticlab.

 

 

Esistono poi test in fase di sperimentazione presso l’ospedale di Pavia.

 

Per la scelta tra questi test è bene affidarsi al consiglio di un medico specialista che sia in grado di spiegare anche le differenze tra questi test (un medico genetista o, in alternativa, va benissimo anche il proprio ginecologo). Poiché si tratta di tecnologie assolutamente avanzate sono disponibili a con un prezzo importante, perciò il fattore economico ha un suo peso. Tuttavia, questi test, non sempre si equivalgono in termini di versatilità e di risultato, pertanto è possibile scegliere in funzione anche di altri parametri, per esempio:

 

– La casistica di validazione riportata in pubblicazioni scientifiche, che peraltro possono fornire altre utili informazioni tra le seguenti.

– L’incidenza dei falsi negativi (risultato negativo per feti effettivamente patologici), dei falsi positivi (risultato positivo per feti sani).

– La tempistica per il risultato del test.

– L’attendibilità del test al primo prelievo (o al contrario, l’incidenza della necessità di ri-prelievi).

Se, oltre alle principali trisomie (cromosomi 13, 18 e 21), ricercano sui cromosomi sessuali e su altre coppie di cromosomi.

Se il test dà la possibilità di analizzare anche eventuali microdelezioni cromosomiche.

Se per il test è necessario anche un campione del padre.

Vari servizi offerti da chi commercializza il test, come la consulenza genetica, l’offerta gratuita di una invasiva nel caso di un test dal risultato patologico (cariotipo classico, Array CGH), le garanzie offerte in caso di risultati discordanti ecc.

Ci sono poi parametri più tecnici su cui è possibile basare la scelta:

 

Certi test misurano in modo accurato la Frazione Fetale (cioè la percentuale di DNA del feto che circola liberamente nel plasma materno), anche se alcuni test non riportano sul referto tale dato. I test che si avvalgono della metodica di sequenziamento mirato hanno la necessità di misurare tale parametro poiché viene utilizzato per calcolare una statistica di rischio, che consiste nel risultato del test. I test che si avvolgono della metodica MPS, invece, non necessitano di quantificare la frazione fetale, poiché utilizzano come parametro limitante il numero di sequenze fetali effettivamente valutate. È comunque buona norma che questo parametro venga misurato.

Infine certe gravidanze hanno condizioni particolari per cui alcuni test non possono essere presi in considerazione, per esempio le gravidanze gemellari, o i casi in cui la gravidanza sia in seguito ad una ovodonazione.

 

 

Fecondazione

 

La fecondazione o singamia è un fenomeno della riproduzione sessuata anfigonica, che consiste nella unione di due gameti di sesso diverso e nella fusione dei loro nuclei. Il risultato della fecondazione è una nuova cellula, diversa dai gameti e unica nella sua specie, chiamata zigote. È sinonimo di concezione.

 

Fecondazione nei mammiferi

 

L’uovo, avvolto dalla zona pellucida e dal cumulo ooforo, dopo essere stato rilasciato dall’ovaio entra nella tuba di Falloppio (ovidotto) e la percorre, grazie alle cellule cigliate che ricoprono le tube. Lo spermatozoo, che ha subito la maturazione spermatica e la capacitazione (sono circa 300-500) durante il transito lungo le vie genitali femminili, incontra l’uovo nella porzione ampollare delle tube. Inizia la reazione acrosomale: la membrana acrosomale e quella plasmatica dello spermatozoo si fondono, dando origine a pori che permettono la secrezione di enzimi litici acrosomali, che digeriscono il cumulo ooforo e la zona pellucida. Cadute la membrana plasmatica e quella acrosomale esterna, lo spermatozoo in corrispondenza della parte anteriore della testa rimane avvolto solo dalla membrana acrosomale interna. A quest’ultima è associata l’acrosina un enzima che permette il superamento della membrana pellucida.

Sulla superficie dello spermatozoo sono presenti proteine dette bindine che si legano ai recettori situati sulla membrana dell’uovo, permettendo il riconoscimento specie-specifico, cioè il blocco delle fecondazioni tra specie diverse. Superata la zona pellucida lo spermatozoo viene a trovarsi fra la zona pellucida e l’ovolemma, il cosiddetto spazio perivitellino, ove entra in rapporto con la membrana plasmatica dell’ovocita in corrispondenza della regione post-acrosomale, zona nella quale le membrane dei 2 gameti iniziano a fondersi: fusione dei gameti. La penetrazione determina nell’ovocita il processo di attivazione. Appena avviene la fusione, ioni sodio migrano all’interno della cellula, provocando un cambio di polarità della membrana dell’uovo. Questo avvenimento rappresenta il blocco rapido della polispermia. La fusione stimola l’uovo a rilasciare un’ondata di calcio (proveniente dagli accumuli citoplasmatici) a partire dal sito di ingresso dello spermatozoo: reazione corticale.

A sua volta il calcio attiva lo sviluppo dell’uovo, che è fermo in metafase II, e attiva il blocco lento della polispermia, che consiste nella fusione dei granuli corticali contenuti all’interno dell’uovo con la membrana plasmatica. A questo punto la polarità della membrana torna nello stato normale. I granuli corticali contengono enzimi che rompono le connessioni tra l’uovo e la zona pellucida e rimuovono i recettori per gli spermatozoi dalla superficie dell’uovo. Altre sostanze contenute nei granuli corticali fanno entrare acqua per osmosi al di sotto della zona pellucida, staccandola dalla membrana plasmatica, e la induriscono, impedendo l’ingresso di altri spermatozoi. L’uovo crea un cono di fecondazione che circonda il nucleo dello spermatozoo, che perde la sua membrana e viene trascinato all’interno del citoplasma dell’uovo. Inoltre la cromatina si condensa e viene avvolta da membrane del Reticolo Endoplasmatico. Si forma così il pronucleo maschile, che si unisce con il pronucleo femminile, generatosi al termine della seconda divisione meiotica. Entrambi contengono numerosi nucleoli primari, e sono aploidi, ma fondendosi danno origine al nucleo diploide dello zigote, la prima cellula dell’embrione.

 

Modalità di fecondazione

 

La fecondazione può essere di due tipi: esterna e interna.

 

Fecondazione esterna: avviene solo in acqua; l’ambiente acquatico consente all’individuo di rilasciare i gameti in modo che il partner al momento opportuno sia in grado di raccoglierli. La fecondazione in ambiente acquatico richiede una notevole emissione di gameti e un dispendio di energie molto alto con conseguente rischio di insuccesso.

 

Fecondazione interna: i gameti maschili vengono rilasciati direttamente nell’apparato femminile. Basso dispendio energetico, alte probabilità di successo.

 

Fecondazione interna indiretta: è molto comune nei crostacei, negli anfibi e nei cefalopodi; le spermatofore (una sacca contenente gli spermatozoi dell’individuo) vengono asportate dal corpo del maschio e traslocate nel corpo della femmina, la quale le conserverà finché non ne avrà bisogno per la fecondazione.

 

7-104 K

 

 

Fecondazione artificiale

 

La fecondazione artificiale oppure assistita è il processo col quale si attua l’unione dei gameti artificialmente, tramite l’osservazione al microscopio.

Erroneamente si considera sinonimo di procreazione assistita, che ha semantica ben più ampia.

 

Tipologie

 

Si parla di fecondazione omologa quando il seme e l’ovulo utilizzati nella fecondazione assistita appartengono alla coppia di genitori del nascituro, il quale presenterà quindi un patrimonio genetico ereditato da coloro che intendono allevarlo. La fecondazione eterologa si verifica, invece, quando il seme oppure l’ovulo (ovodonazione) provengono da un soggetto esterno alla coppia.

Esistono banche del seme che conservano liquido seminale: i donatori lasciano campioni che vengono conservati nel centro ed utilizzati da coppie nelle quali solitamente uno dei partner ha problemi di fertilità.

Più volte è stato paventato un rischio eugenetico, in merito al fatto che coppie senza problemi di fertilità preferiscano comunque ricorrere alla fecondazione col seme di un terzo, ma la funzione ortogenetica della procreazione assistita è ancora incerta. Ugualmente, l’aborto eugenetico è vietato in Italia, dove la legge tende a non consentire la ricerca di scopi eugenetici.

 

Normativa italiana

 

La fecondazione assistita è stata oggetto negli anni di un articolato dibattito, in particolare relativo all’uso di alcune tecniche, come la fecondazione eterologa, la clonazione, la commercializzazione di embrioni, la maternità surrogata, la produzione di embrioni a fini di ricerca o di sperimentazione che suscitano controversie di tipo bioetico. In seguito a tale dibattito è stata varata la legge 19 febbraio 2004 n. 40 che ha vietato tali pratiche.

In Italia, in seguito a questo dibattito, si è tenuta nel 2005 una consultazione referendaria articolata in quattro referendum per abrogare alcuni punti dell’attuale legge sulla fecondazione, giudicata dai referendari (radicali, forze di sinistra e laiche, e alcuni esponenti, come ad esempio Gianfranco Fini, dello schieramento di centrodestra) troppo restrittiva nelle tecniche utilizzabili. L’affluenza alle urne del 25,9% non ha però permesso il raggiungimento del quorum.

Per effetto di alcune decisioni della Corte costituzionale è stata via via dichiarata l’illegittimità degli elementi essenziali della legge 40. In particolare il giudice delle leggi ha ritenuto incostituzionale il limite di produzione di tre embrioni nonché l’obbligo legislativo di “un unico e contemporaneo impianto”. La Corte, dopo aver inizialmente respinto la questione di costituzionalità sul divieto di fecondazione eterologa, ritenendo tale scelta rientrare nel legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, ha in seguito dichiarato illegittimo tale divieto con la sentenza del 9 aprile 2014.

 

Turismo riproduttivo

 

La locuzione turismo riproduttivo, di origine giornalistica, indica il fenomeno per cui cittadini di Paesi in cui vigono leggi molto restrittive in tema di fecondazione artificiale si recano in Paesi esteri, nei quali la legislazione consente terapie ed interventi di fecondazione assistita loro preclusi nei paesi d’origine.

Numerose coppie italiane si sono recate all’estero dopo l’approvazione della legge 40 nel 2004. La Spagna è una delle destinazioni privilegiate del cosiddetto turismo riproduttivo, poiché adotta una legge che consente la fecondazione assistita per le donne single, l’ovodonazione, l’embrio-donazione nonché l’anonimato dei donatori.

 

Criopreservazione

 

Frequentemente si è posto il problema della crioconservazione dei gameti o dell’embrione in azoto liquido, la cui durata non supera i cinque anni. Talvolta si uniscono in provetta seme ed ovuli dei donatori, si lascia iniziare in provetta la duplicazione dello zigote (morulazione) che successivamente si congela, per poi impiantare gli embrioni quando necessario. Il problema della soppressione – dopo cinque anni – degli embrioni congelati, dato che sono in soprannumero rispetto alle richieste, è sentito da coloro i quali considerano l’embrione come vera e propria vita umana, i cui diritti dovrebbero essere considerati sullo stesso piano degli individui già nati e dotati di personalità giuridica a tutti gli effetti.

Per ovviare a questo problema, la legge italiana ammette il congelamento solo se l’embrione è già stato richiesto da una coppia, e sarà impiantato prima dei cinque anni che lo porterebbero a morire. Il congelamento è ammesso solo per sopraggiunti problemi di salute della donna, fino ad una data in cui potranno essere di nuovo impiantati. Per ovviare ciò si è pensato all’espediente di congelare i gameti di ambo i sessi ed unirli in provetta successivamente, per generare lo zigote il giorno stesso dell’impianto nell’utero della donna richiedente: in questo modo si eviterebbe il congelamento degli embrioni. Questa tecnica tuttavia non garantisce attualmente la perfetta conservazione dei gameti.

Il tasso di recupero degli ovociti dopo scongelamento è spesso insoddisfacente; il tasso di fecondazione è basso e il tasso di gravidanze inferiore a quanto ottenuto con ovociti non congelati. Inoltre, preoccupazioni sono emerse circa la qualità degli ovociti dopo scongelamento, e conseguentemente degli embrioni, che potrebbero condurre ad un aumento delle malformazioni feto-neonatali.

Con i migliori protocolli attualmente disponibili ci si deve attendere che degli ovociti congelati il 70% sopravvive allo scongelamento, mentre un terzo verrà distrutto. Per ogni transfer embrionale effettuato con embrioni derivanti da ovociti congelati, ci si dovrà attendere circa il 15% di gravidanza, a fronte del 22% di impianto ottenuto da embrioni prodotti da ovociti freschi.

Il tasso di gravidanza per paziente da congelato è circa il 17%, mentre da ovociti freschi oltre il doppio. Nonostante i risultati non siano eccellenti con gli ovociti congelati, tuttavia la criopreservazione ovocitaria è una prospettiva interessante per quelle ragazze giovani che desiderino posporre il tempo della loro prima gravidanza.

La qualità ovocitaria è infatti il maggiore determinante della fertilità sia naturale che ottenuta con tecniche di riproduzione assistita. La qualità ovocitaria dipende strettamente dall’età della donna, e ovviamente dall’età ovocitaria. Pertanto, una donna che sa di dover ritardare la ricerca di gravidanza, potrebbe effettuare una stimolazione ormonale, il prelievo ovocitario ed il bancaggio per usi futuri, ovviamente in accordo con la legislazione nazionale riguardante queste pratiche. Inoltre, donne che a causa di malattie gravi, come il cancro, vadano incontro a terapie che hanno un impatto negativo sulle ovaie, o che debbano asportare le ovaie, possono trarre un beneficio dalle tecniche di congelamento degli ovociti.

Una tecnica recentemente introdotta è la vitrificazione, che consente di congelare istantaneamente gli ovociti con un tasso di successo considerato nettamente migliore rispetto al congelamento tradizionale (“lento”).

Durante il secondo congresso mondiale sul tema della crioconservazione degli ovociti, tenutosi a Bologna, viene dato l’annuncio della prima gravidanza ottenuta con fecondazione in vitro di ovociti crioconservati.

 

 

Procreazione assistita

 

Con l’espressione procreazione medicalmente assistita ci si riferisce a tutte le metodiche che permettono di aiutare gli individui a procreare, siano esse chirurgiche, ormonali, farmacologiche o di altro tipo.

Termine spesso confuso con questi è fecondazione assistita, che invece riguarda solo la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo.

 

I risultati della FIVET o ICSI

 

Sulla base delle ricerche e degli studi effettuati, statisticamente solo un embrione su tre può raggiungere la data del parto, e per tal motivo si possono impiantare più embrioni in utero al fine di aumentare le possibilità di ottenere almeno una gravidanza. La capacità ricettiva dell’utero umano però è limitata a un solo individuo, e quindi una gravidanza gemellare o multigemellare rappresenta sempre una situazione patologica. Gli embrioni sovrannumerari quindi potrebbero esser criopreservati per ulteriori e successive gravidanze.

La crioconservazione è però consentita per temporanea e documentata causa di forza maggiore, non prevedibile al momento della fecondazione.

Per quanto riguarda i due o tre embrioni impiantati in utero, è comunque possibile, e sempre più riproducibile, il loro co-attecchimento. In tali casi sarebbe possibile effettuare aborti a scopo preventivo, per ridurre la gravidanza multigemellare a gravidanza semplice (riduzione degli embrioni), ma anche questo è vietato dalla legge, se non in casi di pericolo per la donna.

 

La procreazione assistita nei vari ordinamenti

 

Non tutti i singoli ordinamenti giuridici nazionali hanno disciplinato in via legislativa le modalità di esercizio della procreazione assistita. Le nazioni che hanno legiferato hanno compiuto scelte disomogenee creando differenti quadri normativi, per un approfondimento specifico si vedano le voci di seguito riportate.

 

Italia

– Procreazione assistita (ordinamento civile italiano)

– Referendum abrogativi del 2005

 

 

Procreazione assistita (diritto italiano)

 

La procreazione assistita nell’ordinamento giuridico italiano, è disciplinata dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. La legge è da sempre al centro di articolati dibattiti poiché pone una serie di limiti alla procreazione assistita e alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni.

 

Il contenuto

 

La legge definisce la procreazione assistita come l’insieme degli artifici medico-chirurgici finalizzati al «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana […] qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere le cause di sterilità o di infertilità».

Tale concetto rimane volutamente ambiguo, per la finalità di comprendere metodiche innovative di là dal venire, ma proprio questa ambiguità comporta conseguenze socioeconomiche importanti, come per esempio il permettere di usufruire della copertura relativa da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

All’articolo 2 poi si afferma che lo Stato promuove «ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e dell’infertilità» e favorisce «gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne l’incidenza», ma nel rispetto di «tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito».

Alle tecniche di procreazione assistita possono accedere «coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». È vietato il ricorso a tecniche di fecondazione eterologa. È vietata l’eugenetica.

L’articolo 14 vieta la crioconservazione degli embrioni, per ridurre il soprannumero di embrioni creato in corso di procreazione assistita. La crioconservazione è però consentita per temporanea e documentata causa di forza maggiore, non prevedibile al momento della fecondazione.

 

Dibattito sulla legge e referendum

 

Le limitazioni introdotte dalla legge 40/2004 rendono minima la possibilità per i medici di adattare la tecnica secondo i casi e limitano in parte anche il successo stesso della fecondazione in vitro. Gli oppositori alla legge 40/2004 sostengono dunque che siano i medici e le donne, secondo i casi clinici e le proprie considerazioni etiche, a dover e poter decidere quali tecniche adottare.

Le restrizioni della legge hanno creato in Italia un fenomeno definito “turismo procreativo”, termine che descrive la scelta, da parte di coppie la cui condizione medica non lascia che pochissime speranze di essere risolta in Italia, a seguito delle restrizioni introdotte, di rivolgersi, per aumentare le possibilità di una gravidanza, ad ospedali e strutture sanitarie straniere ubicate in Paesi con legislazioni meno restrittive riguardo alla Fivet. Si stima, confrontando dati statistici fra il periodo 2003-2004 e 2004-2005, che questo fenomeno abbia triplicato, nel Canton Ticino, il numero di coppie italiane che si sono rivolte a istituti svizzeri per godere di servizi medici relativi a queste problematiche, non fruibili in Italia.

Nel 2004 Radicali Italiani depositò 4 referendum abrogativi in Corte di Cassazione. Vari esponenti di centro sinistra e di centro destra sottoscrissero la proposta di referendum. Nel settembre 2004 i comitati referendari consegnarono in Corte di Cassazione le firme necessarie. Il 12 e 13 giugno 2005 si tenne il voto, ma votò solo il 25,9% degli aventi diritto, perciò non fu raggiunto il quorum.

 

Giurisprudenza

 

Pronunce della Corte costituzionale

Il 1º aprile 2009, i commi 2 e 3 dell’articolo 14 sono stati dichiarati parzialmente illegittimi con la sentenza n. 151 della Corte costituzionale. In particolare, il comma 2 è stato dichiarato illegittimo laddove prevede un limite di produzione di embrioni “comunque non superiore a tre” e laddove prevede l’obbligo di “un unico e contemporaneo impianto”. Il comma 3, che prevede di poter crioconservare gli embrioni “qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”, è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede che il trasferimento di tali embrioni, “da realizzare non appena possibile”, debba essere effettuato anche senza pregiudizio per la salute della donna.

Precedentemente alla Sentenza della Corte Costituzionale N°151/09, del 1º aprile 2009, il TAR Lazio, con sentenza 398/08 (nella quale venivano sollevate le questioni di legittimità poi accolte dalla Corte Costituzionale) dichiarava anche illegittimo il divieto di diagnosi preimpianto previsto dalle Linee Guida Ministeriali (adottate con D.M 21.7.2004) a meno che tale tecnica non avesse carattere sperimentale ovvero specifica finalità eugenetica (nel senso che la tecnica fosse rivolta alla selezione razziale).

Inoltre, il 9 aprile 2014, a seguito del ricorso incidentale presentato dai tribunali di Milano, Catania e Firenze, la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità della legge 40 rispetto agli articoli 2, 3, 29, 31, 32, e 117 della costituzione e agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui vieta il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi in casi di infertilità assoluta.

Infine, l’11 novembre 2015, a seguito di un ricorso incidentale del tribunali di Napoli, i giudici della Consulta hanno dichiarato illegittimo l’articolo 13, commi 3, lettera b, e 4, che sanzionava penalmente la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche per contrasto agli articoli 3 e 32 della costituzione, rispettivamente per violazione del principio di ragionevolezza nonché del diritto al rispetto della vita privata e familiare ed inoltre, paradossalmente, per violazione del principio di cui all’art 1 della medesima legge 40 (violazione della tutela della salute dell’embrione che, senza la detta selezione di geni, si troverebbe a sviluppare gravi patologie genetiche). Resta, tuttavia, in vigore quella parte della norma che vieta la soppressione degli embrioni malati e non inutilizzabili in quanto non possono essere ridotti alla stregua di un mero materiale biologico.

 

La sentenza della Corte europea dei diritti umani

Il 28 agosto 2012 la Corte europea dei diritti umani ha bocciato la legge sull’impossibilità per una coppia fertile, ma portatrice di una malattia genetica, di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Il Governo Monti ha chiesto il 28 novembre 2012 il riesame della sentenza presso la Grande Chambre. L’11 febbraio 2013 il ricorso del governo è stato bocciato dalla corte.

 

Le sentenze del tribunale di Cagliari

Nel 2007 il tribunale di Cagliari ha autorizzato la diagnosi preimpianto nel settore pubblico.

Con un’altra sentenza, nel novembre 2012, il tribunale di Cagliari impone all’azienda sanitaria locale di eseguire la diagnosi preimpianto per una coppia portatrice di malattie genetiche.

 

 

Legge 19 febbraio 2004,n.40

 

Legge 19 febbraio 2004, n. 40

“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004

 

CAPO I
PRINCÌPI GENERALI

ART. 1.
(Finalità).

  1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.
  2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.

ART. 2.
(Interventi contro la sterilità e la infertilità).

  1. Il Ministro della salute, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, può promuovere ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e della infertilità e favorire gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne l’incidenza, può incentivare gli studi e le ricerche sulle tecniche di crioconservazione dei gameti e può altresí promuovere campagne di informazione e di prevenzione dei fenomeni della sterilità e della infertilità.
  2. Per le finalità di cui al comma 1 è autorizzata la spesa massima di 2 milioni di euro a decorrere dal 2004.
  3. All’onere derivante dall’attuazione del comma 2 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 3.
(Modifica alla legge 29 luglio 1975, n. 405).

  1. Al primo comma dell’articolo 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

“d-bis) l’informazione e l’assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;

d-ter) l’informazione sulle procedure per l’adozione e l’affidamento familiare”.

  1. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

CAPO II
ACCESSO ALLE TECNICHE

ART. 4.
(Accesso alle tecniche).

  1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.
    2. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono applicate in base ai seguenti princípi:
  2. a)gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività;
  3. b)consenso informato, da realizzare ai sensi dell’articolo 6.
  4. È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

ART. 5.
(Requisiti soggettivi).

  1. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

ART. 6.
(Consenso informato).

  1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all’articolo 5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro. Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell’uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa.
  2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell’intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate.
  3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo.
  4. Fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione.
  5. Ai richiedenti, al momento di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, devono essere esplicitate con chiarezza e mediante sottoscrizione le conseguenze giuridiche di cui all’articolo 8 e all’articolo 9 della presente legge.

ART. 7.
(Linee guida).

  1. Il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità, e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
  2. Le linee guida di cui al comma 1 sono vincolanti per tutte le strutture autorizzate.
  3. Le linee guida sono aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica, con le medesime procedure di cui al comma 1.

CAPO III
DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA TUTELA DEL NASCITURO

ART. 8.
(Stato giuridico del nato).

  1. I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6.

ART. 9.
(Divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre).

  1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice.
  2. La madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
  3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi.

CAPO IV
REGOLAMENTAZIONE DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE ALL’APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

ART. 10.
(Strutture autorizzate).

  1. Gli interventi di procreazione medicalmente assistita sono realizzati nelle strutture pubbliche e private autorizzate dalle regioni e iscritte al registro di cui all’articolo 11.
  2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definiscono con proprio atto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge:
  3. a)i requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture;
  4. b)le caratteristiche del personale delle strutture;
  5. c)i criteri per la determinazione della durata delle autorizzazioni e dei casi di revoca delle stesse;
  6. d)i criteri per lo svolgimento dei controlli sul rispetto delle disposizioni della presente legge e sul permanere dei requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture.

ART. 11.
(Registro).

  1. È istituito, con decreto del Ministro della salute, presso l’Istituto superiore di sanità, il registro nazionale delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell’applicazione delle tecniche medesime.
  2. L’iscrizione al registro di cui al comma 1 è obbligatoria.
  3. L’Istituto superiore di sanità raccoglie e diffonde, in collaborazione con gli osservatori epidemiologici regionali, le informazioni necessarie al fine di consentire la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti.
  4. L’Istituto superiore di sanità raccoglie le istanze, le informazioni, i suggerimenti, le proposte delle società scientifiche e degli utenti riguardanti la procreazione medicalmente assistita.
  5. Le strutture di cui al presente articolo sono tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all’Istituto superiore di sanità i dati necessari per le finalità indicate dall’articolo 15 nonché ogni altra informazione necessaria allo svolgimento delle funzioni di controllo e di ispezione da parte delle autorità competenti.
  6. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, determinato nella misura massima di 154.937 euro a decorrere dall’anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

CAPO V
DIVIETI E SANZIONI

ART. 12.
(Divieti generali e sanzioni).

  1. Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro.
  2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell’articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro.
  3. Per l’accertamento dei requisiti di cui al comma 2 il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti. In caso di dichiarazioni mendaci si applica l’articolo 76, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
  4. Chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all’articolo 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
  5. Chiunque a qualsiasi titolo applica tecniche di procreazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle di cui all’articolo 10 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro.
  6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.
  7. Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresí, con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione.
  8. Non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5.
  9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 7.
  10. L’autorizzazione concessa ai sensi dell’articolo 10 alla struttura al cui interno è eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente articolo è sospesa per un anno. Nell’ipotesi di più violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva l’autorizzazione può essere revocata.

CAPO VI
MISURE DI TUTELA DELL’EMBRIONE

ART. 13.
(Sperimentazione sugli embrioni umani).

  1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
  2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.
  3. Sono, comunque, vietati:
  4. a)la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;
  5. b)ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;
  6. c)interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;
  7. d)la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere.
  8. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena è aumentata. Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste dal comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste.
  9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo.

ART. 14.
(Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni).

  1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
  2. Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre.
  3. Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile.
  4. Ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.
  5. I soggetti di cui all’articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero.
  6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi precedenti è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro.
  7. È disposta la sospensione fino ad un anno dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno dei reati di cui al presente articolo.
  8. È consentita la crioconservazione dei gameti maschile e femminile, previo consenso informato e scritto.
  9. La violazione delle disposizioni di cui al comma 8 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.

CAPO VII
DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

ART. 15.
(Relazione al Parlamento).

  1. L’Istituto superiore di sanità predispone, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una relazione annuale per il Ministro della salute in base ai dati raccolti ai sensi dell’articolo 11, comma 5, sull’attività delle strutture autorizzate, con particolare riferimento alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati.
  2. Il Ministro della salute, sulla base dei dati indicati al comma 1, presenta entro il 30 giugno di ogni anno una relazione al Parlamento sull’attuazione della presente legge.

ART. 16.
(Obiezione di coscienza).

  1. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge al direttore dell’azienda unità sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate.
  2. L’obiezione può essere sempre revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al comma 1, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione agli organismi di cui al comma 1.
  3. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’intervento di procreazione medicalmente assistita e non dall’assistenza antecedente e conseguente l’intervento.

ART. 17.
(Disposizioni transitorie).

  1. Le strutture e i centri iscritti nell’elenco predisposto presso l’Istituto superiore di sanità ai sensi dell’ordinanza del Ministro della sanità del 5 marzo 1997, pubblicata nellaGazzetta Ufficialen. 55 del 7 marzo 1997, sono autorizzati ad applicare le tecniche di procreazione medicalmente assistita, nel rispetto delle disposizioni della presente legge, fino al nono mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
  2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le strutture e i centri di cui al comma 1 trasmettono al Ministero della salute un elenco contenente l’indicazione numerica degli embrioni prodotti a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita nel periodo precedente la data di entrata in vigore della presente legge, nonché, nel rispetto delle vigenti disposizioni sulla tutela della riservatezza dei dati personali, l’indicazione nominativa di coloro che hanno fatto ricorso alle tecniche medesime a seguito delle quali sono stati formati gli embrioni. La violazione della disposizione del presente comma è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 50.000 euro.
  3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, le modalità e i termini di conservazione degli embrioni di cui al comma 2.

ART. 18.
(Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita).

  1. Al fine di favorire l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte dei soggetti di cui all’articolo 5, presso il Ministero della salute è istituito il Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
  2. Per la dotazione del Fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 6,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2004.
  3. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero medesimo. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

Inseminazione artificiale

 

L’inseminazione artificiale è un’operazione medica di fecondazione tramite metodi non naturali. È impiegata in caso di sterilità maschile o di ridotta vitalità spermatica. Consiste nell’inserimento di sperma nell’apparato genitale femminile.

 

Tipologia

 

A seconda del partner

 

L’inseminazione artificiale si può distinguere in:

– “Omologa” o intraconiugale (AIH), quando lo sperma utilizzato proviene dal partner della donna, tale pratica è la forma preferita dalle donne fra quelle utilizzate per combattere l’infertilità, i cui risultati non sono costanti. Trattamento di scelta soprattutto in caso di lieve oligoastenospermia, i cui fattori prognostici positivi sono costituiti soprattutto dall’età dei soggetti coinvolti.

– “Eterologa” o extraconiugale (AID) se lo sperma appartiene ad un donatore (nei casi di sterilità maschile). Vi sono alcune ipotesi in cui diventa la scelta principale come nel caso di malattie che possono essere geneticamente trasmesse dal padre o in caso di azoospermia (mancanza di spermatozoi nel liquido seminale) secretoria, e in ogni caso di infertilità maschile irrecuperabile.

 

A seconda della sede in cui il liquido seminale viene immesso

 

A seconda della sede in cui il liquido seminale viene immesso, si possono distinguere diversi tipi di inseminazione:

 

– “Intrauterina“, (IUI) se il trapianto di spermatozoi avviene direttamente all’interno dell’utero, attualmente è quella di maggiore scelta, anche per i risultati eseguiti superiori alle altre tecniche, in particolare la tipologia intracervicale. La tecnica è stata utilizzata per la prima volta a Londra alla fine del diciottesimo secolo, viene preferita in presenza di difetti anatomici dei sessi, casi di sterilità con eziologia sconosciuta e quando vi sono particolari anticorpi “antisperma”. I risultati sembrano essere migliori combinando tale pratica con la superovulazione.

– “Intracervicale“, (ICI), di indicazione più selettiva delle altre, ovvero da preferire quando si rende impossibile la deposizione del liquido seminale nell’area dei fornici vaginali, (quota di successo 8-12%).

– “Intraperitoneale“, se viene considerata la possibilità che gli spermatozoi sopravvivano nel liquido peritoneale, rendendo condizioni preventive necessarie la normalità delle funzioni del sesso femminile, grazie alle nuove metodiche (lavaggio degli spermatozoi) sono scongiurati i rischi legati al sistema immunitario.

– “Intratubarica“, se lo sperma è immesso nelle tube, ciò viene reso possibile con cateteri e sotto una guida monitorata (attraverso la cura ecografica). Viene preferito quando la tecnica intracervicale ha mostrato continui fallimenti.

 

La scelta della sede dipende dalla qualità dello sperma utilizzato, in modo da favorirne la penetrazione nella cavità uterina. Per procedere all’inseminazione artificiale, sia la parete uterina che le tube della donna devono essere perfettamente integre.

 

Rischi

 

Fra i rischi correlati a questa pratica si ritrovano aborti , malformazioni fetali, gravidanza ectopica e ovulazione multipla, mentre l’iperstimolazione ovarica, presente raramente, può essere anche eliminata.

I nascituri che derivano da queste tecniche corrono rischi significativamente maggiori di malformazioni e malattie genetiche , scarso peso alla nascita, macrosomia fetale (probabilmente dovuto a diabete gestazionale della madre), nascita prematura , morte nei primi anni di vita .

 

Tecniche

 

Inseminazione intracervicale

 

L’inseminazione artificiale intracervicale, considerata la tecnica meno invasiva, non ha necessità di alcun trattamento preventivo atto ad aumentare la motilità degli spermatozoi (necessaria per raggiungere e fecondare l’ovocita). Viene però richiesta al soggetto donante un’astinenza sessuale di almeno 4 giorni, onde garantire una quantità di sperma sufficientemente abbondante ed una concentrazione di spermatozoi elevata. Il liquido seminale del donatore, raccolto pochi minuti prima dell’inseminazione (non oltre 20/30) mediante masturbazione manuale e successiva eiaculazione in apposito contenitore sterile, viene suddiviso in due parti: la prima (0,5 ml di liquido seminale intero) viene introdotta attraverso apposito mezzo meccanico sterile (una cannula vaginale o una pompetta urologica simile allo speculum ginecologico, in sostituzione della funzione del pene) lungo il canale cervicale. La seconda e restante parte dello sperma raccolto, più abbondante, viene depositata nella vagina. In tale procedimento, per evitare che lo sperma fuoriesca successivamente dalla vulva, si utilizza spesso una coppetta di plastica che, passate diverse ore dall’applicazione (almeno 4-6) viene rimossa. Esistono altre tecniche ma i risultati sono leggermente inferiori.

 

Inseminazione intrauterina

 

Per quanto riguarda l’inseminazione intrauterina essa si effettua solo dopo un preventivo trattamento sugli spermatozoi del donatore che avviene o tramite lavaggio con sospensione, di facile realizzazione (la cosiddetta swim up) oppure mediante separazione degli spermatozoi su determinati gradienti (i più noti sono quelli di Percoll); immediatamente dopo, quando la donna si trova in posizione ginecologica, attraverso una sonda (denominata di Kremer-Delafontaine) o con un altro dispositivo elettronico (detto di Markler) inseriti nella vagina, si inietta il liquido seminale trattato, direttamente nella cavità uterina, mediante operazione teleguidata su appositi monitor collegati alla strumentazione predetta. In alcuni casi, può essere necessario intervenire con una leggera anestesia locale.

 

Nel mondo

 

L’inseminazione artificiale e in special modo quella extraconiugale ha portato diverse opinioni nei vari paesi del mondo, sia a livello legislativo che religioso:

In Israele le tre principali religioni monoteiste mostrano pareri contrastanti con l’inseminazione artificiale da parte di donatori.

In Cina, sono state introdotte nel 2001 le linee guida per la varie tecniche di fecondazione assistita, fra cui l’inseminazione artificiale eterologa, anche se i primi casi di tale procedura si riscontrano a partire dal 1980, ma la maggioranza della popolazione mostra diffidenza.

 

 

FIVET  (fecondazione in vitro)

 

L’acronimo FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer) è utilizzato per definire una tecnica di procreazione assistita tra le più comuni: si tratta di una fecondazione in vitro dell’ovulo con successivo trasferimento dell’embrione così formato nell’utero della donna.

 

Pro e contro

                                                                               

La FIVET comporta l’ottimizzazione del processo ovarico, e non è influenzata da alcuna malformazione dell’apparato genitale femminile, fornendo i medesimi risultati in tali casi. Ha una probabilità di gravidanza di circa il 28% dei cicli ovulatori[3] femminili e tre quarti di queste arrivano al parto.

La FIVET è sempre più utilizzata per l’infertilità maschile, associata all’inseminazione artificiale con sperma di donatore. Permette di congelare gli embrioni in eccesso che, una volta soddisfatto il desiderio procreativo della coppia genitrice, possono essere donati ad altra coppia sterile.

La procedura non è esente da rischi. Le emorragie e le infezioni sono rare. La somministrazione di ormoni alla donna comporta effetti quali aumento ponderale, vertigini, nausea, vomito, dolori addominali, nel breve periodo. Può indurre una sindrome d’iperstimolazione, che necessita a volte il ricovero. Possono inoltre essere possibili effetti tumorigeni precipitosi, qualora sia presente una formazione tumorale sensibile. Nel lungo periodo si suppone possa aver ruolo nella comparsa di menopausa precoce. Infine, gli ormoni utilizzati possono dare effetti collaterali, non legati, cioè, alla risposta medesima.

Si considera l’impianto di non più di tre embrioni, per un giusto equilibrio tra probabilità di gravidanza e rischio di gravidanza multipla. Le gravidanze multiple sono il 28% delle gravidanze con FIVET e sono da considerarsi patologiche per madre e prole.

 

Procedura

 

Di seguito viene riportata una riduzione divulgativa e a carattere generale delle diverse procedure (Protocolli) adottate per la FIVET. In alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, la legge prevede delle limitazioni anche notevoli a tali procedure (per maggiori informazioni vedere il paragrafo Legge 40/2004).

 

La procedura si divide nelle seguenti fasi:

 

Alla donna vengono somministrati per via intramuscolare o sottocutanea dei farmaci (gonadotropine) finalizzati all’iperovulazione cioè allo sviluppo di più follicoli e quindi di un numero maggiore di cellule uovo (nel ciclo spontaneo ne viene prodotta di solito una sola), di modo che possa essere prelevato un numero maggiore di ovociti. La paziente viene sottoposta ad un monitoraggio teso a individuare il momento adatto a condurre a maturazione gli ovociti (ad esempio con la somministrazione di gonadotropine corioniche). Si procede quindi all’aspirazione ecoguidata dei follicoli, al fine di recuperare gli ovociti maturati.

 

– Il liquido follicolare viene esaminato in laboratorio e ne vengono recuperati gli ovociti ritenuti idonei alla fecondazione in base alla sola osservazione morfologica degli stessi, eseguita al microscopio. I gameti, cioè il seme maschile e l’ovocita della donna, vengono collocati insieme in un apposito recipiente affinché uno spermatozoo penetri nell’ovocita. Vengono a volte utilizzate delle tecniche di fertilizzazione assistita come l’ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection, o iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), tramite la quale lo spermatozoo viene iniettato direttamente nel citoplasma dell’ovocita.

 

L’embrione così formatosi viene introdotto in utero per via vaginale, normalmente entro 72 ore, nella speranza che si annidi, cioè che “metta radici” nella mucosa uterina (endometrio) e possa ricevere dalla donna alimento, calore ed energie per continuare a svilupparsi.

 

Le percentuali di successo sono influenzate da molti fattori:

 

– la risposta da parte della donna alle terapie: in molti casi non viene prodotto un numero sufficiente di follicoli ed è quindi necessario ripetere la terapia con dosaggi diversi;

– la presenza di ovociti nel liquido follicolare: in alcuni casi gli ovociti non sono maturi e fecondabili o sono assenti;

– il grado di maturazione degli ovociti prelevati;

– la fertilità della paziente, che è molto influenzata dall’età;

 

Le percentuali di successo di questa metodica sono, pertanto, estremamente variabili.

 

Per aumentare le percentuali di successo viene utilizzato il metodo di trasferire nell’utero un numero multiplo di embrioni valutato di caso in caso in modo da raggiungere un compromesso tra le probabilità di successo e il rischio di gravidanze plurigemellari; generalmente vengono trasferiti, ove siano disponibili, non più di tre embrioni. Le linee guida della ESHRE (European Society for Human Reproduction & Embryology) suggeriscono di impiantare non più di due/tre embrioni. L’introduzione della definizione di un numero massimo di embrioni impiantabili tende a prevenire gravidanze plurigemellari le quali presentano nella grande maggioranza dei casi notevoli rischi sia per la salute della donna, sia per quella dei nascituri. Prevenendo a monte l’insorgere di una gravidanza plurigemellare a seguito di una procreazione medicalmente assistita (PMA), si evita inoltre il dover ricorrere, come avveniva talvolta in passato, a tecniche d’emergenza quali la “riduzione embrionaria”, non sempre in grado né di garantire il proseguimento della gravidanza, né di salvaguardare la salute della donna. La riduzione embrionaria, solitamente eseguita nell’ottava settimana di gravidanza, prevede l’induzione della morte di un embrione (o più) iniettando direttamente nel suo cuore, attraverso la parete addominale materna, un farmaco (generalmente cloruro di potassio) che provoca l’arresto cardiaco. La morte dell’embrione dovrebbe provocarne l’eliminazione e garantire la sopravvivenza di quello (o quelli) rimasti. Tuttavia, in diversi casi, l’operazione ha condotto ad una completa interruzione della gravidanza e ad infezioni a carico della donna, con notevoli rischi sulla sua futura capacità di procreare.

Poiché l’iperstimolazione gonadotropinica che potrebbe insorgere a seguito delle tecniche tese a innescare l’iperovulazione presenta notevoli rischi per la salute della donna e il successivo prelievo di ovociti è comunque un piccolo intervento chirurgico poco gradevole, si cerca di ottenere in un solo ciclo il massimo numero possibile di ovociti, i quali vengono fecondati tutti e poi trasferiti in utero – se ve ne sono di adatti – solo alcuni, mentre – laddove ne siano disponibili – vengono conservati gli altri in vista di eventuali ulteriori tentativi. La conservazione viene effettuata congelando gli embrioni a 196 gradi centigradi sotto lo zero (crioconservazione), con uso di azoto liquido.

Fino ad oggi non sono sufficientemente sviluppate tecniche tese a congelare e quindi scongelare gli ovociti senza interferire negativamente e in modo significativo sulla loro vitalità e capacità di essere fecondati. Tecniche simili sembrano avere migliori risultati quando applicate agli embrioni e agli spermatozoi. Diversi centri medici specializzati nella ricerca sulla fecondazione assistita, pertanto, raccomandano la congelazione degli embrioni cosiddetti “soprannumerari”.

 

Diagnosi genetica Pre-impianto

 

La Diagnosi genetica Pre-Impianto, indicata anche con l’acronimo DPI o, più frequentemente, con PGD, acronimo della forma inglese Preimplantation Genetic Diagnosis, è una nuova metodologia complementare a quelle di diagnosi prenatale che permette d’identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni ottenuti in vitro, in fasi molto precoci di sviluppo e prima dell’impianto in utero. La sua indicazione elettiva è nella selezione di embrioni sani tra quelli ottenuti dall’unione dei gameti di coppie portatrici di malattie genetiche, in modo da impiantare solo quelli sani. Si tenga però presente che, come si vedrà più avanti, esiste un margine d’incertezza del 7%

 

Biopsia dell’embrione

La biopsia dell’embrione è la forma più classica di diagnosi pre-impianto (o DPI) viene effettuata da tre a cinque giorni dopo la penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita. La DPI viene effettuata di preferenza su embrioni composti da otto cellule, condizione raggiunta normalmente a partire dal terzo giorno. Una o due di queste cellule, chiamate blastomeri, possono essere rimosse con scarsi rischi relativi al possibile sviluppo futuro dell’embrione.

 

Biopsia del globulo polare

Questa metodologia di diagnosi preimpianto prevede il prelievo del materiale genetico contenuto nei globuli polari. I globuli polari sono due, il primo viene espulso dall’ovocita prima della sua fecondazione mentre il secondo globulo polare viene espulso dall’ovocita già fecondato. Nell’intervallo fra le due espulsioni si procede all’apertura meccanica, chimica o via laser della zona pellucida ed all’aspirazione dei 2 globuli polari che successivamente verranno utilizzati per la diagnosi. Questa metodologia ha il vantaggio di essere molto meno invasiva della biopsia dell’embrione (non vengono prelevate cellule embrionali) ma fornisce risultati meno attendibili della biopsia

L’accuratezza nel risultato diagnostico offerto da queste tecniche è pari al 93% dei casi nelle quali sono applicate, con errori di “falsi positivi” (viene diagnosticata una malattia che non c’è) e “falsi negativi” (non viene evidenziata una patologia presente). A parte i possibili errori nella preparazione del campione da analizzare, può infatti verificarsi il fenomeno del mosaicismo, in cui solo alcune delle cellule dell’embrione presentano difetti cromosomici. In questi casi analizzare cellule sane o difettose è un evento casuale e l’instaurarsi o meno del difetto genetico nella crescita dell’embrione è altrettanto casuale. Per tale motivo la diagnosi pre-impianto non può essere considerata a pieno titolo un’alternativa alla diagnostica prenatale classica (villocentesi o amniocentesi).

 

Complementarità della diagnosi preimpianto con altre tecniche

La sola osservazione dell’embrione al microscopio non è in grado di evidenziare eventuali malformazioni genetiche del nascituro: al microscopio si può solo analizzare l’aspetto morfologico (forma, grandezza, struttura) dell’embrione e quindi se esso è vivo o morto e comunque se è vitale, cioè se è sviluppato in misura tale da poter essere in grado di impiantarsi in utero. Tuttavia, test genetici su campioni di dimensioni microscopiche (come il gamete) sono invasivi e potenzialmente distruttivi dell’embrione. Per tali ragioni il test genetico non è adatto alla diagnosi di malformazioni genetiche del tipo della sindrome di Down, dovuta non a una mancanza o a un errore nei cromosomi (evidenziabili rapidamente con un test sul DNA del gamete), ma a difetti riguardanti le cellule totipotenti, che nascono dalla duplicazione per meiosi dell’embrione, non evidenziabili, appunto, da esami sull’embrione. Tali difetti, per la definizione stessa di totipotenza, possono verificarsi in tutto il periodo che intercorre fra la formazione dell’embrione e la specializzazione delle cellule (quando le cellule iniziano a specializzarsi il rischio di errori nella duplicazione meiotica cala sensibilmente). Per tali malattie, dunque, sono efficaci altri tipi di esame, come l’amniocentesi e la villocentesi.

 

Considerazioni di natura etica

 

La fecondazione in vitro ha dato origine ad un ampio dibattito sul suo utilizzo e su alcuni aspetti etici. Tra i punti messi in discussione vi sono:

 

– l’alto numero di embrioni scartati, e distrutti;

– il possibile utilizzo degli embrioni congelati per fini diversi da quello procreativo, quali la ricerca scientifica;

– la possibilità di effettuare a priori una selezione degli embrioni per fini diversi da quelli strettamente legati alle condizioni di salute dell’embrione stesso; questa diagnosi pre-impianto è stata assimilata, da alcuni avversari di questo metodo, alla selezione eugenetica;

– “la dissociazione della procreazione dal contesto integralmente personale dell’atto coniugale”;

– l’utilizzo della fecondazione eterologa ovvero quella fatta ricorrendo a gameti esterni (ossia da un donatore) e non all’uso esclusivo di gameti della coppia che ricorre alle tecniche (PAU omologa) e la possibilità di una più o meno estesa alterazione[senza fonte] della paternità e della maternità;

– l’utilizzo della fecondazione in vitro in caso di coppie omosessuali o di madri single, utilizzo che viene considerato inopportuno da alcune correnti politiche e religiose e viceversa visto come una opportunità di maternità da altre posizioni di pensiero.

 

Legislazione italiana

 

Nel 2004 in Italia è stata introdotta la legge 40 del 2004, che, sulla base di considerazioni mediche ed etiche, ha limitato diversi aspetti della FIVET. In particolare, prima della sentenza della Corte Costituzionale 151/2009, non era consentita la produzioni di embrioni in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque non superiore a tre. La Corte Costituzionale ha, nella sentenza citata, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 14, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”. Secondo la Corte la previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo sia della ragionevolezza che dell’eguaglianza, poiché il legislatore riserva lo stesso trattamento a situazioni dissimili, e con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna, ed eventualmente del feto, ad esso connesso. Il limite della produzione di embrioni in numero non superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque non superiore a tre è stato pertanto abrogato. È inoltre vietata la crioconservazione (tranne in casi non prevedibili al momento della fecondazione), la soppressione di embrioni, la diagnosi pre-impianto dell’embrione e la fecondazione eterologa. I genitori possono essere informati sullo stato di salute degli embrioni prodotti.

Sulla base delle ricerche e degli studi effettuati, statisticamente solo un embrione su tre raggiunge la data del parto[senza fonte]; per tale motivo si possono impiantare più embrioni in utero, così da esser sicuri di ottenere almeno una gravidanza. È noto da tempo, tuttavia, che le gravidanze pluri-gemellari comportano un alto rischio di complicanze sia per la madre che per i neonati, portando anche a ripercussioni a lungo termine sulla salute dei nuovi nati. Gli embrioni sovrannumerari quindi potrebbero esser crioconservati per ulteriori e successive gravidanze, ma la legge italiana lo vieta.

La questione “dei tre ovociti” è stata mal interpretata in seno al referendum abrogativo. La legge implica la scelta di affidarsi alla “selezione naturale”, introducendo più embrioni nell’utero. Tale eccesso, rispetto alla capacità ricettiva dell’utero si considera valido per un numero massimo di tre embrioni, mentre gli embrioni eccedenti potrebbero essere congelati per un ciclo ulteriore (fatto attualmente non legale).

Per quanto riguarda i due o tre embrioni impiantati in utero, è comunque possibile, e sempre più riproducibile, il loro co-attecchimento. Aumenta così il rischio di gravidanza multipla, considerata sempre patologica, che comporta maggiori rischi per la donna e per i nascituri. La legge 40 vieta esplicitamente la possibilità di riduzione embrionaria di gravidanze plurime, se non nell’ambito della legge 22 maggio 1978, n. 194 (aborto fino alla dodicesima settimana di sviluppo del feto o dopo i primi novanta giorni in caso di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna).

 

 

Surrogazione di maternità

 

La surrogazione di maternità o gestazione per altri o gestazione d’appoggio, talvolta denominata in modo apertamente critico “utero in affitto“, è il ruolo che nella fecondazione assistita è proprio della donna (madre portante) che assuma l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto di una persona o una coppia sterile, alla quale si impegna a consegnare il nascituro. La fecondazione può essere effettuata con seme e ovuli sia della coppia sterile che di donatori e donatrici attraverso concepimento in vitro.

La surrogazione in pratica si ha quando una donna si presta a portare a termine un’intera gravidanza, fino al parto, su commissione di single o coppie sterili.

 

Aspetti legali

 

Esiste, in molti paesi, il concetto legale per cui la donna che partorisce un bambino ne è considerata la madre a tutti gli effetti, e gli accordi prenatali sulla futura nascita sono considerati del tutto nulli (come, ad esempio, in Italia), anche se alcuni (come ad esempio il Canada) ne proibiscono solo la forma commerciale, ammettendone quella “altruista”. Altri ancora, invece, permettono entrambe le forme (Belgio, Georgia, Ucraina).

 

Italia 

Attualmente in Italia la surrogazione di maternità costituisce una pratica medica vietata. I cittadini italiani tuttavia possono accedere a questa tecnica negli Stati ove è ammessa ed in seguito ricondurre in Italia i figli nati. Le norme italiane consentono il riconoscimento automatico dei genitori biologici ed ammettono quindi l’iscrizione anagrafica del certificato di nascita del neonato.

Non sussistendo nell’ordinamento italiano una norma che permetta il riconoscimento automatico del rapporto di genitorialità, sotto il profilo legale si pone il problema del riconoscimento (in Italia) del legame familiare tra il figlio ed il genitore non biologico (o genitore sociale); situazione che si verifica allorché l’ovulo o lo spetmatozoo siano donati da un soggetto terzo e, quindi, al programma genitoriale partecipi un genitore biologicamente estraneo al neonato. L’ipotesi è tipica delle coppie eterosessuali, quando la madre non è in grado di fornire l’ovuolo alla donna portatrice, e delle coppie omosessuali.

In assenza di una disciplina positiva che permetta l’instaurarsi del legame parentale tra il neonato ed il genitore sociale, alcune famiglie si sono rivolte alla magistratura evidenzianedo come l’attuale quadro normativo precluda il diritto del minore a vedere riconosciuto il suo rapporto con il genitore sociale.

 

Stati Uniti

Negli Stati Uniti sono otto gli stati in cui è legale ricorrere alla surrogazione di maternità. Lo Stato americano che ha regolamentato per primo questo processo è quello della California.

 

India

In India il processo di gestazione surrogata è legale, ed ha un costo che oscilla tra i 20.000 e i 40.000 dollari. La legislazione di questo paese è molto flessibile dal 2002, ed è nel 2008 che, con il caso Manji, la Corte Suprema indiana ha ufficializzato la legalità della maternità commerciale. Tuttavia, dal luglio 2013 è proibito nel paese ricorrere alla maternità surrogata per coppie omosessuali, single stranieri e coppie provenienti da paesi in cui questa pratica non è permessa.

 

Ucraina

La maternità surrogata, inclusa quella commerciale, è pienamente legale in Ucraina. Il nuovo codice della Famiglia (art. 123, punto 2) dispone che, nei casi in cui l’embrione generato da due coniugi viene trasferito ad un’altra donna, sono comunque i due coniugi i genitori riconosciuti del bambino. Il punto 3 dell’articolo permette inoltre ai coniugi di ricorrere alla fecondazione in vitro con ovociti donati. In qualunque caso, avendo dato il loro consenso all’applicazione delle tecniche di riproduzione assistita, è riconosciuta ai coniugi la piena potestà genitoriale sui bambini nati da queste tecniche. L’aspetto medico di questa questione, invece, viene regolato dall’Ordine del Ministero della Salute ucraino nº 771, del 23/12/2008.

In seguito alla nascita del bambino, la coppia ottiene il certificato ucraino di nascita, nel quale i due risultano il padre e la madre. Nei casi in cui si è fatto ricorso ad una donazione, non assume alcuna importanza la relazione genetica “incompleta” con il nascituro. Il paese, inoltre, è una delle mete più gettonate per le coppie italiane che decidono di ricorrere alla surrogazione di maternità, dati i suoi costi piuttosto accessibili, rispetto a quelli americani.

 

Grecia

Nel 2002 è stata introdotta in Grecia la legge 3089/2002 riguardante la riproduzione assistita, che incorporava regole specifiche per permettere la surrogata, dando a questa pratica una legittimazione legale.

Le leggi greche, comunque, permettono questa tecnica solamente nel caso in cui non ci sia alcun tipo di vincolo genetico tra la gestante e gli embrioni, e ne garantiscono l’accesso solo a donne impossibilitate ad una gestazione autonoma, con prove mediche che lo confermino. È infine richiesto che entrambe le donne implicate nel processo siano residenti in Grecia.

 

Russia

La maternità surrogata, incluso quella commerciale, è legale in Russia, ed accessibile praticamente a tutti i maggiorenni che desiderano diventare genitori.

In Russia il primo programma di surrogazione di maternità è stato condotto nel 1995 presso il Centro per la fecondazione in vitro, insieme all’Istituto di Ostetricia e Ginecologia di San Pietroburgo. In generale, i russi vedono di buon occhio la maternità surrogata: i recenti casi di una celebre cantante e una famosa donna d’affari che hanno fatto ricorso apertamente alla surrogazione di maternità hanno ricevuto una copertura mediatica favorevole.

Le trascrizioni nei registri dei bambini nati attraverso la surrogazione di maternità sono regolamentate dal Codice della Famiglia (articoli 51 e 52) e dalla Legge degli Atti dello Stato Civile (articolo 16). La madre surrogata deve dare il suo consenso affinché il nascituro venga registrato. Per questo processo non è necessaria né una risoluzione giuridica, né un processo di adozione. Il nome della madre surrogata, comunque, non compare mai nel certificato di nascita. Non è obbligatorio che il bambino abbia un vincolo genetico con almeno uno dei genitori richiedenti. I bambini nati dalla surrogazione di maternità per richiesta di persone single o coppie di fatto eterosessuali vengono iscritti per analogia della legge (articolo 5 del Codice della Famiglia), anche se potrebbe essere necessaria una risoluzione giuridica.

La legislazione liberale, in questo modo, ha convertito la Russia in una destinazione attraente per i “turisti riproduttivi”, che viaggiano all’estero alla ricerca di tecniche non disponibili nei propri paesi d’origine. In Russia, gli stranieri godono degli stessi diritti sulla riproduzione assistita dei russi. Entro i tre giorni successivi al parto, la coppia committente riceve il certificato di nascita russo, nel quale i due risultano come padre e madre.

 

Spagna

In Spagna i contratti prenatali sulla gestazione e la prole sono considerati nulli, per cui i nascituri sono legalmente figli dei genitori biologici, secondo l’articolo 10 della legge 14/2006, del 26 maggio, sulle tecniche di riproduzione assistita.Tuttavia, in Spagna, l’affidamento di un bambino nato mediante surrogazione di maternità a favore dei genitori che ne hanno fatto richiesta è possibile, se si possiedono una serie di requisiti (stabiliti dai provvedimenti della Direzione Generale dei Registri e del Notariato del 5 ottobre 2010 sul regime di registrazione della filiazione dei nascituri tramite sostituzione gestazionale).

 

Regno Unito

Nonostante la diffusa credenza secondo cui nel Regno Unito la surrogazione di maternità sia legale, in realtà il quadro giuridico che era stato iniziato nel 1985 e che è poi andato raffinandosi in diverse modificazioni regola soltanto il trasferimento di paternità in un tempo successivo alla nascita. Praticamente, è solo dopo la nascita del bambino che i coniugi che vogliono diventare genitori possono far richiesta di adozione. I requisiti richiesti sono i seguenti:

 

I richiedenti devono essere sposati, in un’unione civile o conviventi (incluse coppie dello stesso sesso). I single non possono farne richiesta.

La gravidanza non può essere dovuta ad un rapporto sessuale.

Il bambino deve vivere con i genitori che ne fanno richiesta fin dalla sua nascita.

Nel momento in cui viene avanzata la richiesta di trasferimento, almeno uno dei due genitori deve avere il domicilio nel Regno Unito.

I richiedenti devono avere almeno una connessione genetica parziale con il bambino.

La richiesta deve essere realizzata entro i 6 mesi che seguono la nascita del bambino.

La gestante non può dare il suo consenso al trasferimento fino ad almeno 6 settimane dopo la nascita.

Si deve dimostrare che non c’è stato nessun interscambio di denaro al di fuori delle ragionevoli spese del processo.

 

 

 

ICSI

 

L’ICSI ovvero iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (in inglese Intracytoplasmatic Sperm Injection, pronunciato “eeksee”) è una tecnica di PMA (procreazione medicalmente assistita) che consiste nella microiniezione di un singolo spermatozoo, o di un suo precursore, direttamente nel citoplasma ovocitario.

 

Differenze con altre procedure

 

Simile per procedimento alla FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento embrionario), ma con la sostanziale differenza che nel caso dell’ICSI si superano gli ostacoli della fecondazione dell’ovocita. Infatti, mentre nella FIVET l’ovocita viene messo a contatto con gli spermatozoi, di cui uno penetra spontaneamente in vitro nell’ovocita, nella ICSI lo spermatozoo è micro-iniettato, sotto guida microscopica, all’interno dell’ovocita, mediante un macchinario chiamato micromanipolatore.

Con l’inseminazione subzonale (SUZI) messa a punto nel 1989 da Simon Fishel , Severino Antinori e Franco Lisi, si feconda circa il 17% contro il 53% circa dell’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo. La SUZI può essere considerata la progenitrice della ICSI, e la prima volta in cui si inseriva uno spermatozoo all’interno di un ovocita.

 

Cenni storici

 

Venne ideata e introdotta nel 1992 allora vi erano altre tecniche simili ma osservando i buoni successi di fertilizzazione riscontrata nell’ICSI le altre furono abbandonate.Trovò quindi largo utilizzo nella pratica clinica.

 

Diffusione

 

Si ritiene che nel 2003 siano nati circa il 3% dei bambini della Scandinavia e l’1,7% dei bambini francesi con tale tecnica.

 

Indicazioni

 

Tale procedura è indicata nei casi:

 

Grave oligoastenoteratospermia

FIVET provata con esiti negativi per quanto riguarda la fertilizzazione

Sterilità immunologica

Utilizzo di spermatozoi scongelati;

Azoospermia ostruttiva e secretiva (spermatozoi testicolari o epididimari);

 

Vantaggi

 

Grazie a tale tecnica anche gravi condizioni di infertilità risultano essere trattabili, anche quei casi in cui il numero e la mobilità degli spermatozoi risultano a livelli minimali.

 

 

Rischi

 

Molti studi si sono fatti per comprendere l’incidenza di malformazioni al momento della nascita, esse comprendono difetti cardiovascolari, urogenitali (come ipogonadismo)[8], muscoloscheletrici, ma vi sono opinioni contrastanti.

 

Legislazione italiana

 

La ICSI è una tecnica di Secondo livello, ai sensi della legge 40/2004, che ne regola con le sue linee guida, l’applicazione presso Centri autorizzati ed iscritti nel Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita presso l’Istituto Superiore di Sanità.

 

 

Fisiopatologia della riproduzione

 

La fisiopatologia della riproduzione umana è una scienza che studia i processi biologici che sottendono la salute riproduttiva della coppia e, più in particolare, dei loro organi riproduttivi, e delle patologie ad essi correlati.

Essa coglie i disturbi di tali processi, quando generati da malfunzioni o da tratti di degenerazione d’organo od apparato. Tratta questi disturbi con strumenti medici o chirurgici che mirano al recupero della funzione, o alla rigenerazione del tratto degenerato.

La fisiopatologia riproduttiva si occupa di ogni malattia, disturbo e problema clinico ginecologico ed ostetrico, ma con un profilo di intervento mirato esattamente e prevalentemente alla causa del disturbo e non solo al suo effetto.

Essa si occupa di temi di Chirurgia Speciale Pelvica, prediligendo interventi chirurgici conservativi ed in soli casi di assoluta necessità demolitori, privilegiando approcci endoscopici.

Essa si occupa dei problemi della endometriosi, del dolore mestruale e pelvico, dei sanguinamenti uterini abnormi, della abortività spontanea e ricorrente, della sterilità di coppia, della procreazione medicalmente assistita, dei disturbi del ciclo mestruale in epoca adolescenziale, riproduttiva e perimenopausale. Si occupa inoltre di temi di contraccezione e di genetica preconcezionale, preimpianto-embrionale, e preconcezionale in genere.

 

 

Aborto

 

L’aborto è l’interruzione della gravidanza, con la rimozione del feto o dell’embrione dall’utero. Un aborto che avviene spontaneamente è anche conosciuto come aborto spontaneo. Un aborto può essere anche causato intenzionalmente e viene quindi chiamato un aborto indotto. La parola aborto è spesso usata, erronamente, per indicare solo gli aborti indotti. Una procedura simile effettuata quando il feto potrebbe potenzialmente sopravvivere al di fuori dell’utero è nota come un “interruzione ritardata di gravidanza”.

I metodi moderni di aborto fanno ricorso ai farmaci o agli interventi chirurgici. Durante il primo trimestre di gravidanza, il mifepristone e le prostaglandine sono efficaci come la chirurgia.Sebbene l’utilizzo dei farmaci può funzionare anche nel secondo trimestre, la chirurgia ha un minor rischio di effetti collaterali. Contraccettivi, come ad esempio la pillola anticoncezionale o i dispositivi intrauterini possono essere utilizzati subito dopo un aborto. Quando consentito dalla legge locale, nel mondo sviluppato, l’aborto è stato a lungo una delle procedure più sicure nel campo della medicina. Aborti non complicati non causano problemi mentali o fisici a lungo termine. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che sia disponibile, per tutte le donne, ricorrere ad aborti legali e sicuri.[9] Ogni anno gli aborti svolti in contesti non sicuri causano 47.000 morti e 5 milioni di ricoveri ospedalieri.

Circa 44 milioni di aborti si verificano ogni anno nel mondo e poco meno della metà non sono eseguiti in modo sicuro. I tassi di aborto sono cambiati poco tra il 2003 e il 2008 tuttavia, nei decenni precedenti erano sensibilmente grazie ad una migliore educazione sulla pianificazione familiare e sulla contraccezione. Al 2008, il 40% delle donne di tutto il mondo aveva accesso all’aborto legale senza limiti per quanto riguarda la ragione. Diversi governi hanno posto limiti differenti sulla fase della gravidanza in cui l’aborto sia permesso.

Sin dai tempi antichi, gli aborti sono stati realizzati utilizzando erbe medicinali, strumenti taglienti, con la forza o attraverso altri metodi tradizionali. Le leggi sull’aborto e le visioni culturali o religiose su tale pratica sono diverse in tutto il mondo. In alcune zone l’aborto è legale solo in casi speciali, come lo stupro, malformazioni del feto, povertà, rischio per la salute della madre o incesto. In molti luoghi c’è un dibattito sulle questioni morali, etiche e giuridiche dell’aborto. Coloro che sono contro l’aborto spesso sostengono che l’embrione o il feto sia un essere umano con il diritto alla vita e quindi possono paragonarlo ad un omicidio. Coloro che favoriscono la legalità dell’aborto ritengono che una donna abbia il diritto di prendere decisioni riguardo al proprio corpo.

 

Tipi

 

Aborto indotto

Ogni anno si verificano circa 205 milioni di gravidanze. Più di un terzo di esse sono indesiderate e circa un quinto finisce in un aborto indotto. La maggior parte degli aborti, infatti, risultano da gravidanze indesiderate. Nel Regno Unito, solo l’1%-2% degli aborti vengono eseguti a causa di problemi genetici nel feto. Una gravidanza può essere intenzionalmente interrotta in diversi modi e la scelta dipende spesso dall’età gestazionale dell’embrione o del feto, che aumenta di dimensioni con il progredire della gravidanza. Alcune procedure specifiche possono essere scelte per via delle leggi in vigore, per la disponibilità locale o per la preferenza personale della donna.

I motivi per procurare aborti indotti sono tipicamente terapeutici o elettivi. Un aborto è clinicamente indicato come un aborto terapeutico quando viene eseguito per salvare la vita della donna incinta; per prevenire danni alla sua salute fisica o psichica; per interrompere una gravidanza in cui vi è una forte probabilità che il bambino avrà un alto rischio di morbilità o mortalità; o per ridurre selettivamente il numero di feti in modo da ridurre i rischi per la salute associati con una gravidanza multipla. Un aborto è indicato come un aborto elettivo o volontario quando viene effettuata su richiesta della donna per ragioni non mediche. A volte vi è una certa confusione sul il termine “elettivo”, poiché con “chirurgia elettiva” generalmente ci si riferisce a tutta la chirurgia programmata, sia clinicamente necessarie o meno.

 

Aborto spontaneo

Per aborto spontaneo si intende l’espulsione involontaria di un embrione o del feto prima della 24° settimana di gestazione. Una gravidanza che termina prima della 37° settimane di gestazione con la nascita di un bambino vivo è conosciuto come un “parto prematuro” o “nascita pretermine“. Quando un feto muore nell’utero durante il parto, di solito è definito “nato morto”. Le nascite premature e i nati morti non sono generalmente considerati aborti anche se l’utilizzo di questi termini a volte può sovrapporsi.

Solo dal 30% al 50% dei concepimeti progredisce oltre al primo trimestre di gravidanza. La stragrande maggioranza di quelli che non progrediscono vengono persi prima che la donna ne sia a conoscenza, e molte gravidanze vengono perse prima che i medici siano in grado di rilevare la presenza dell’embrione. Tra il 15% e il 30% delle gravidanze conosciute termina con un aborto spontaneo clinicamente evidente, a seconda della età e della salute della donna. L’80% di questi aborti spontanei accade nel primo trimestre.

La causa più comune di aborto spontaneo durante il primo trimestre sono le anomalie cromosomiche dell’embrione o del feto, che rappresentano almeno il 50% dei casi.Altre cause comprendono la presenza di una malattia vascolare (come il lupus eritematoso), il diabete, problemi ormonali, infezioni e anomalie dell’utero. L’avanzare dell’età materna e la storia di precedenti aborti spontanei nelle donne sono i due fattori principali associati ad un maggior rischio di aborto spontaneo. Un aborto spontaneo può anche essere causato da traumi accidentali o intenzionali da da stress; causare un aborto spontaneo è considerato un aborto indotto e un feticidio.

 

Metodi

 

Aborto farmacologico

 

L’aborto farmacologico (chiamato anche aborto chimico) è quello indotto dai farmaci abortivi. L’aborto farmacologico è diventato un metodo alternativo grazie alla disponibilità, fin dal 1970, di analoghi delle prostaglandine e dell’anti-progestinico mifepristone (noto anche come RU-486) ​​nel 1980.

Durante il primo trimestre per l’aborto farmacologico viene comunemente utilizzato il mifepristone in combinazione con un analogo della prostaglandina (misoprostolo o gemeprost) fino a 9 settimane di età gestazionale, mentre il metotrexato in combinazione con una prostaglandina analogica fino a 7 settimane di gestazione o un analogo della prostaglandina da solo. Combinazione di mifepristone e misoprostolo sono più efficaci in età gestazionali successive.

Negli aborti precoci, fino alla 7° settimana di gestazione, l’aborto farmacologico ottenuto mediante un regime di combinazione di mifepristone e misoprostol è considerato più efficace dell’aborto chirurgico (aspirazione a vuoto), soprattutto quando la pratica clinica non comprende un’ispezione dettagliata del tessuto aspirato. Il mifepristone, seguito 24-48 ore dopo dal misoprostolo orale o vaginale risulta il 98% efficace fino alla 9° settimana di gestazione. Se l’aborto farmacologico non riesce, è necessario ricorrere all’aborto chirurgico per completare la procedura.

Gli aborti farmacologici rappresentano la maggior parte degli aborti effettuati prima della 9° settimana di gestazione in Gran Bretagna, in Francia, in Svizzera e nei paesi nordici. Negli Stati Uniti, la percentuale degli aborti farmacologici precoci è di gran lunga inferiore.

L’aborto farmacologico con mifepristone in combinazione con un analogo della prostaglandina è il metodo più frequentemente utilizzato durante il secondo trimestre di gravidanza in Canada, nella maggior parte dell’Europa, in Cina e in India, al contrari degli Stati Uniti, dove il 96% sono eseguite chirurgicamente mediante dilatazione ed evacuazione.

 

Aborto chirurgico

 

Dalla 15° settimana di gestazione la suzione-aspirazione e l’aspirazione a vuoto sono i metodi chirurgici più utilizzati nei casi di aborto indotto. L’aspirazione manuale a vuoto (MVA) consiste nell’estrarre il feto o l’embrione, la placenta e le membrane, mediante aspirazione utilizzando una siringa manuale, mentre l’aspirazione a vuoto elettrica (EVA) utilizza una pompa alimentata da elettricità. Queste tecniche differiscono nel meccanismo utilizzato per applicare il vuoto e possono essere utilizzate in modo precoce anche se è necessaria la dilatazione cervicale.

La MVA, nota anche come “mini-aspirazione” e “estrazione mestruale”, può essere usata anche durante una gravidanza molto precoce e non richiede la dilatazione della cervice. La dilatazione e raschiamento, il secondo metodo più comune per l’aborto chirurgico, è una procedura ginecologica normalmente eseguita per una varietà di ragioni, tra cui l’esame del rivestimento uterino per eventuali malignità, ricerca di sanguinamento anormale e aborto. Per raschiamento ci si riferisce alla pulizia delle pareti dell’utero con una curette. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda questa procedura solo quando l’MVA non è disponibile.

Dalla 15° settimana di gestazione fino a circa la 26° è necessario utilizzare altre tecniche. La dilatazione con evacuazione consiste nell’aprire la cervice dell’utero e nel successivo svuotamento mediante strumenti chirurgici e di aspirazione. Dopo la 16° settimana, gli aborti possono anche essere eseguiti mediante dilatazione intatta ed estrazione, che richiede la decompressione chirurgica della testa del feto prima dell’evacuazione. Tale procedura è talvolta chiamata “aborto con nascita parziale” ed è stata bandita dal governo federale degli Stati Uniti.

Nel terzo trimestre di gravidanza l’aborto indotto può essere eseguito chirurgicamente mediante dilatazione intatta e estrazione o isterectomia. L’isterotomia è una procedura abortiva simile a un taglio cesareo, sebbene richieda un’incisione più piccola, e viene eseguita in anestesia generale.

Le procedure del primo trimestre possono generalmente essere eseguite in anestesia locale, mentre quelle eseguibili nel secondo trimestre di gravidanza possono richiedere una sedazione profonda o l’anestesia generale.

 

Aborto con induzione del travaglio

 

Nei paesi privi delle capacità mediche necessarie per eseguire la dilatazione e l’estrazione o dove vi è una preferenza da parte dei professionisti, l’aborto può essere indotto con l’induzione del travaglio e quindi inducendo la morte del feto, se necessario. Questo è talvolta chiamato “aborto spontaneo indotto”.

Pochi e limitati dati sono disponibili per confrontare questo metodo con la dilatazione ed estrazione. A differenza delle altre tecniche, l’induzione del travaglio dopo la 18° settimana può essere complicata dal verificarsi di una breve sopravvivenza del feto, che può essere legalmente considerato come nato vivo. Per questo motivo, questa tecnica può comportare, in alcuni paesi, delle problematiche legali.

 

Altri metodi

 

Storicamente, una serie di erbe avevano la fama di possedere proprietà abortive e venivano utilizzate nella medicina popolare: il tanaceto, la mentuccia, l’actaea racemosa e l’ormai estinto silfio. L’uso delle erbe poteva causare gravi, anche letali, effetti collaterali, come l’insufficienza multiorgano e non è consigliato dai medici.

Talvolta l’aborto viene tentato procurando traumi all’addome. Ciò potrebbe portare a gravi lesioni interne, senza necessariamente riuscire a indurre l’aborto spontaneo. Nel sud est asiatico vi è una antica tradizione di tentare l’aborto attraverso un forte massaggio addominale. Uno dei bassorilievi che decorano la tempio di Angkor Wat in Cambogia raffigura un demone che esegue un tale aborto su una donna che è stata inviata agli inferi.

Pericolosi metodi di aborto autoidotto registrati includono l’abuso di misoprostol e l’inserimento di strumenti non chirurgici, come aghi da maglia e appendiabiti, nell’utero. Questi metodi si vedono raramente nei paesi sviluppati, dove l’aborto chirurgico è legale e disponibile.

 

Sicurezza

 

I rischi per la salute in seguito ad un aborto dipendono dal fatto che la procedura venga eseguita in modo sicuro o meno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce aborti non sicuri quelli effettuati da persone non qualificate, con attrezzature pericolose o in strutture prive di norme igieniche. Gli aborti legali effettuati nel mondo sviluppato sono tra le procedure più sicure nel campo della medicina. Negli Stati Uniti il rischio di mortalità materna in seguito ad aborto è dello 0,7 per 100.000 procedure, rendendo l’aborto di circa 13 volte più sicuro per le donne rispetto al parto (8,8 morti materne ogni 100.000 nati vivi). Questo è equivalente al rischio di morte nel guidare un autoveicolo per circa 1200 km. Il rischio di mortalità aumenta all’aumentare dell’età gestazionale, ma rimane inferiore a quello del parto con una gestazione di almeno 21 settimane.

L’aspirazione a vuoto, eseguita nel primo trimestre, è il metodo più sicuro di aborto chirurgico e può essere eseguito in un ambulatorio di assistenza primaria, in una clinica per aborti o in ospedale. Le complicanze sono rare e possono includere la perforazione uterina, infezioni pelviche e il mantenimento di prodotti del concepimento e ciò richiede una seconda procedura di aspirazione. Un trattamento antibiotico preventivo (con doxiciclina o metronidazolo) viene generalmente somministrato prima dell’aborto elettivo, ritenendo che possa ridurre sostanzialmente il rischio di una infezione uterina postoperatoria. Le possibili complicazioni dopo l’aborto al secondo trimestre sono simili a quelli che possono accadere al primo trimestre e dipendono anche del metodo scelto.

C’è poca differenza in termini di sicurezza ed efficacia tra l’aborto farmacologico effettuato con un regime combinato di mifepristone e misoprostol e l’aborto chirurgico (aspirazione a vuoto) nelle procedure effettuate tra il primo trimestre e la 9° settimana di gestazione. L’aborto farmacologico con il misoprostol prostaglandina analogico da solo è meno efficace e più doloroso.

Alcuni presunti rischi sono promossi principalmente da gruppi anti-aborto, ma mancano di un supporto scientifico. Ad esempio, la correlazione tra l’aborto indotto e il tumore alla mammella è stata studiata ampiamente e i principali organi di medici e scientifici (tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’US National Cancer Institute, l’American Cancer Society, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e l’American Congress of Obstetricians and Gynecologists) hanno concluso che essa non esiste, anche se tale legame continua ad essere studiato e promosso dai gruppi anti-aborto.

 

Salute mentale

 

Non vi è alcuna relazione tra gli aborti indotti e problemi di salute mentale diversi da quelli che si verificano in seguito a qualsiasi gravidanza indesiderata. L’American Psychological Association ha concluso che l’aborto non è una minaccia per la salute mentale quando effettuato nel primo trimestre e le donne che ricorrono ad esso non hanno maggiori probabilità di avere problemi rispetto a quelle che portano a termine una gravidanza indesiderata. Alcuni studi hanno dimostrato effetti negativi sulla salute mentale nelle donne che scelgono di abortire dopo il primo trimestre a causa di anomalie fetali, tuttavia sarebbero necessarie ricerche più rigorose oer arrivare ad una conclusione più certa. Alcuni effetti psicologici negativi sono stati denuciati da sostenitori anti-aborto come una condizione separata chiamata “sindrome post-aborto”, tuttavia essa non è riconosciuta da alcuna organizzazione medica o psicologica.

 

Aborti non sicuri

 

Talvolta le donne che intendono interrompere la gravidanza ricorrono a metodi non sicuri, in particolare quando la disponibilità dell’aborto legale è limitata. Esse possono tentare metodi di auto-interruzione o affidarsi a persone prive della sufficiente formazione medica o a strutture non adeguate. Ciò può portare a gravi complicazioni, come l’aborto incompleto, la sepsi, emorragie e danni agli organi interni.

Gli aborti non sicuri sono una delle principali cause di lesioni e di morte tra le donne di tutto il mondo. Anche se i dati sono imprecisi, si stima che circa 20 milioni di aborti non sicuri vengano eseguiti ogni anno e il 97% di essi si verifica nei paesi in via di sviluppo. Si ritiene che tali pratiche portano a milioni di casi di complicazioni. Le stime della mortalità variano secondo la metodologia e variano da 37.000 a 70.000 negli ultimi dieci anni; le morti dovute ad aborti non sicuri rappresentano circa il 13% di tutte le morti materne. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che la mortalità sia tuttavia in calo dagli anni 1990. Per ridurre il numero di aborti non sicuri, le organizzazioni di sanità pubblica sostengono genralmente la legalizzazione dell’aborto, la formazione di personale medico e l’accesso ai servizi sanitari. Tuttavia la Dichiarazione di Dublino sulla Salute Materna, firmata nel 2012, nota che “il divieto dell’aborto non influisce in alcun modo con la disponibilità di cure ottimali per le donne in gravidanza”.

La legalità o meno dell’aborto è un fattore importante per la sua sicurezza. I paesi che possiedono leggi restrittive hanno tassi significativamente più alti di aborti a rischio (e tassi complessivi di aborto maggiori) rispetto a quelli in cui l’aborto è legale e disponibile. Ad esempio, la legalizzazione avvenuta 1996 in Sud Africa ha avuto un impatto immediatamente positivo sulla frequenza delle complicanze legate all’aborto, con i decessi legati a questa pratica diminuiti di oltre il 90%. È stato stimato che l’incidenza degli aborti a rischio potrebbe essere ridotta fino al 75% (da 20 a 5 milioni all’anno) se fossero disponibili globalmente moderni servizi di pianificazione familiare e di salute materna.

Solo il 40% delle donne di tutto il mondo può usufruire di aborti terapeutici e elettivi entro i limiti della gestazione, mentre un ulteriore 35% ha accesso all’aborto legale se soddisfano determinati criteri fisici, mentali o socioeconomici. Mentre raramente gli aborti sicuri comportano una mortalità quelli non eseguiti in sicurezza provocano 70.000 decessi e 5 milioni di disabilità all’anno. Le complicanze degli aborti a rischio rappresentano circa un ottavo delle morti materne in tutto il mondo, anche se questo dato varia da paese a paese. La sterilità conseguente ad un aborto non sicuro coinvolge circa 24 milioni di donne. Il tasso di aborti non sicuri è aumentato dal 44% al 49% tra il 1995 e il 2008.

 

Sopravvivenza fetale

 

Anche se è molto raro, le donne che abortiscono dopo la 18° settimana di gravidanza a volte danno vita a un feto che può sopravvivere per breve tempo (ciò si verifica in 1 caso su 250, dallo 0% al 13% o dallo 0% al 50%, a seconda del metodo e della settimana di gravidanza). Dopo 22 settimane la sopravvivenza a lungo termine è possibile.

Se il personale medico osserva segni di vita, può essere necessario fornire assistenza: manovre di emergenza se il bambino presenta una buona possibilità di sopravvivere o altrimenti un trattamento palliativo. Al fine di evitare ciò, si consiglia, dopo la 20°-21° settimana di getazione, di provvedere ad una morte fetale indotta prima di procedere con l’interruzione di gravidanza.

Secondo Berlingieri, le tecniche disponbili nei primi anni’90 consentivano la sopravvivenza del concepito a partire dalla ventesima settimana di gravidanza, in una piccola percentuale di casi. Nella maggior parte dei casi i bimbi nati prima della 28ª settimana presentano comunque almeno nel 50% dei casi disabilità neurosensoriali; è ragionevole pensare che fra quelli nati prima della 24ª settimana le percentuali siano ancora più elevate, per questo alcuni considerano accanimento terapeutico l’applicazione di tecniche di rianimazione in questi casi.

Una review clinica pubblicata da Pediatrics, relativa alle linee-guida operative proposte dalle società scientifiche di pediatria e neonatologia di diversi paesi, evidenzia come il consenso clinico individui l’opportunità di un approccio terapeutico diversificato nelle scelte cliniche relative ai nati significativamente pretermine, tenendo in debito conto gli elevati rischi di disabilità permanente. Il consenso è orientato a una definizione della ragionevole utilità clinica dell’intervento terapeutico intensivistico per i nati pretermine post-25ª settimana; a una decisione caso per caso per i nati alla 23ª o 24ª settimana; per semplici cure palliative per i nati sotto la 22ª. Secondo i dati usati per la definizione del Consensus sull’assistenza ai nati pretermine estremi del 2002, l’American Academy of Pediatrics individua un tasso di mortalità tra il 70 e l’89% già per i nati alla 23ª settimana, e non riferisce come significativi i dati statistici di sopravvivenza per i nati dalla 22ª settimana o precedenti.

 

Incidenza

 

Vi sono due metodi comunemente utilizzati per misurare l’incidenza dell’aborto:

Tasso di aborto – numero di aborti per 1.000 donne tra i 15 ei 44 anni di età

Percentuale di aborto – numero di aborti su 100 gravidanze note

Nei paesi dove l’aborto è illegale o è accompagnato dua una forte stigmatizzazione sociale, i dati non sono affidabili. Per questo motivo, le stime di incidenza dell’aborto devono essere effettuate con una intrinseca incertezza.

Il numero di aborti effettuati in tutto il mondo sembra essere rimasto stabile negli ultimi anni, con una stima di 41,6 milioni di aborti nel 2003 e 43,8 milioni nel 2008. Si ritiene che il tasso di aborto a livello mondiale sia del 28 per 1.000 donne, anche se vi è una differenza tra paesi sviluppati e in via di sviluppo i cui valori sono rispettivamente di 24 per 1000 e 29 per 1000. Lo stesso studio epidemiologico del 2012 ha indicato che nel 2008 la percentuale di aborto stimata di gravidanze conosciute era al 21% a livello mondiale, con il 26% nei paesi sviluppati e il 20% nei paesi più poveri.

In media, l’incidenza dell’aborto risulta simile tra i paesi con leggi restrittive e quelli con maggiore libertà. Tuttavia, la presenza di leggi restrittive è correlata con un aumento della percentuale di aborti che vengono eseguiti in situazioni di scarsa sicurezza. Il tasso di aborti a rischio nei paesi in via di sviluppo è in parte attribuibile alla mancanza di accesso ai moderni contraccettivi; secondo il Guttmacher Institute, l’accesso globale ai contraccettivi si tradurrebbe in circa 14,5 milioni di aborti non sicuri in meno e 38.000 decessi in meno per la stessa causa ogni anno in tutto il mondo.

Il tasso di aborti indotti legali varia ampiamente in tutto il mondo. Secondo il rapporto del Guttmacher Institute, nel 2008, esso variava da 7 per 1.000 donne (in Germania e Svizzera) a 30 per 1000 donne (in Estonia) per i paesi in cui vi sono statistiche. La percentuale di gravidanze che si è conclusa con l’aborto indotto variava da circa il 10% (in Israele, Paesi Bassi e Svizzera) al 30% (in Estonia), anche se potrebbero essereci dei picchi al 36% in Ungheria e Romania, le cui statistiche sono state tuttavia ritenute incomplete.

Il tasso di aborto può anche essere espresso come il numero medio di aborti che una donna intraprende durante i suoi anni riproduttivi; in questo caso si parla di “tasso di aborto totale”.

 

Età gestazionale e metodo

 

I tassi di aborto variano anche a seconda della fase della gravidanza e del metodo praticato. Nel 2003, gli statunitensi Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) hanno rilevato che il 26% degli aborti negli Stati Uniti erano stati effettuati prima della 6° settimana di gestazione, il 18% alla 7° settimana, il 15% all’8° settimana, il 18% tra la 9° e la 10° settimana, il 9,7% tra la 11° e la 12° settimane, il 6,2% tra la 13° e la 15° settimane, il 4,1% tra la 16° e la 20° settimana e l’1,4% oltre la 21° settimana. Il 90,9% di queste sono state effettuate mediante “curettage” (aspirazione, dilatazione e raschiamento, dilatazione ed evacuazione), del 7,7% per via farmacologica (mifepristone), lo 0,4% per “instillazione intrauterina” (salina o prostaglandina) e l’1,0% con altre procedure (comprese l’isterotomia e l’isterectomia). Secondo il CDC, a causa delle difficoltà di raccolta dei dati essi devono essere consderati come provvisori e alcune morti fetali segnalate ad oltre la 20° settimana potrebbero essere in realtà decessi naturali erroneamente classificati come aborti.

Nel 2006, in Inghilterra e nel Galles l’89% delle cessazioni di gravidanza si verificano prima della 12° settimana di gestazione, il 9% tra la 13° e la 19° settimana e l’1,5% oltre la 20° settimana. Il 64% delle procedure si è svolta tramite aspirazione a vuoto, il 6% per mezzo di dilatazione ed evacuazione, mentre il restante 30% tramite farmaci. Vi è un numero maggiore di aborti durante il secondo trimestre nei paesi in via di sviluppo come la Cina, l’India e il Vietnam, rispetto ai paesi sviluppati.

 

 Aborto spontaneo

 

L’aborto spontaneo è molto più frequente di quanto comunemente si ritenga: i più recenti studi indicano che circa un terzo delle gravidanze termina con un aborto spontaneo. In particolare, Lohstroh, Overstreet, e Stewart hanno rilevato che la somma degli aborti spontanei precoci, che avvengono prima della sesta settimana dall’ultima mestruazione, e degli aborti spontanei successivi alla sesta settimana, fornisce una percentuale totale di aborti spontanei del 35,5% su 100 fecondazioni rilevate. Altre ricerche confermano il fatto che il livello percentuale di abortività spontanea delle gravidanze, rilevate mediante i livelli ematici di hCG (gonadotropina corionica umana, ormone prodotto in gravidanza), oscilla tra il 31% e il 35,5%. Il periodo a maggior rischio è il primo trimestre. Si parla di probabilità, di stima epidemiologica, visto che molte interruzioni spontanee di gravidanza passano inosservate, senza che assumano una dignità clinica.

L’aborto ripetuto (due casi di aborto) interessa il 3% delle coppie che cercano di avere figli. L’1% delle coppie ha avuto almeno tre casi di aborto consecutivi (aborto ricorrente). Nel 12% dei casi clinicamente riconosciuti la madre ha meno di 20 anni, nel 27% più di quaranta.

 

Motivazioni

 

Motivi personali

 

I motivi per cui le donne hanno aborti sono diversi e variano in tutto il mondo.

Alcune delle motivazioni più frequnti percui si sceglie l’aborto, è quello di rinviare la gravidanza a un momento più adatto o per concentrare energie e risorse sui bambini già presenti. Spesso è la conseguenza del non potersi permettere un figlio, sia in termini di costi diretti o per la perdita di reddito, per la mancanza di sostegno da parte del padre, incapacità di permettersi altri figli, desiderio di fornire istruzione per i figli già esistenti, problemi di relazione con il partner, ritenersi troppo giovani per avere un figlio, la disoccupazione e di non essere disposte a crescere un bambino concepito a seguito di uno stupro o di un incesto.

 

Motivi sociali

Alcuni aborti sono il risultato di pressioni sociali, come la preferenza per i bambini di un dato sesso o razza, disapprovazione della maternità, stigmatizzazione delle persone con disabilità, insufficiente sostegno economico per le famiglie, mancanza di accesso o rifiuto di metodi contraccettivi o interventi verso il controllo demografico (come la politica del figlio unico in Cina). Questi fattori possono a volte portare ad un aborto obbligatorio o selettivo.

Uno studio statunitense del 2002 ha concluso che circa la metà delle donne che hanno abortito, utilizzava una forma di contraccezione al momento in cui è rimasta incinta. È stato rilevato uno scorretto utilizzo da parte della metà di coloro che usano il preservativo e nei tre quarti quelli che utilizzano la pillola anticoncezionale. Il Guttmacher Institute stima che “la maggior parte degli aborti negli Stati Uniti sono ottenuti da donne appartenenti alle minoranze” perché esse “hanno tassi molto più elevati di gravidanze indesiderate”.

 

Salute materna e fetale

Un ulteriore motivo che può spingere ad eseguire un aborto è l’eventuale presenza di un rischio per la salute materna o fetale; ciò è citato come la ragione principale, in alcuni paesi, in oltre un terzo dei casi.

Il giudizio medico deve essere formulato tenendo conto di diversi fattori: fisici, emotivi, psicologici, familiari e anagrafici per il benessere della donna e del feto.

Tra il 1962 e il 1965 vi fu un’epidemia di rosolia che causò la nascita di 15.000 bambini con gravi difetti. Nel 1967, l’American Medical Association ha sostenuto pubblicamente la liberalizzazione delle leggi sull’aborto. Un sondaggio del National Opinion Research Center effettuato nel 1965 ha mostrato che il 73% degli intervistati sosteneva l’aborto quando la vita delle madri era a rischio, il 57% quando erano presenti difetti nel nascituro e il 59% per le gravidanze derivanti da stupro o incesto.

 

Tumore

 

La probablità di sviluppare un tumore durante la gravidanza è dello 0,02%-1% e, in molti casi, la presenza di una neoplasia nel corpo della madre porta alla considerazione dell’aborto al fine di proteggere la sua vita o per via del danno potenziale che può verificarsi al feto durante il trattamento antitumorale. Ciò è particolarmente vero nel caso di tumore del collo dell’utero che si verifica in 1 ogni 2000-13000 gravidanze e per la quale l’inizio del trattamento “non può coesistere con la conservazione della vita fetale (a meno che non si scelga la chemioterapia neoadiuvante).” Tumori cervicali in una fase molto precoce (stadio I e II bis) possono essere trattati con l’isterectomia radicale e la dissezione linfonodale pelvica, con la radioterapia o con entrambe, mentre le fasi successive sono trattati con la radioterapia. La chemioterapia può essere utilizzata contemporaneamente. Il trattamento del tumore alla mammella durante la gravidanza comporta anch’essa delle considerazioni sul feto, poiché la lumpectomia è sconsigliato in favore della mastectomia radicale, a meno che la gravidanza non sia al termine e che quindi permetta una terapia di follow-up mediate radioterapia da somministrare dopo la nascita.

L’esposizione a un singolo farmaco chemioterapico è stimata per causare un rischio del 7,5%-17% di effetti teratogeni sul feto, con probabilità più elevate per trattamenti farmacologici multipli. Un trattamento con più di 40 Gy di radiazioni ionizzanti solitamente provoca un aborto spontaneo. L’esposizione a dosi molto più basse durante il primo trimestre, soprattutto dalla 8° alla 15° settimane di sviluppo, può causare ritardo mentale o microcefalia mentre l’esposizione in fasi successive può causare una ridotta crescita intrauterina e peso inferiore alla media alla nascita. Esposizioni sopra 0,005-0,025 Gy possono essere causa di una riduzione del quoziente d’intelligenza dipendente dalla dose.

Anche il parto può mettere a rischio la vita della madre. Un parto vaginale può comportare la diffusione delle cellule neoplastiche nei vasi linfatici e quindi favorire lo sviluppo di metastasi, mentre il parto cesareo può causare un ritardo nell’inizio del trattamento non chirurgico.

 

Dibattito sull’aborto

 

L’aborto indotto è da lungo tempo fonte di notevoli dibattiti, polemiche e attivismo. L’idea di ciascun individuo per quanto riguarda le complesse questioni etiche, morali, filosofiche, biologiche e giuridiche che circondano tale pratica, è spesso legata al suo sistema di valori. Le opinioni sull’aborto possono essere descritte come una combinazione di credenze sui diritti del feto, sulla la moralità, sul potere delle autorità governative nelle politiche pubbliche e credenze sui diritti e le responsabilità della donna che intraprende questa scelta. Anche l’etica religiosa ha un forte influsso, sia sul parere personale, che sul dibattito circa l’aborto.

Sia nel dibattito pubblico che privato, gli argomenti presentati a favore o contro, si concentrano sulla legalità dell’aborto e sulle eventuali leggi che lo possano limitare, nonché sulla liceità morale. La Dichiarazione dell’Associazione medica mondiale su Therapeutic aborto nota che “le circostanze che portano gli interessi di una madre in conflitto con gli interessi del suo bambino non ancora nato, creano un dilemma e sollevano la questione se o meno la gravidanza possa essere deliberatamente terminata”. I dibattiti sull’aborto, in particolare relativi alle leggi, sono spesso guidato da gruppi che sostengono una di queste due posizioni. I gruppi anti-aborto che chiedono maggiori restrizioni legali, tra cui divieto totale, il più delle volte si definiscono “pro-life”, mentre i gruppi per il diritto all’aborto e che quindi sono contro tali restrizioni, si definiscono “pro-choice”. In generale, la posizione dei primi sostiene che un feto umano è una persona umana e con il diritto di vivere, considerando l’aborto moralmente come un omicidio. La posizione dei secondi sostiene che una donna possieda certi diritti riproduttivi, in particolare la scelta o meno di portare a termine una gravidanza.

 

Aborto selettivo del sesso

 

L’ecografia e l’amniocentesi permettono ai genitori di conoscere il sesso del nascituro prima del parto. Lo sviluppo di queste tecnologie hanno portato agli aborti selettivi in base al sesso. È più frequente il ricorso all’aborto selettivo quando il feto è femmina.

In alcuni paesi, l’aborto selettivo del sesso è parzialmente responsabile per le disparità evidenti tra i tassi di nascita dei figli maschi e femmine. La preferenza per i figli maschi è riportato in molte zone dell’Asia e l’aborto utilizzato per limitare le nascite femminili è praticato a Taiwan, in Corea del Sud, in India e in Cina. Questa deviazione dai tassi di natalità standard di maschi e femmine si verifica nonostante il fatto che il paese in questione abbia ufficialmente bandito l’aborto selettivo del sesso. In Cina, la preferenza tradizionale per il figlio maschio è stata aggravata dalla politica del figlio unico emanata nel 1979.

Molti paesi hanno adottato misure legislative per ridurre l’incidenza dell’aborto selettivo per il sesso. In occasione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, nel 1994 oltre 180 stati membri hanno convenuto di eliminare “ogni forma di discriminazione nei confronti delle bambine e le cause della preferenza per il figlio maschio”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF, insieme ad altre agenzie delle Nazioni Unite, hanno scoperto che le misure per ridurre l’accesso all’aborto sono molto meno efficaci nel ridurre gli aborti selettivi rispetto a misure volte a ridurre la disuguaglianza di genere.

 

La violenza contro l’aborto

 

In un certo numero di casi, i medici che praticano gli aborti e le strutture ospedaliere dedicate, sono state sottoposte a varie forme di violenza, tra cui omicidio, tentato omicidio, sequestro di persona, stalking, aggressione, incendio doloso e scoppio di ordigni. La violenza contro l’aborto è classificata da fonti governative e accademiche, come terrorismo.Tuttavia, solo una piccola parte di coloro che si oppongono all’aborto commette atti violenti.

Negli Stati Uniti, quattro medici che eseguivano aborti sono stati assassinati: David Gunn (1993), John Britton (1994), Barnett Slepian (1998) e George Tiller (2009). Inoltre, negli Stati Uniti e in Australia, sono stati assassinati altro personale presso le cliniche abortiste, tra cui addetti alla reception e le guardie di sicurezza . Ferimenti e tentati omicidi hanno avuto luogo negli Stati Uniti e in Canada. Si sono verificati centinaia di attentati, incendi, attacchi con l’acido, invasioni e episodi di vandalismo contro chi aveva a che fare con gli aborti. Tra gli autori più famosi di violenze anti-aborto Eric Rudolph e Paul Jennings Hill, la prima persona a essere giustiziata negli Stati Uniti per l’omicidio di un medico abortista.

Alcuni paesi hanno promosso una protezione giuridica per l’accesso all’aborto. Queste leggi in genere cercano di proteggere le cliniche abortiste da ostruzionismo, atti di vandalismo, picchettaggi e altre azioni analoghe o per proteggere le donne e i dipendenti di tali centri da minacce e molestie.

Molto più frequente rispetto alla fisica vi è la pressione psicologica. Nel 2003, Chris Danze fondò organizzazioni pro-vita in tutto il Texas per impedire la costruzione di un centro di Planned Parenthood ad Austin. Le organizzazioni rilasciarono on-line informazioni personali su coloro che erano coinvolti con la costruzione, facendogli fino a 1200 telefonate al giorno e contattando le loro chiese. Alcuni manifestanti hanno fotografato le donne che si recavano nella clinica.

 

8-276 K

 

9-314 K

 

 

 

Poliabortività

 

La poliabortività è l’occorrenza di tre o più aborti spontanei consecutivi prima della ventesima settimana di gravidanza, ognuno con feto del peso di meno di 500 grammi. La definizione di aborto spontaneo fornita dall’Istituto Nazionale di Statistica implica invece una interruzione involontaria della gravidanza prima delle 25 settimane e 5 giorni. Le definizioni adottate dai vari Paesi non sono omogenee e questo pone problematiche di confronti internazionali.

 

Le statistiche dell’aborto spontaneo

 

Nel corso del tempo si è assistito ad un incremento dei casi di aborto spontaneo in Italia (dati ISTAT): da 56.157 casi del 1982 si è arrivati a 75.457 nel 2004 (ultimo dato disponibile), pari ad una crescita del 34%. Si parla quindi di 130 casi di aborto spontaneo ogni 1000 nati vivi.

 

Il fenomeno è evidentemente legato all’età femminile: valori più elevati si hanno in corrispondenza di donne meno giovani (da 35 anni in poi), pur evidenziandosi un problema tra le adolescenti.

 

La rilevazione dei casi di aborto spontaneo effettuata dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) consente di tenere sotto controllo un fenomeno che è in crescita nel tempo, seppur lievemente. Tra i vari fattori che concorrono a determinare elevati livelli di abortività spontanea, l’età della donna è certamente tra i più significativi.

 

In Italia i casi di aborto spontaneo vengono individuati come interruzioni involontarie di gravidanza avvenute entro il 180º giorno compiuto di amenorrea (ovvero 25 settimane e 5 giorni). I casi di espulsione del feto dopo il 180º giorno vengono registrati come casi di nati morti.

 

Le statistiche ufficiali rilevano i casi per i quali si sia reso necessario il ricovero in istituti di cura sia pubblici che privati. Quindi quelli non soggetti a ricovero, quali ad esempio gli AS che si risolvono senza intervento del medico o che necessitano di sole cure ambulatoriali, non vengono pertanto rilevati.

 

Alcuni studi hanno ricostruito il rischio di aborto spontaneo per generazioni e si è osservato che le donne delle giovani generazioni hanno un rischio maggiore rispetto alle donne della stessa età e con lo stesso numero di gravidanze delle generazioni più vecchie. Questo può essere imputato a diversi fattori di tipo genetico, ambientale, oppure legati agli stili di vita, ma solo con indagini ad hoc si riesce a valutare l’impatto di questi fattori sul rischio di aborto spontaneo.

 

Considerando comunque solo l’età e il numero di gravidanze precedenti come fattori legati al rischio di aborto spontaneo, è stato rilevato che la figura più a rischio è la donna primipara tardiva, ovvero oltre i 35 anni.

 

La diagnosi

 

Sul versante femminile, gli esami preconcezionali sono utili in preparazione della successiva gravidanza.

 

Gli esami per la tiroide vengono spesso richiesti, ma la loro utilità è dubbia, così come dubbia è la esecuzione di esami ormonali in genere. Di questa controversia sono testimoni le Linee-guida delle due specialità. Infatti l’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) pone l’attenzione sulla importanza di testare l’attività tiroidea nella gravidanza iniziale e consiglia esami specifici per la prevenzione dell’aborto. Al contrario l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) degli Stati Uniti ritiene del tutto inutile tale atteggiamento poiché l’aborto da distiroidismo o da tiroidite subclinica non è dimostrato da nessuno studio prospettico randomizzato . In definitiva le più accreditate matanalisi affermano che l’”apparente” coinvolgimento dell’attività autoimmunitaria tiroidea nell’aborto, può dipendere da condizioni diverse che nulla hanno a che vedere con un relazione causa-effetto. La brillante revue metanalitica di Prummel (Eur J Endocrinol. 2004 Jun;150:751-5) elenca tre possibilità. La prima ipotesi è che gli autoanticorpi tiroidei siano solo un marker di una malattia autoimmunitaria più importante che interessa l’impianto embrionario. Alternativamente l’associazione tra aborto e autoimmunità tiroidea può essere spiegata dal fatto che tale condizione è in genere riscontrata nelle donne più attempate (quindi più soggette ad abortire). L’ultima ipotesi prende in considerazione la possibilità che alla base degli aborti potrebbe esservi una moderata insufficienza tiroidea. Tale assunto, come emerge dalla matanalisi, è fragile e minoritario e si basa solo sul fatto che alcuni studi, non prospettici e non randomizzati, riferiscono che, nelle donne eutiroidee anticorpi- positivi, ma con elevati valori di TSH, il numero degli aborti è lievemente superiore rispetto alle donne eutiroidee anticorpo-negative. L’analisi però mostra solo una modesta significatività (P = .005) non tale, quindi, da fornire certezze in tal senso.

 

Benché molto utilizzati, di nessuna reale utilità, ai fini della prevenzione degli aborti ricorrenti, risultano i dosaggi dell’omocistenemia e dei fattori trombofilici ereditari in soggetti asintomatici. La valutazione completa di tutti i fattori trombofilici potrebbe non solo non essere utile ma indurre in errore a causa dei fisiologici cambiamenti in gravidanza come la riduzione della proteina C ed S . Le Società italiane di Trombosi ed Emostasi insieme alla Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia hanno condiviso uno “statment” che cerca di limitarte l’improprio uso di anticoagulanti in gravidanze che non hanno reali problemi trombofilici. La presenza di anticorpi antifosfolipidi invece può essere utile, in quanto in caso di positività, si può instaurare una efficace terapia preventiva. A tal fine è utile ricordare che, secondo tutte le Linee-guida nazionali ed internazionali si intende “trombofilica” una gestante che presenta esclusivamente le seguenti caratteristiche: 1) ha avuto episodio di trombosi venosa 2) presenta anticorpi anti-fosfolipidi ad elevato titolo; 3) presenta una marcata riduzione delle proteine S e C (al di fuori della gravidanza); 4) presenta bassi valori di Antitrombina 3º; 5) presenta alti valori di omocisteina (già al di fuori della gravidanza); 6) presenta mutazioni complete (omozigosi o doppie terozigosi) dei fattori 5º e 2º di Leiden. Altri dosaggi e ricerche non sono utili.

 

La mappa cromosomica di entrambi i partner ed eventuali altri esami immunologici possono essere utili.

 

Altre condizioni correggibili sono le malformazioni uterine, in particolare l’utero setto, e la presenza di formazioni quali i fibromi sottomucosi nella cavità uterina. Queste possono essere sospettate mediante l’ecografia transvaginale, ma diagnosticate esclusivamente con la isterosonografia o meglio con l’isteroscopia diagnostica ambulatoriale.

 

Esami infettivologici a livello della vagina e del collo uterino possono essere utili, ma ciò che è più importante è l’effettuazione di tali esami precocemente in gravidanza.

 

Sul versante maschile, può essere utile la valutazione della morfologia spermatozoaria e della frammentazione del DNA degli spermatozoi; tuttavia, sulla efficacia della terapia per correggere la condizione ci sono dubbi.

 

Le terapie della poliabortività

 

Le terapie della poliabortività possono ridurre il ripetersi di un nuovo episodio di aborto spontaneo.

 

La prima e più importante terapia si basa sul riconoscimento e sulla correzione (oive possibile) delle malconformazioni uteriune ed in particolare dell’utero sub-setto o setto.

 

In caso di accertata trombofilia, il trattamento con aspirina a basse dosi ed eparine, soprattutto a basso peso molecolare, si è diffuso notevolmente anche a livello dell’ostetrico di base. Secondo alcuni studi retrospettivi non controllati (Livello di evidenza IIb o III e di conseguenza raccomandazione B) parrebbe che la profilassi riduce l’aborto. Questo però non può essere affermato con certezza poiché, al giorno di oggi, gli unici studi Prospettici randomizzati (che hanno livello di evidenza Ia e che pertanto rappresentano Raccomandazione A) non confermano tali risultati. Gli studi in questione (studio canadese HepASA Trial del 2008 e 2009 e analisi COCHRANE 2005 e 2009) dimostrano che il trattamento con aspirina e/o eparina nei soggetti trombofilici da mutazioni genetiche (detta trombofilia primitiva) non riduce il rischio di aborto. Pertanto, allo stato attuale dell’Arte, non si raccomanda il loro impiego profilattico in tali casi, mentre si segnala la possibilità di complicanze dovute al loro impiego non giustificato. Si deve ricordare che le linee guida nazionali ed internazionali (Linee-guida SISET e SISET-SIGO e Royal College) ritengono però necessario l’uso di eparina come profilassi nei soggetti con anamnesi positiva di trombosi e bassi valori di Antitrombina III. Sempre secondo le stesse Linee-guida la profilassi va inoltre praticata nei soggetti trombofilici con mutazioni in omozigosi dopo il parto, fino a 6 settimane da esso.

 

Il progesterone somministrato per varie vie può essere utile, ma gli studi che sostengono il suo uso nella poliabortività sono molto vecchi. L’utilizzo di progesterone in gravidanza si può associare ad ipospadia nel feto maschio.

 

Le terapie con ormoni tiroidei per quanto utili al benessere della gravidanza non hanno nessun dimostrato effetto sulla riuduzione della incidenza di aborto. Anche se, da una parte, “aneddoticamente” si sente spesso che, donne con pregressi aborti, trattate con tiroxina, portano avanti una gravidanza, dall’altra parte altrettanti aneddoti ci descrivono delusioni ed insuccessi. Nessuno studio randomizzato e controllato ha preso in considerazione tali popolazioni ed ha provato una qualche validità della terapia nei soggetti con tiroidite sub-clinica. Si tratta solo di analisi retrospettive (bassa evidenza). Al contrario, molti studi in ambito ginecologico, come quelli prospettici sui programmi di fertilizzazione in vitro, dimostrano che non vi è alcuna differenza, in termini di aborti o insuccessi gestazionali tra popolazione con tiroidite autoimmune subclinica in trattamento o meno (Negro et al., 2005 Hum Reprod 20: 1529-1533).

 

L’uso di farmaci agenti sul sistema immunitario (immunoglobuline, cortisonici) non mostra benefici ben documentati, ed l’uso di questi farmaci è legato a notevoli effetti collaterali. In particolare, in assoluto ossequio alle attuali linee-guida internazionali, l’uso del progesterone non deve essere più prescritto, salvo casi in trattamento cronico per patologie preesistenti, poiché i suoi danni sono certamente superiori ai benefici (Raccomandazione A)

 

La presenza di anomalie dei cromosomi in uno o entrambi i genitori può trovare una soluzione nella fecondazione in vitro con diagnosi sugli embrioni prima dell’impianto (diagnosi preimpianto): ciò consente di “selezionare” gli embrioni che appaiono bilanciati sul piano cromosomico e trasferire solo quelli “normali”. La metodica, applicata alla poliabortività, non è ancora validata sul piano clinico.

 

La presenza di difetti uterini o corpi estranei a livello endometriale può essere diagnosticato con l’isteroscopia e corretto con l’isteroscopia operativa, in anestesia.

 

 

Sterilità

 

L’OMS definisce sterilità la situazione di una coppia in cui uno o entrambi i membri di una coppia sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile il concepimento. Questo si verifica in caso di azoospermia, di menopausa precoce o di assenza di utero congenita.

 

Si parla, invece, di infertilità quando una coppia, per cause relative all’uomo o alla donna, non riesce ad ottenere una gravidanza dopo un anno di rapporti costanti e non protetti. Il termine infertilità, quindi, al contrario di sterilità, non si riferisce ad una condizione assoluta, bensì ad una situazione generalmente risolvibile e legata ad uno o più fattori interferenti.

 

La differenza tra i due termini spesso viene elusa anche in ambito formale: autorità sanitarie, progetti ministeriali, personale medico, utilizzano come sinonimi due termini che tali non sono. Questo implica conseguenze socioeconomiche importanti, come per esempio la possibilità di usufruire della copertura da parte del servizio sanitario.

 

Primaria e secondaria

Mentre il termine di sterilità primaria si riferisce a persone che non sono mai state in grado di concepire, la sterilità secondaria è l’impossibilità di concepire un secondo figlio dopo aver già concepito e/o portato a termine una normale gravidanza. Oltre a varie condizioni mediche (e.s. ormonali), essa potrebbe essere l’effetto dello stress avvertito nel fornire un fratello al primo figlio. Tecnicamente, non si parla di sterilità secondaria se uno dei partner è cambiato.

 

Una Traslocazione Robertsoniana in uno dei soggetti può causare aborti ricorrenti o completa sterilità.

 

Cause

 

Secondo l’Associazione Americana per la Medicina Riproduttiva, la sterilità colpisce circa 6,1 milioni di persone negli Stati Uniti, ossia il 10% della popolazione in età fertile. La sterilità femminile conta per un terzo dei casi, quella maschile per un altro terzo, la sterilità di coppia (sterilità combinata) per il 15% e il resto rimane “inspiegato”.

 

In Italia, secondo una relazione avente come oggetto lo “Stato di attuazione della Legge N. 40/2004, Art. 15, in materia di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA)”, presentata dall’Istituto Superiore di Sanità (organo del Ministero della Salute) al Parlamento il 30 aprile 2008, si riscontrano i seguenti fattori causali di infertilità:

 

Fattori causali infertilità                         (%)

Fattore maschile                                 25,5%

Infertilità endocrina ovulatori           16,9%

Endometriosi                                           6,0%

Fattore sia maschile che femminile  17,3%

Infertilità inspiegata                            29,1%

Altro                                                                  5,3%

 

 

Sterilità femminile

 

La fertilità femminile è massima a circa 23 anni. Quindi decresce, anche se lentamente, fino a 30 anni, un po’ più rapidamente tra i 30 e i 35, poi rapidamente dai 35 anni in su, fino alla menopausa, il periodo in cui nella donna cessa l’ovulazione.

Durante il ciclo mestruale l’ovulo è fecondabile tra il 17º e il 12º giorno prima delle mestruazione, fuori da questi giorni la fecondazione non è più possibile.

I fattori che possono impedire la fecondazione dell’ovulo sono molteplici e la valutazione nei singoli casi può divenire complicata. Tra la cause maggiormente oggetto di studio vi è la carenza di acido folico.

 

Possibili cause di infertilità femminile sono:

 

1)Cause generali

Diabete mellito, disordini della tiroide, malattie alle ghiandole surrenali

Rilevanti malattie epatiche, o renali

Cause psicologiche

2)Cause ipotalamiche-pituitarie:

Sindrome di Kallmann

Disfunzioni dell’ipotalamo

Iperprolattinemia

Ipopituitarismo

Sindrome di Cushing

3)Cause ovariche

Sindrome dell’ovaio policistico

Anovulazione

Ridotta disponibilità ovarica

Disfunzione del corpo luteo

Menopausa prematura

Disgenesia gonadale (Sindrome di Turner)

Tumore ovarico

4)Cause tubariche/peritoneali

Endometriosi

Aderenze pelviche

Infiammazione pelvica (PID, generalmente dovuta a clamidia)

Occlusione tubarica

5)Cause uterine

Malformazione dell’utero

Fibrosi uterina (leiomioma)

Sindrome di Asherman

6)Cause cervicali

Stenosi cervicale

Anticorpi antispermatici

7)Cause vaginali

Vaginismo

Ostruzione vaginale

 

Sterilità maschile

 

Possibili cause di infertilità maschile, o impotentia generandi (in latino “incapacità di generare”), sono:

 

1)Cause pre-testicolari

Problemi endocrini, es. diabete mellito, sindrome di Cushing, disordini della tiroide

Disordini ipotalamici, es. Sindrome di Kallmann

Iperprolattinemia

Ipopituitarismo

Ipogonadismo a vario titolo

Criptorchidismo

Cause psicologiche

Intossicazioni da droghe, alcool, sostanze chimiche, uso di alcuni farmaci (antidepressivi SSRI, neurolettici…)

Avitaminosi (in particolare la carenza di acido folico)

Irradiazione con raggi x o gamma

Fonti di calore che elevino la temperatura testicolare in modo costante e continuativo

2)Cause testicolari

Cause genetiche (Sindrome di Klinefelter, Traslocazione robertsoniana, Aneuploidie, Microdelezioni cromosoma Y)

Neoplasie, (seminoma)

Insuccesso idiopatico

Varicocele

Trauma fisico

Idrocele

Esiti di Parotite epidemica

3)Cause post-testicolari e peniene

Ostruzione del Dotto deferente

Infezione, es. prostatite

Eiaculazione retrograda

Ipospadia

Impotentia coeundi

Disfunzioni o malformazioni del pene

 

Microdelezioni del cromosoma Y:

 

Le microdelezioni del cromosoma Y sono associate con l’infertilità maschile che colpisce 1 su 20 uomini e coinvolgono diversi geni. Sono dovute a delezioni parziali del cromosoma Y, e in particolar modo del braccio lungo. La prevalenza di microdelezioni del braccio lungo del cromosoma Y in una popolazione azoospermica va da 10-15%, mentre in una popolazione di uomini oligospermici la prevalenza è intorno a 5-10%.

 

Il braccio lungo del cromosoma Y (Yq) contiene tre fattori di azoospermia,AZF( AZOOSPERMIA FACTOR REGION):

 

AZFa

AZFb

AZFc

 

AZFc sono più frequentemente rilevanti (69%), mentre AZFa (6%) e AZFb . AZFa e AZFb sono associati con la completa assenza di spermatozoi maturi. La maggior parte dei pazienti con una delezione AZFa presentano la SERTOLI- CELL ONLY SYNDROME, testicoli poveri di spermatozoi ma ricchi di cellule di Sertoli. Mentre nei pazienti con una delezione di AZFb si verifica l’arresto della spermatogenesi. La completa assenza di regioni AZFc provoca diversi fenotipi che vano da azoospermia e grave oligospermia .

 

L’esame principale da eseguire in caso di sospetta sterilità maschile è lo spermiogramma. Questa analisi include il conteggio degli spermatozoi e la misura della loro motilità al microscopio:

 

– La produzione di pochi spermatozoi è detta oligospermia, l’assenza di spermatozoi azoospermia.

– Una produzione quantitativamente sufficiente ma con scarsa motilità è detta astenozoospermia.

 

Limpotentia generandi è l’impossibilità di procreare. Va distinta dallimpotentia coeundi che definisce l’impossibilità di portare a compimento il coito. In sostanza, l’impotentia generandi è la situazione in cui si trovano gli uomini che, pur in grado di avere un normale rapporto sessuale, sono sterili. Al contrario, un uomo affetto da impotentia coeundi può non essere affetto da impotentia generandi, e potrebbe essere in grado di generare attraverso tecniche di fecondazione assistita.

 

La riduzione di feritlità maschile è anche correlabile a fattori nutrizionali. Uno studio del 2012 evidenzia per la prima volta una potenziale significativa correlazione (35% ca) fra sub-fertilità maschile (numero e concentrazione degli spermatozoi), con l’assunzione di acidi grassi saturi (inversa), e omega-3 polinsaturi (diretta).

 

Sterilità di coppia

 

In alcuni casi, entrambi i partner possono essere sterili o subfertili, e la sterilità della coppia deriva dalla combinazione di queste condizioni. In altri casi può accadere che i partner siano indipendentemente fertili, ma la coppia non riesca a concepire insieme senza assistenza medica; la causa si sospetta possa essere immunologica o genetica.

 

Diagnosi

 

I due partner devono essere sottoposti ad accertamenti specifici per individuare la possibile causa di sterilità. Una buona indagine preliminare che prenda in considerazione abitudini sessuali e voluttarie, malattie pregresse, caratteristiche dei cicli mestruali e così via è indispensabile per orientare le ricerche successive. Nel maschio è fondamentale l’esame dello sperma. Al bisogno si possono effettuare anche esami ormonali, cromosomici e di valutazione morfologica degli organi dell’apparato urogenitale. Nella femmina occorre valutare la presenza di ovulazione e l’assenza di ostruzioni a livello delle tube. A tale scopo si utilizzano: il semplice rilevamento della temperatura corporea durante tutto il ciclo mestruale; l’isterosalpingografia, esame radiologico eseguito con mezzo di contrasto che evidenzia la cavità uterina, il decorso e la presenza di ostruzioni a livello delle tube; l’ecografia dell’utero e delle ovaie per individuare eventuali malformazioni o malattie; la laparoscopia mediante un endoscopio a fibre ottiche introdotto nell’addome, che consente di osservare direttamente lo stato delle tube, delle ovaie e della pelvi. Anche nella donna possono essere utili, inoltre, esami ormonali e test cromosomici per eventuali malattie genetiche.

 

Terapie

 

Farmaci che stimolano le ovaie perché portino a “maturazione” e rilascino ovuli

Farmaci adiuvanti: che migliorano la sopravvivenza di spermatozoi ed ovuli come l’acido folico

Chirurgia o microchirurgia per ripristinare il passaggio in tube di Falloppio ostruite

 

Tecniche di fecondazione assistita

 

Alcune delle seguenti procedure sono vietate o variamente limitate nell’accesso in determinati Paesi, inclusa l’Italia.

 

1) Inseminazione artificiale con sperma interno alla coppia o di un donatore (vietato in Italia)

2) Fertilizzazione in vitro (FIV, con embryo transfer Fivet) in cui degli ovuli sono rimossi dalla donna, fecondati, con o senza ICSI, e quindi posti nell’utero, evitando il passaggio per le tube di Falloppio. (Accesso limitato in Italia) Variazioni sulla FIVET includono:

a-L’uso di ovuli e/o sperma di donatore nella FIV. Questo succede quando gli ovuli e/o lo sperma di una coppia sono inutilizzabili, o per evitare la trasmissione di una malattia genetica. (vietato in Italia)

b-Zygote intrafallopian transfer (ZIFT) in cui degli ovuli sono rimossi dalla donna, fecondati e poi posti nelle tube di Falloppio anziché nell’utero.

c-Gamete intrafallopian transfer (GIFT) in cui degli ovuli sono rimossi dalla donna e posti nelle tube di Falloppio, insieme allo sperma maschile. Ciò permette alla fecondazione di avvenire nel corpo della donna.

3) Altre tecniche legate alla procreazione medicalmente assistita (PMA):

a-Assisted hatching, microassistenza alla apertura della zona pellucida per facilitare l’impianto

b-Preservazione della fertilità

c-Crioconservazione di sperma, ovuli e tessuto riproduttivo

d-Frozen embryo transfer (FET) con l’utilizzo di embrioni crioconservati

 

 

 

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