SUPERARE IL CAPITALISMO
La crisi mette a nudo l’illusione e smaschera l’ideologia dominante
La crisi economica, potenzialmente, crea anche le condizioni per un risveglio di classe; anche se il legame tra crisi e reazione di classe non è, come vediamo, meccanico.
Essa, oltre ai “traumi”, lascerà milioni di vittime sulla sua strada: vittime di una guerra – solo per ora “non guerreggiata” – per la ri-spartizione di profitti, rendite e territori.
Quando la “torta” si restringe, occorre o ridurre le fette o ridurre i commensali alla tavola. Ecco, esattamente ciò che sta accadendo.
L’ideologia dominante è subdola e agisce in profondità: o la si subisce passivamente e inconsapevolmente, o se ne comprende la potenza e la si combatte, perché difficile è l’intesa tra gli interessi dei produttori della ricchezza (i lavoratori) e gli interessi dei possessori della ricchezza (i padroni).
Ma perché ciò possa avvenire i dominati devono iniziare a lottare, ad unirsi ed organizzarsi per essere più forti. Ma soprattutto essi devono dotarsi di una loro avanguardia politica che sia per loro:
– memoria storica delle secolari lotte dei loro padri, e – a partire da quelle esperienze storiche e dagli errori commessi e da non ripetere
– elaborazione di un programma politico rivoluzionario; avanguardia concreta di lotta politica;
– strumento per comprendere che la questione è “politica” e non meramente economica (di difesa dal capitalismo o di mera rivendicazione di miglioramenti salariali) e che per risolverla occorre mandare in frantumi l’intero sistema capitalistico (i suoi rapporti sociali, le sue dinamiche e i suoi imperativi, le sue finalità esclusive di profitto) e sostituirlo con un sistema produttivo secondo regole nuove: quella programmazione della produzione sociale che – liberatasi finalmente dalla necessità di dover accrescere di un profitto il capitale investito e sulla base dei bisogni reali (primari e secondari) della società mondiale – è l’unica che potrà consentire quella distribuzione non sperequata della ricchezza che tanto ci si illude di poter ottenere all’interno del capitalismo.
Si potrebbe usufruire – nessuno escluso! – della ricchezza prodotta grazie alla collaborazione di tutti al lavoro sociale _necessario_ (quello cioè strettamente necessario a produrre non solo le cose che ci servono, ma “nella quantità” che ci serve!), così da poter finalmente disporre socialmente sia dei prodotti da distribuire, sia di un adeguato e ben più lungo _tempo di vita giornaliero_ (finalmente sottratto al “tempo di lavoro” oggi imposto dal capitalismo e a ritmi massacranti) in grado di consentirci il pieno sviluppo delle nostre innumerevoli capacità, attitudini, passioni, aspirazioni.
Questo il capitalismo non lo ha mai consentito, né mai potrà consentirlo: se non ad una parte ristrettissima e privilegiata della società: i capitalisti, i loro “maggiordomi istituzionali” (politici, sindacalisti), coloro che vivono di rendita parassitaria e la cd. aristocrazia operaia (ossia i lavoratori “incaricati” di controllare, dirigere, dettare e vigilare sui ritmi di lavoro, denunciare ai padroni gli altri lavoratori, ecc ecc).
Al resto, la stragrande e immensa maggioranza di individui, restano solo le “briciole”, abilmente distribuite in modo “differenziato” proprio per alimentare la divisione, l’invidia sociale, la rivalità, la competizione fra presunti “meriti”: in una parola, la guerra tra poveri fessi.
E per disgregare la coscienza collettiva dell’essere un’unica classe sfruttata mondiale, i cui interessi sono difficilmente compatibili con quelli dei padroni, come la realtà dell’ennesima crisi capitalistica sta ampiamente dimostrandoci.
Questa disgregazione viene perseguita a livello aziendale, territoriale, nazionale ma anche internazionale: un’eterna guerra tra poveri viene continuamente alimentata perché i “sottomessi al lavoro salariato” non si rendano conto di essere il più grande e forte esercito di classe, unico in grado di sconfiggere le regole del capitalismo e del suo apparato statale di contenimento e repressione delle lotte.
Un’eterna guerra tra poveri che mira a dividerli tra italiani e stranieri, lavoratori locali e lavoratori immigrati, giovani “precarizzati” e anziani “privilegiati”, bianchi e neri, dell’ovest e dell’est, del nord e del sud: uno contro l’altro.
L’edificazione di un nuovo ordine sociale resta non solo all’ordine del giorno,ma diventa sempre più indispensabile ed impellente,alle soglie (come già siamo) di una prossima,l’ennesima,poco evitabile carneficina mondiale.
Dobbiamo rivalutare Marx che nulla ha a che vedere con quanto per decenni è stato spacciato per
“socialismo realizzato”, (in Urss come in Cina o altrove) per poi poterne decretare il “misero fallimento”: tutti, in realtà, capitalismi di stato – tutti! – ossia capitalismi a gestione rigidamente centralizzata e pianificata, oltre che autoritaria, da parte dello Stato.
Capitalismo a tutti gli effetti, dunque, il quale – dopo l’annientamento delle conquiste rivoluzionarie dell’Ottobre (dovuto all’isolamento in cui esse restarono per il non deflagrare di un analogo processo rivoluzionario nella più avanzata e vicina Europa capitalistica) – fu avviato e consolidato attraverso una mera statalizzazione dei settori industriali strategici: lo Stato così, di fatto, non fece che sostituirsi al padrone borghese, ma governando l’economia secondo gli stessi criteri di sfruttamento del padrone borghese. Nulla di fatto, insomma, sulla strada del socialismo! Il padrone – insomma – resta indisturbato al suo posto!
La statalizzazione di una produzione – condotta perciò con metodi in tutto e per tutto capitalistici – nulla ha a che fare, infatti, con la socializzazione ossia con la distribuzione della ricchezza sociale .
Il tempo delle chimere è finito: la miseria e la disperazione approdano nel mondo “sviluppato”
Il tempo è “scaduto”, ci auguriamo che finisca presto anche la pazienza e che crollino presto tutte le illusioni degli sfruttati di tutto il pianeta: il capitalismo ha dimostrato, in oltre tre secoli di vita (non certo un decennio!), di non poter affatto garantire quella giusta distribuzione della ricchezza sociale prodotta dal lavoro collettivo e, anche in periodi di ciclo economico positivo, di averla potuta “riservare” solo (e per brevi periodi) ad un’area ristrettissima del pianeta (il cd. occidente sviluppato), mantenendo da secoli (per lo più militarmente o con regimi autoritari dittatoriali) la stragrande maggioranza dell’altra parte del pianeta in condizioni di fame, miseria cronica, sottosviluppo, depredamento e spreco delle risorse, ipersfruttamento del lavoro, distruzione dell’ambiente e della qualità della vita. Tutto questo per milioni di esseri umani.
– “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, dice un vecchio detto popolare
– Un po’ di elemosina,
– qualche missionario volenteroso
– qualche medico coraggioso “senza frontiere”,
– qualche adozione a distanza,
– qualche preghiera in chiesa
e la coscienza dell’opulento Occidente è stata ripulita per decenni.
Ora quella miseria e la disperazione che ne consegue supera i dorati confini delle sue metropoli, e approda qui: non solo sui barconi provenienti dall’Africa affamata in guerra, ma sotto gli occhi esterrefatti o attoniti di chi vede il proprio vicino di casa rovistare tra i rifiuti di un cassonetto o di un mercato rionale.
«Domani potrebbe accadere anche a me o a qualcuno della mia famiglia?» – inizia a chiedersi l’esterrefatto. E fa bene a chiederselo. Intere famiglie gettate, ogni giorno che passa, sul lastrico e nella disperazione da un sistema che “dà lavoro” (e dunque da vivere) solo se e quando quel lavoro produce guadagno nelle tasche di qualcuno.
Attraverso le lotte materiali tutti gli oppressi e violentati da questa classe politica di merda potranno ritrovare la propria consapevolezza di essere tutti nella stessa barca, la loro unità ed organizzazione che sole possono trasformarsi in forza ma solo grazie alla guida politica di un partito rivoluzionario, i lavoratori, gli sfruttati, gli oppressi potranno dotarsi di una prospettiva risolutiva, di un programma politico rivoluzionario che finalmente spazzi via l’inferno capitalistico e apra la strada all’edificazione comune della società degli “uomini”, soppiantando quella degli “individui”, delle rivalità, della competizione, dell’avidità, del sopruso.
Per far questo occorre disporre del potere politico, per poter schiacciare le resistenze più che ovvie che a tale distruzione ed edificazione i capitalisti e il loro Stato opporranno.
E il potere politico significa il superamento dello Stato attuale, ossia smantellamento dei suoi attuali apparati istituzionali e repressivi e sua sostituzione con organi di potere veramente democratico.
Chi da sempre “conduce la baracca” finalmente al potere; chi fino ad ora ha gestito il loro sfruttamento planetario finalmente a lavorare; eliminare la possibilità di asservire e sfruttare lavoro altrui per l’arricchimento di pochi e la miseria di troppi.
Un esempio? Guardate alcuni “socialisti” che dovevano difendere i lavoratori,che si riempivano da sempre la bocca delle migliori intenzioni: Giuliano Amato e Giorgio Napolitano,grandissimi compagni a parole.
Amato (il roditore che ha paura che qualcuno lo trovi e lo bastoni forte,infatti si nasconde sempre), prende spudoratamente 400.000 euro all’anno e non se ne vergogna,guai a proporgli una riduzione !!!!
E il compagno Napolitano:
– pensione dorata
– chauffeur
– maggiordomo
– ufficio da 100 mq
– segreteria di 10 persone
– assistente “alla persona” che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”
– linee telefoniche dedicate
– guardarobiere
– scorta (altrimenti lo bastonerebbero di sicuro!)
– telefoni satellitari
– collegamenti telematici doppi
– auto con autista,privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti (imperatori)
– 15.000 euro mensili
– un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretario generale del Quirinale,con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff
– altri 2 dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti,con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona
– fax
– una connessione urbana ultraprotetta
– una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale
– un’altra per quello con la batteria del Viminale
– un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente
– consultazione delle agenzie di stampa e banche dati
– connessioni televisive a bassa frequenza
– auto con telefono
– utilizzo di treni,navi ed aerei
– segreteria composta da 10 unità: un capo ufficio,tre funzionari,due addetti ai lavori esecutivi,altri due a quelli ausiliari,un consigliere diplomatico o militare (perchè lui deve fare le guerre)
– agenti di pubblica sicurezza
– carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente (sa bene che senza scorta qualcuno andrebbe a chiedergli il reseconto di quello che ha fatto per i lavoratori… e allora sarebbero guai!!)
– a conti fatti una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore.
Insomma un trattamento da vero monarca repubblicano,davvero niente male e quindi potrà tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama alla salute dei compagni lavoratori!!!
Questi sono i compagni che dovevano difendere i diritti dei lavoratori,questi no,ma i loro certamente sì,questi sono i traditori della classe oparaia!
Questi ancora oggi stanno
succhiando il sangue degli italiani
,il sudore degli italiani
,i sacrifici degli italiani,
si sentono dei RE ,dei SOVRANI,a cui tutto è dovuto mentre niente è dovuto agli italiani,nè lavoro,nè sanità,gli italiani possono anche dormire sotto i ponti,possono fare la fame,andare in miseria a causa delle loro leggi di merda,ma loro,vecchi bavosi sono sempre lì,imperterriti,inavvicinabili,inamovibili,scortati giorno e notte,neppure il Re d’Inghilterra ha tanti privilegi!
Questa gentaglia è il CANCRO DELL’ITALIA E DEI LAVORATORI!
E’ necessario uno straordinario impegno per costruire una egemonia culturale che superi i modelli imposti dal colonialismo e dal capitalismo e metta al centro i valori della solidarietà,dell’emancipazione e dell’indipendenza. Il superamento del capitalismo e la transizione verso una società libera,non possono darsi in assenza di una piena coscienza di popolo che porti alla costruzione dell‘uomo nuovo.
Costruire quindi l’unità culturale dei popoli attraverso i principi della solidarietà e della complementarietà,significa in primo luogo non accettare le regole del capitale e ribaltare il primato dell’economia sulla politica,imposto dal modello neoliberista nell’ultimo ventennio.
Questa è dunque la grande sfida,avanzare nella costruzione di una vera giustizia sociale,superando,nella gradualità imposta dalle reali condizioni storiche ,il modo di produzione capitalista.
IL PROBLEMA E’ SEMPRE LO STESSO ALLA FINE: LA REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA
Lo sfruttamento capitalista e il drammatico peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni avviene oggi a livello globale,lasciando intravedere l‘imminente esplosione di una fortissima crisi in particolare qui,nella nostra area mediterranea.
La politica dell’ austerità sta sprofondando i paesi della periferia mediterranea in una crisi profonda e il massiccio trasferimento di redditi dal lavoro al capitale oltre a produrre disoccupazione e recessione,non è in grado di far ripartire nè lo sviluppo economico nè un nuovo processo di accumulazione a lungo termine.
Per contrastare ed invertire questa tendenza,una soluzione si può individuare solo nel recupero di un nuovo e radicale protagonismo del mondo del lavoro e del lavoro negato insieme ai movimenti sociali in percorsi fortemente caratterizzati dalla ripresa della lotta anticapitalista.
Proponiamo di non pagare il debito,la nazionalizzazione del sistema bancario e dei settori strategici,l‘uscita dall’euro,non solo mettendo al centro i bisogni e gli interessi politici del popolo.
L’uscita dall’euro dovrebbe realizzarsi in forma concertata tra i paesi della periferia mediterranea,dotandosi di una propria moneta e dirottando le risorse destinate al pagamento del debito a investimenti nel sociale e a compatibilità ambientale e al rafforzamento dell’economia pubblica in genere.
Questa alleanza internazionalista e anticapitalista potrebbe inoltre estendersi,sviluppando interscambi economici solidali fuori dal dominio dell’euro e del dollaro,con i paesi della sponda africana del mediterraneo e dell’Est Europa,colonizzati dai potentati economico finanziari europei e statunitensi.
Non esiste una via di uscita dalla crisi sistemica del capitalismo rimanendo nell’ambito dell’attuale modo di produzione.
Pensare a cure economiche di stampo keynesiano,come continuano a proporre anche studiosi ed economisti che si dichiarano marxisti,significa non aver compreso la natura,le origini e le cause della crisi stessa. La natura imperialista dell’Europolo che nella fase attuale della competizione globale non prevede la possibilità di coniugare rigore e crescita e tanto meno di proporre un modello più “umano e sociale” di capitalismo.
Al contrario,i piani di aggiustamento prevedono lo smantellamento di quel poco di Stato sociale che è rimasto nei paesi dell’Europa centrale e di sferrare l’ultimo e decisivo attacco al potere d’acquisto dei salari e ai diritti dei lavoratori.
Voglio ricordare che l’economia keynesiana è una scuola di pensiero economica che si richiama a Maynard Keynes,economista britannico,vissuto a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
Keynes ha spostato l’attenzione dell’economia dalla produzione di beni alla domanda ,osservando che in talune circostanze la domanda è insufficiente a garantire la piena occupazione.
Di qui la necessità di un intervento pubblico statale a sostegno della domanda, nella consapevolezza che altrimenti il prezzo da pagare è un’eccessiva disoccupazione e che nei periodi di crisi, quando la domanda diminuisce, è assai probabile che le reazioni degli operatori economici al calo della domanda producano le condizioni per ulteriori diminuzioni della domanda aggregata.
(la domanda aggregata rappresenta la domanda di beni e servizi ).
Da qui la necessità di un intervento da parte dello Stato per incrementare la domanda globale anche in condizioni di deficit pubblico (deficit spending), che a sua volta determina un aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione.
Questo è vero e direi normale, da parte dello Stato,anzi OBBLIGATORIO,ma non basta, se non aumenti la capacità d’acquisto dei lavoratori le cose non cambieranno mai in modo risolutivo.
Ora aumentare la capacità d’acquisto dei lavoratori si può e si deve,ma ricordiamoci che non è facile perchè chi crea lavoro troverà mille modi per ridurre nuovamente la capacità d’acquisto dei lavoratori .
E allora come possiamo fare?
Vedremo in seguito alcune ipotesi.
Disponiamo oggi – e da lungo tempo – di un enorme apparato produttivo con un’altrettanto enorme capacità produttiva: con sempre meno tempo di lavoro ,tale capacità ci consentirebbe di produrre, senza alcuno spreco né distruzione ambientale, tutto quanto ci occorre .
Per tutti, nessuno escluso sulla faccia dell’intero pianeta.
1) Il modo di produzione capitalistico ha ormai storicamente svelato la sua natura spaventosamente distruttiva su molteplici piani. Esso ha creato ricchezza economica ad un livello mai raggiunto da alcun sistema precedente. Ma la creazione capitalistica di nuova ricchezza ha dimostrato di essere, allo stesso tempo:
– creazione di nuove povertà,
– distruzione:
– della socialità degli esseri umani,
– della loro sanità psichica,
– dell’ambiente naturale adatto alla loro vita biologica,
– delle risorse per il loro futuro.
Esso è ormai la maledizione del genere umano, che è condannato, per creare e distribuire ricchezza secondo i rapporti di produzione capitalistici, a vivere in modo sempre più distruttivo nei confronti della natura e di se stesso.
2) La critica più penetrante fino ad ora compiuta del modo di produzione capitalistico è stata quella di Marx. Egli ha indagato la logica dell’accumulazione capitalistica mostrandone il carattere autoreferenziale e illimitato.
Marx ha creduto che la logica autoriproduttiva del capitalismo portasse in sé una contraddizione per la quale il proletariato sarebbe cresciuto al suo interno come classe antagonistica dell’intero sistema, fino a rovesciarlo e ad instaurare la società comunistica dei liberi ed eguali, in cui ciascuno avrebbe prodotto secondo le sue capacità e ricevuto secondo i suoi bisogni.
Il comunismo novecentesco ha assunto questa idea come dogma condiviso. Ma la realtà della storia è stata sotto questo aspetto completamente diversa.
Del comunismo nel senso marxiano del termine non si è mai vista traccia.
Ciò che nel Novecento si è fregiato di questo nome è stato un impasto, in proporzioni diverse nei diversi tempi, luoghi ed individui, di lotte di liberazione e nuove oppressioni, orrori ed eroismi, aperture generose ed ottusità fideistiche.
3) Marx è stato a tal punto convinto che il comunismo sarebbe dialetticamente scaturito dallo sviluppo contraddittorio del capitalismo da definirlo come il movimento reale che abolisce lo stato presente delle cose. La definizione è tanto celebre quanto clamorosamente invalidata dalla storia. La storia ci ha insegnato che il movimento che abolisce lo stato presente delle cose non è il comunismo che supera il capitalismo, ma è bensì il capitalismo stesso che, nel suo processo di accumulazione allargata del plusvalore, trasforma continuamente le condizioni da cui ogni volta muove. Non è affatto vero, dunque, che il capitalismo sia un sistema socialmente conservativo. Esso conserva ferreamente soltanto la logica della sua autoriproduzione e della conseguente gerarchizzazione classista, ma innova di continuo costumi, tecniche, rapporti sociali e condizioni ambientali.
4) L’alternativa cruciale del secolo da poco iniziato sarà quella tra un disfacimento del capitalismo prodotto dalla sua potenza distruttiva operante sulle sue stesse precondizioni antropologiche ed ecologiche, ed una fuoriuscita da esso in qualche misura socialmente promossa e controllata. Soltanto questo secondo lato dell’alternativa eviterà al genere umano una crudele ed orribile regressione. Perché questa alternativa possa darsi è necessario che si costituisca una soggettività operante in tale direzione. Vi sono almeno quattro condizioni necessarie perché una tale soggettività possa nascere.
– La prima è una decisa e totale rottura, da parte di chi mira a costruirla, con l’intero ceto politico che gestisce le istituzioni pubbliche, senza più alcuna contiguità con nessuna delle sue articolazioni. Il ruolo che tale ceto svolge è infatti quello di far accettare alle masse popolari la situazione di lento depauperamento imposta dal sistema socioeconomico vigente, e di rendere impossibile la protesta o incanalarla in direzioni che non mettano in questione i presupposti del sistema. Perciò le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla distribuzione di posti e lotte fra gang contrapposte. È quindi corretta la caratterizzazione del ceto politico come Casta. Il fatto che esso non decida nulla per quanto riguarda gli aspetti fondamentali della dinamica sociale non significa che il suo ruolo sia irrilevante: è infatti l’ingranaggio che deve mantenere nella passività masse sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello culturale.
– La seconda condizione necessaria per la costituzione di una soggettività politica anticapitalistica è che essa non abbia più nulla a che fare con la parola ed il concetto di comunismo. Il comunismo può essere oggi solo un oggetto di indagine storica. Parlare di comunismo in termini di attualità politica significa occultare i problemi concreti di una fuoriuscita dal capitalismo con una fraseologia che dà l’illusione di conoscere mezzi e fini dell’anticapitalismo. Rispetto al problema della costruzione di un pensiero e di una pratica politica effettivamente anticapitalistiche
l’idea comunista rappresenta ormai un’occlusione mentale e un intralcio concettuale. Di che cosa essa consiste, infatti, oggi? Escludiamo pure la cosiddetta sinistra radicale, semplice sottocasta della casta politica, per la quale l’idea comunista non è neppure un’idea, ma una pura denominazione di riferimento ad una tradizione: il marchio della ditta, insomma. Cosa rimane?
Rimangono conventicole con i loro giornaletti e i loro capetti, per le quali l’idea comunista si riduce ad alcune formule tenute insieme da un pensiero ristretto. Ogni orizzonte di problematiche e di possibilità che compaia fuori dal perimetro delle loro formule è da esse vissuto come una minaccia identitaria, alla quale rispondono con la riproposizione astratta delle loro formule, che spegne ogni pensiero concreto.
A partire dalla metà degli anni Venti del Novecento l’intero mondo del comunismo nei paesi occidentali non ha più prodotto una prospettiva politica concreta di fuoriuscita dal capitalismo. Questo dato di fatto riguarda gruppi ideologicamente lontanissimi fra loro, operanti in paesi diversi e nelle più diverse situazioni economiche, sociali e politiche. Si tratta quindi di un dato strutturale. È evidente che solo attraverso una gravissima deformazione ideologica della realtà le conventicole comuniste possono mantenere la loro illusione di un anticapitalismo fondato ed illuminato dall’idea comunista. Fatte salve le eccezioni individuali, la verità è che il tipo medio dell’aderente a tali conventicole non vuole una concreta prospettiva politica anticapitalistica, perché essa lo costringerebbe ad uscire dal suo rassicurante recinto identitario, a confrontarsi con la realtà e a scoprire, in questo confronto, quanto povera e vuota sia la sua ideologia.
– La terza condizione è la necessità di evitare proclamazioni astratte di anticapitalismo. L’anticapitalismo va declinato in obiettivi specifici, che devono rappresentare l’unica materia di discussione e di mobilitazione in ambito politico, mentre la discussione sul modo di produzione capitalistico e sulla necessità del suo superamento deve essere coltivata, ed è importante che lo sia, nella sfera teorica. Una soggettività politica che non voglia rimanere in eterno ultraminoritaria deve porsi l’obiettivo di parlare a settori consistenti delle fasce sociali medie e basse. In tale contesto, ogni proclamazione anticapitalistica appare astrazione ideologica ed estremistica. Questa astrazione può essere superata, e l’anticapitalismo può diventare concreto, solo se esso viene realizzato tramite obiettivi specifici, realizzati per loro stessi, per il loro valore di giustizia. Insomma, l’anticapitalismo non è oggi un obiettivo motivante in se stesso, e potrà diventare operante nella realtà soltanto se verrà tradotto dal linguaggio che ne ha storicamente istituito la nozione in altri linguaggi. Il rapporto tra l’anticapitalismo e gli obiettivi particolari deve corrispondere a quello concepito da Hegel fra fondamento e fondato, in cui il fondamento si inabissa, per così dire, nel fondato, e vi scompare nella misura in cui il fondato lo realizza come fondamento.
– La quarta condizione è che l’anticapitalismo non venga collegato ad un modello di società futura da realizzare, e neppure ad un percorso predefinito di fuoriuscita dall’attuale sistema. Modelli di questo tipo, nella condizione attuale, hanno l’unico effetto di chiudere la mente rispetto alle novità che la storia porta con sé. È importante ricordare quello che la ricerca storica ha ormai acquisito: le rivoluzioni vere, quelle che hanno realmente segnato la storia, come la Rivoluzione Inglese, la Rivoluzione Francese o la Rivoluzione Russa, hanno avuto esiti storici che nessuno dei suoi protagonisti aveva previsto. I rivoluzionari inglesi volevano la società puritana, i rivoluzionari francesi le virtù civiche di Sparta o Roma, i rivoluzionari russi il comunismo. La storia ha avuto tutt’altri percorsi. Se si riuscisse ad innestare un processo rivoluzionario di fuoriuscita dal capitalismo, esso avrebbe percorsi non immaginabili, e coinvolgerebbe soggetti e realtà a priori non prevedibili. Un modello precostituito impedirebbe l’apertura mentale necessaria per avvalersi dei mezzi effettivi che la storia ci offre per orientare una fuoriuscita dal capitalismo. Gli esiti di una rivoluzione non sono mai, e oggi meno che mai, prefigurabili in anticipo. Le rivoluzioni si realizzano strada facendo.
5) Un percorso di fuoriuscita dal capitalismo non potrà dunque essere guidato da un modello predefinito di società, e neppure potrà seguire una strada disegnata in anticipo. Ciò non può essere confuso con una rinuncia ai principi a favore di una visione empiristica e pragmatistica della politica. Al contrario, soltanto un pensiero forte e principi valoriali non contingenti possono orientare la fuoriuscita dal capitalismo. Il punto è che un riferimento valoriale, come hanno chiarito duemilacinquecento anni di riflessione filosofica, ha senso solo se si pensano i valori come una rete trascendentale (e non trascendente: purtroppo questa distinzione non può essere approfondita qui) di significati che non si confondono con configurazioni specifiche di società e con specifici percorsi storici. Così intesi, i valori sono principi da cui sono assiologicamente derivabili e fondabili scelte particolari in situazioni particolari.
6) I valori cui fare riferimento possono essere nominati in molti modi: si può parlare di Libertà, Uguaglianza, Fraternità, oppure semplicemente di Giustizia, attribuendo a questa espressione il senso filosofico del dare a ciascuno ciò che gli spetta secondo la dignità dell’essere umano. È chiaro che solo una discussione filosofica può chiarire il senso del richiamo a questi valori, e che una tale discussione fondazionale non può essere il prerequisito dell’azione politica del singolo. I valori indicati hanno però anche un senso intuitivo, oltre ad un significato filosofico, e questo è particolarmente vero per la nozione di Giustizia: mentre, per esempio, Libertà e Uguaglianza potrebbero essere fraintese (e la libertà essere intesa come libertà di sfruttamento, l’uguaglianza come un annullamento collettivistico delle differenze individuali), intuitivamente è chiaro che un mondo dove molti patiscono la fame mentre nelle società avanzate l’obesità è un problema sociale, è un mondo ingiusto.
7) Una volta soddisfatti i quattro prerequisiti fondamentali enunciati nelle tesi precedenti, quali potrebbero essere le politiche derivate dai valori di un soggetto anticapitalista? Per capirlo, occorre riflettere sulla natura del capitalismo contemporaneo. Il capitalismo come tale è mosso a livello sistemico dall’imperativo dell’accumulazione del plusvalore e a livello individuale dalla ricerca del profitto. Questa dinamica si traduce in una incessante spinta allo sviluppo e all’innovazione. Fino a pochi decenni or sono, questo meccanismo si è mostrato compatibile, sia pure, ovviamente, in modo non automatico ma attraverso lotte e conflitti, con un generale sviluppo di civiltà e, in particolare, con una serie di importanti conquiste ottenute dai ceti subalterni. Negli anni Settanta del Novecento le cose cominciano a cambiare. Il meccanismo capitalistico, per mantenere accumulazione e profitti, assume la configurazione detta (impropriamente, ma conserviamo i termini per capirci) neoliberista e globalizzata, nella quale viviamo da circa trent’anni. In questa fase le conquiste socialdemocratiche ottenute dai ceti subalterni nella fase precedente non sono più compatibili col meccanismo dell’accumulazione capitalistica, e devono essere distrutte. È questo l’unico modo per rilanciare lo sviluppo capitalistico. Tale sviluppo significa quindi, nella fase attuale, distruzione dei diritti dei lavoratori, impoverimento di fasce sempre più larghe della popolazione, asservimento di ogni istituzione pubblica ai fini del profitto privato. E, inoltre, distruzione sempre più spinta dell’ambiente naturale e del territorio in cui si vive. Le idee-guida, sul piano politico, di un soggetto anticapitalista dovrebbero quindi essere richieste di concreto contrasto di questi processi in quanto valorialmente inaccettabili.
8) Lo schema generale dell’azione politica di un soggetto sociale anticapitalista dovrebbe essere il seguente: attraverso un’azione di contrasto agli sviluppi contemporanei si dovrebbe iniziare, in ambiti determinati, a disarticolare l’attuale organizzazione dell’economia e della politica. Occorre però avere chiaro che una tale disarticolazione non è una cosa innocua: proprio perché il capitalismo è ormai penetrato in tutti gli ambiti della vita sociale, un inizio di disarticolazione avrà effetti imprevedibili, esponendo la società a contraccolpi di vario tipo. Di fronte a tali contraccolpi occorrerà reagire, ovviamente anche con i compromessi e le concessioni che la situazione imporrà, facendosi guidare dai fondamentali principi cui abbiamo accennato, e dall’esigenza di sottrarre ambiti sempre più vasti dell’economia e della società alla presa della logica capitalistica. Queste reazioni indurranno ulteriori contraccolpi, e questa dinamica di azioni e reazioni, largamente imprevedibile, traccerà il percorso di fuoriuscita dal capitalismo.
9) In Italia l’azione e il pensiero di un soggetto anticapitalista può ricevere un inquadramento generale nella denuncia della ininterrotta violazione, da parte del ceto economico e politico dominante, delle leggi costituzionali, e in un’agitazione politica che ne chieda il rispetto. La Costituzione della Repubblica Italiana è nata storicamente da un compromesso fra forze diverse, in un’epoca diversa dalla nostra, e ha espresso una serie di principi del tutto incompatibili con il capitalismo come si è evoluto nel nostro tempo, tanto è vero che le sue norme non sono mai state rispettate. Il richiamo alla difesa della Costituzione (difesa nel senso di battersi per esigerne una attuazione che non c’è mai stata) ha dunque questo senso: porre richieste di civiltà comprensibili a tutti e “irricevibili” all’interno dell’attuale ordinamento economico e sociale. L’enorme vantaggio di questa strategia politica è che essa può permettere di uscire dal minoritarismo politico e di agganciare i sentimenti e le aspirazioni di larghe fasce della popolazione. Predicare l’anticapitalismo oggi significa chiudersi in un ghetto a ripetersi parole vuote, mentre chiedendo la fine della precarietà del lavoro, dei sottosalari, degli orari pesanti, delle produzioni che feriscono e uccidono, dei servizi mercantilizzati, come il rispetto della Costituzione esige, si può sperare di essere ascoltati. E non ha importanza il fatto che chi è disposto a battersi per simili obiettivi non sia su posizioni anticapitaliste: se siamo convinti che essi siano incompatibili con l’attuale ordinamento economico e sociale, la loro richiesta è oggettivamente anticapitalistica.
10) Facciamo un esempio. Una proposta politica fondamentale per una forza anticapitalistica oggi in Italia dovrebbe essere quella di massicce assunzioni di personale a tempo indeterminato da parte delle amministrazioni pubbliche per rendere efficienti e realmente disponibili a tutti una serie di servizi sociali, servizi che oggi non funzionano proprio per mancanza di personale. Occorrono più infermieri e medici per rendere effettiva l’assistenza sanitaria (oggi sempre più carente, specie in servizi come l’analisi diagnostica, le guardie mediche, il pronto soccorso), più magistrati e più impiegati e cancellieri per rimettere in sesto un apparato giudiziario disastrato (una giustizia lenta e farraginosa è un vantaggio per i potenti che possono permettersi di pagare gli avvocati), più tecnici per i servizi di difesa del territorio, di controllo e prevenzione delle nocività ambientali e delle sofisticazioni alimentari, più ispettori per il controllo e la prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Questo piano di assunzioni massicce dovrebbe essere finanziato sul piano monetario riducendo alcune spese statali (fine di tutte le missioni militari all’estero, abolizione dei privilegi della casta politica e della rete di clientele e poteri ad essa legati), eliminando l’evasione fiscale, sottoponendo ad alti prelievi fiscali le grandi concentrazioni di ricchezza finanziaria ed immobiliare, espropriando le ricchezze della criminalità organizzata. Ma la retribuzione di questi nuovi lavoratori dovrebbe essere, in parte, non monetaria, sotto forma di servizi gratuiti che le stesse massicce assunzioni renderebbero possibili. Essendo le assunzioni finalizzate a rendere effettivamente fruibili a tutti i servizi sociali,(oggi molto spesso devi ricorrere a visite a pagamento), esse dovrebbero inoltre essere compiute contrastando severamente ogni tipo di pratica clientelare. Una misura di questo tipo da una parte rappresenterebbe un aiuto concreto alle persone, perché servizi sociali efficienti alzano la qualità della vita, oltre a rappresentare una forma di reddito indiretto. Dall’altra rappresenterebbe un deciso attacco al problema della disoccupazione. Essa inoltre implicherebbe necessariamente l’abbandono delle grandi opere ad alta intensità di capitale che hanno solo la funzione di permettere l’accumulazione del capitale, per investire piuttosto in un lavoro di manutenzione, in tutti i sensi, delle fondamentali strutture della nostra società, che oggi stanno lentamente cadendo a pezzi. Una lotta che metta al proprio centro richieste di questo tipo può trovare la sua ispirazione ideale e il suo fondamento giuridico nella Costituzione. Ad esempio l’articolo 4 non soltanto riconosce il lavoro come diritto e dovere di ogni cittadino, ma vincola anche lo Stato a promuovere le condizioni che rendano effettivo tale diritto, e gli articoli 41, 42, 43 fondano il diritto dello Stato ad intervenire nella vita economica quando sia in gioco un “preminente interesse generale”.
11) L’incapacità di capire il carattere rivoluzionario di un simile appello alla Costituzione è indice di profondi limiti da parte delle realtà politiche e culturali (oggi disperse e minoritarie) che dicono a parole di opporsi alla dinamica distruttiva del mondo contemporaneo. Come si potrebbe altrimenti rinunciare a presidiare una trincea così avanzata come quella della carta costituzionale? Certo, occorre che la difesa della Costituzione non sia intesa come lo è generalmente da coloro che se ne propongono difensori, nel senso di un rispetto di regole formali violate dal cesarismo berlusconiano. Così intesa, la difesa della Costituzione non è tale, perché ignora niente meno che tutti i principi sanciti nella prima parte del testo costituzionale. Inoltre, questa difesa non può oggi passare per nessuna delle istituzioni dello Stato, perché esse sono in mano al ceto politico dominante. Quel che servirebbe sarebbe incoraggiare e promuovere lotte in difesa dei principi definiti dalla Costituzione etico-sociali ed economici.
12) La difesa della Costituzione è importante anche in relazione ai principi da essa definiti civili, che sono quelli più strettamente “liberali”: libertà della persona, habeas corpus, libertà di opinione, libertà di associazione, diritto per gli accusati di essere processati da una magistratura indipendente dal potere politico e soggetta solo alla legge. Si tratta di diritti e garanzie che l’evoluzione del capitalismo sta erodendo. Le innovazione legislative fatte approvare in vari paesi occidentali con il pretesto dell’11 Settembre compiono passi significativi nelle direzione dell’erosione di tali principi. La nozione stessa di “terrorismo” è una scatola vuota che permette al potere ogni forma di arbitrio. Questa evoluzione ha una sua logica. Se non si riesce a realizzare una fuoriuscita dal capitalismo, assisteremo ad una fase nella quale il potere dello Stato dovrà intervenire in modo sempre più esplicito e diretto a sostegno dell’accumulazione capitalistica, che risulterà sempre più difficile e sempre più dannosa per il genere umano. Questo intervento statale non potrà più permettersi il lusso delle garanzie liberali. E’ il modello del capitalismo “alla cinese”. È quello che ci aspetta, e contro un tale orrore anche la difesa dei diritti “liberali” è un utile strumento di resistenza.
13) Il riferimento alla Costituzione implica un’attribuzione di valore al principio di legalità che è di aiuto, se ben intesa, nella lotta al capitalismo. Un aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è, infatti, l’ossessiva ricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine, inattuabile nell’ambito delle stesse leggi vigenti: di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande dell’economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare uno spazio crescente all’economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde sempre di più con quella “legale”. Gli esempi sono innumerevoli. Basti pensare ai collegamenti che si devono instaurare fra imprese industriali del nord e camorra per lo smaltimento illegale dei rifiuti, secondo le denunce dell’ormai famoso “Gomorra” di Roberto Saviano. Basti pensare a come il commercio delle armi porti necessariamente ad analoghi collegamenti, visto che le armi iniziano con l’essere prodotte legalmente da rispettabili industrie e finiscono poi in mano a criminalità e gruppi armati di vario tipo. Basti pensare a quali devono essere i legami che rendono possibili la “ripulitura” dell’immenso fiume di denaro sporco prodotto da attività come appunto il commercio di armi o la droga, e a come questo fiume di denaro accresca, in questi tempi di capitalismo finanziario, il potere di chi, nel mondo dell’economia “ufficiale”, riesce a sfruttarlo. E si potrebbe continuare notando come l’illegalità sia ormai un aspetto strutturale dell’economia contemporanea. La richiesta di un controllo di legalità sulle azioni dei potenti della politica e dell’economia ha un carattere di resistenza e ostacolo al dispiegamento della logica dell’attuale sistema sociale ed economico, ed il vantaggio di poter raccogliere consensi anche tra chi non comprende la natura del capitalismo, mettendo in difficoltà, se ben condotta, i ceti economici e politici dominanti. Ciò è tanto più importante in Italia, un paese nel quale le organizzazioni criminali rappresentano una componente fondamentale della struttura di potere del capitalismo presente e futuro. Le zone del sud controllate dalle varie mafie rappresentano una probabile prefigurazione di ciò che ci aspetta, se non riusciamo a mettere in campo una forza antagonista rispetto alla barbarie cui ci porta il capitalismo.
Anche questa seconda parte a mio avviso denota una scarsa comprensione del marxismo.
Continui a muoverti in un ambito puramente idealistico, utopistico direbbe Marx.
Il tuo anticapitalismo non è marxista e la tua prospettiva nemmeno socialista.
Il fatto che fino ad oggi il capitalismo non abbia ancora creato le condizioni oggettive per il suo superamento
e il soggetto rivoluzionario non si è concretizzato, non significa che Marx abbia sbagliato previsioni.
Semmai la storia sta dando ragione a Marx. Il capitalismo si è affermato ovunque sul pianeta anche nei paesi
che hanno fatto la rivoluzione “contro il capitale” cioè nelle condizioni non previste da Marx,
a dimostrazione che che non si può velleitariamente abolire il capitalismo per volontà di un singolo o
anche di una moltitudine.
Poi parli di un ritorno al “vero” Marx contro i travisamenti e i tradimenti perpetrati dal socialismo realizzato.
Ignori completamente le condizioni oggettive materiali (arretratezza economica) nelle quali hanno dovuto
operare i rivoluzionari del passato, lottando contro le classi dominanti mondiali e nazionali e le aggressioni
esterne.
Ma pensi che se al posto di Lenin, Stalin e Mao, ci fossero stati i “veri autentici interpreti di Marx“, avremmo
oggi il socialismo?
L’Urss e la Cina erano paesi economicamente arretrati e non le economie più avanzate del capitalismo
mondiale dalle quali secondo Marx avrebbero dovuto/potuto scaturire le rivoluzioni. Che socialismo avrebbero
mai potuto realizzare all’indomani della rivoluzione, quando lo stesso Marx prospetta il socialismo in un futuro lontano?
Il socialismo presuppone un’enorme sviluppo delle forze produttive, altrimenti si socializza solo la miseria. Il socialismo è una prospettiva storica che non si costruisce in qualche decennio. Ma siccome per te l’ideale comunista non si è subito realizzato, allora bisogna fare tabula rasa e squalificare proprio “quel movimento reale“ che ha cercato (anche negli errori, perché la storia è apprendimento) di cambiare il corso della storia.
Così come l’assetto delle attuali democrazie liberali, non si è realizzato il giorno dopo la rivoluzione francese. E la rivoluzione francese ha prodotto anche il terrore giacobino, la repressione in Vandea, così come la guerra di conquista napoleonica…
Ma se anche il partito che tu auspichi prendesse il 100% dei voti e vada al potere in Italia, cosa credi che le classi dominanti italiane e straniere staranno a guardare mentre “i veri interpreti di Marx” costruiscono la società dell’eguaglianza? Che si lasceranno sottrarre potere e ricchezza senza lottare con ogni mezzo?
La storia ha dimostrato che anche quando la sinistra è andata al potere tramite elezioni, non è mai riuscita nell’intento di realizzare una società più giusta. E come mai secondo te? Perché sono tutti traditori che non hanno ben compreso Marx o perché si sono confrontati con nemici più potenti di loro e trasformare la realtà è molto più difficile che fare l’esegesi dei testi di Marx?
Le classi subordinate sono deboli per definizione, devono lottare contro un nemico di classe molto più potente di loro e quindi è normale che il più delle volte perdano.