APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO – 5°
PATOLOGIA CARDIACA
ENDOCARDITE
Per endocardite si intende uno stato infiammatorio dell’endocardio, il tessuto che riveste le cavità interne e le valvole del cuore; in particolare, i tessuti endocardici maggiormente coinvolti nella malattia infettiva risultano essere le valvole cardiache.
Epidemiologia
L’incidenza rimane costante negli ultimi anni attestandosi a 3 casi su 100.000 persone, mentre in passato (si parla degli anni intorno al 1950) era leggermente più alta (si arrivava al 4,2).
Risulta più colpito il sesso maschile e, nella maggioranza dei casi, l’età con maggiori manifestazioni è quella che parte dalla quinta decade.
Infanzia
L’incidenza della malattia risulta in continua crescita per quanto riguarda i neonati e i bambini (1 su 4500, mentre è molto più bassa nei Paesi Bassi). Quando sono coinvolti i nascituri il rischio di mortalità è molto elevato.
Fattori di rischio
Costituiscono fattori di rischio molte malattie cardiache e altre condizioni fra cui:
– Prolasso valvolare mitralico, soprattutto se associato ad insufficienza della valvola (rigurgito di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro)
– Nell’anziano esiti di cardiopatia reumatica (7-18%), valvola aortica bicuspide, stenosi e calcificazioni valvolari degenerative.
– Cardiopatie congenite, trilogia e tetralogia di Fallot, pervietà di setto atriale o ventricolare, stenosi della polmonare isolata, valvola aortica bicuspide.
– Sindrome di Marfan, per predisposizione a prolasso ed insufficienza mitralica
– Esiti di infarto del miocardio
– Nutrizione parenterale continua, catetere venoso centrale
– Tossicodipendenza, con maggiore manifestazione del cuore destro.
– Pazienti portatori di protesi valvolari, soprattutto se diabetici e/o immunodepressi.
Eziologia
Si distinguono due macrocategorie eziologiche: cause infettive e cause non infettive. Queste ultime, più rare, si caratterizzano per emocoltura negativa e per la presenza di vegetazioni endocardiche sterili; tra queste, la più importante è sindrome di Libman-Sacks, estrinsecazione endocardica del lupus eritematoso sistemico. Nei soggetti anziani, affetti da carcinomi metastatici può presentarsi una “endocardite marantica”, soprattutto in presenza di adenocarcinoma mucinoso o di sindrome di Trousseau. L’eziologia della endocarditi infettive varia in base all’età e alle condizioni predisponenti. I due generi batterici più frequenti sono lo Staphylococcus e lo Streptococcus. Tra i primi è di particolare importanza lo Staphylococcus aureus, molto spesso correlato a procedure invasive e in grado di infettare valvole native. Gli stafilococchi coagulasi negativi (come Staphylococcus epidermidis, Staphylococcus lugdunensis, Staphylococcus hominis) insorgono invece più frequentemente su valvole protesiche. Tra gli streptococchi assumono particolare importanza gli streptococchi di gruppo D (come Streptococcus bovis, Streptococcus galloliticus, presenti nel tratto gastrointestinale) e gli streptococchi viridanti (come Streptococcus mutans, Streptococcus oralis, Streptococcus salivarius, presenti nel cavo orale), entrambi genere in grado di infettare valvole native o protesiche. Occorre inoltre ricordare che un ampio gruppo di batteri possono provocare endocardite, tra questi:
– Enterococcus faecalis
– Pseudomonas aeruginosa, soprattutto nei tossicodipendenti
– Enterobacteriaceae
– Neisseria
– Gruppo HACEK[4]
– Brucella
– Yersinia
– Listeria
– Coxiella
– Bacterioides
– Acinetobacter
– Corynebacterium
Deve essere altresì ricordato che un’endocardite infettiva può essere sostenuta da Candida albicans, soprattutto in soggetti immunocompromessi, sottoposti a intervento cardiochirurgico o in terapia endovenosa attraverso catetere venoso centrale.
Sintomatologia
Molti sono i sintomi e i segni clinici che si riscontrano nelle persone affette da questa patologia.
– Manifestazioni maggiori
Febbre, anemia (talora piastrinopenia), sudorazione, sensazione di brivido;
– Manifestazioni minori
Anoressia, astenia, artralgie (40% dei casi), splenomegalia (30% dei casi), emboli settici (30% dei casi) in cute, palato e congiuntive, con segni caratteristici come noduli periungueali di Osler, macchie cutanee a fiamma di Janeway, lesioni retiniche di Roth, leucocitosi. Possono inoltre manifestarsi infarti embolici renali, glomerulonefrite focale o diffusa e altre patologie da immunocomplessi
Diagnosi
La diagnosi si pone con almeno due su tre dei criteri maggiori:
– Ecocardiogramma – che presenta vegetazioni valvolari
– Coltura positiva per Stafilococchi o Streptococchi
– Presenze di un soffio cardiaco generato da valvulopatia endocarditica.
La diagnosi si può porre anche con uno solo dei criteri maggiori (ECOcardio, coltura positiva, nuovo soffio cardiaco) e almeno tre tra le varie manifestazioni minori.
Terapia
Il trattamento da seguire per tale malattia è molto studiato in letteratura ma rimane ancora controverso, preferendo un intervento chirurgico di resezione e sostituzione valvolare.
CARDIOMIOPATIE ____________________
Le cardiomiopatie costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie del miocardio a eziologia frequentemente genetica, che attraverso lo sviluppo di disfunzioni elettriche e/o meccaniche a carico del muscolo cardiaco determinano spesso (ma non sempre) l’instaurarsi di fenomeni di ipertrofia o dilatazione delle camere ventricolari. Tali fenomeni in ultima analisi hanno come esito lo scompenso cardiaco o la morte improvvisa del paziente. Le cardiomiopatie non comprendono invece tutte quelle manifestazioni di tipo dilatativo o ipertrofico che derivano da patologie come l’ipertensione (sistemica o polmonare), le coronaropatie, i difetti valvolari o le malattie del pericardio.
Classificazione
All’interno del vasto insieme delle cardiomiopatie è possibile distinguere due grandi sottocategorie
Cardiomiopatie primitive
Sono caratterizzate da quadri patologici confinati al solo miocardio e si dividono in:
Genetiche
– Cardiomiopatia ipertrofica con o senza ostruzione: difetti della compliance diastolica per rigidità aumentata.
– Cardiomiopatia/Displasia aritmogena del ventricolo destro
– Cardiomiopatia del ventricolo sinistro non compattato
– Difetto di conduzione cardiaca progressivo o malattia di Lenegre
– Canalopatie:
Sindrome del QT lungo
Sindrome di Brugada
Tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica
Sindrome del QT corto
Miste
– Cardiomiopatia dilatativa: difetti della pompa sistolica
– Cardiomiopatia restrittiva primaria senza ipertrofia: fibrosi endomiocardica con o senza eosinofilia. Difetti della compliance diastolica.
Acquisite
– Miocardite (o cardiomiopatia infiammatoria)
– Sindrome tako-tsubo o cardiomiopatia da stress
– Cardiomiopatia peripartum
– Cardiomiopatia associata a tachicardia
– Cardiomiopatia associata a nascita da madri con diabete insulino-dipendente
Cardiomiopatie secondarie
In queste forme la malattia del miocardio non è che una delle espressioni di una più vasta patologia multiorgano
– Malattie da accumulo (amiloidosi, emocromatosi…)
– Agenti tossici (droghe, metalli pesanti…)
– Malattie granulomatosiche (sarcoidosi)
– Malattie endocrine (diabete mellito, iper/ipotiroidismo, feocromocitoma…)
– Malattie neurologiche o neuromuscolari (distrofia miotonica, neurofibromatosi…)
– Malattie da malnutrizione (beriberi, pellagra…)
– Malattie (autoimmuni) del collagene (lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide…)
– Effetti della chemioterapia antitumorale con antracicline, radiazioni o ciclofosfamide
– Altre (sindrome di Noonan, fibrosi endomiocardica…)
1) Cardiopatia reumatica
La cardiopatia reumatica fa parte di un quadro generale di febbre reumatica, che è una malattia infiammatoria acuta immunomediata e multiorgano che segue di alcune settimane un episodio di faringite da streptococco di gruppo A (Faringite streptococcica). Nei paesi occidentali la febbre reumatica ha subito una forte diminuzione dell’incidenza negli ultimi quarant’anni grazie al miglioramento delle condizioni socioeconomiche, alla maggiore precocità della diagnosi e quindi del trattamento delle faringiti; nei paesi in via di sviluppo, tuttavia, la febbre reumatica continua ad essere un problema sanitario importante.
Morfologia
La cardiopatia reumatica è caratterizzata dall’organizzazione del processo infiammatorio acuto che porta a fibrosi, in particolare i lembi valvolari diventano ispessiti e retratti deformandosi permanentemente. Le lesioni microscopiche più caratteristiche a livello cardiaco cono i corpi di Aschoff, focolai di collagene eosinofilo circondato da linfociti (principalmente T), occasionalmente si riscontrano plasmacellule e macrofagi rigonfi, nuclei centrali polilobati e cromatina disposta “a nastro ondulato” detti cellule di Anitschkow. Durante la fase acuta, l’infiammazione diffusa e i corpi di Aschoff si possono repertare a livello del pericardio, del miocardio e dell’endocardio, portando così alla denominazione di pancardite.
Pericardio
Nel pericardio l’infiammazione si associa ad un essudato fibrinoso o sierofibrinoso, che porta ad una pericardite a “pane e burro” che in genere si risolve senza sequele;
Endocardio e Miocardio
Le lesioni macroscopiche sono tipiche della forma cronica e sono classicamente a carico delle valvole. Nella valvola mitrale, che è sempre coinvolta (nel 70% dei casi da sola) le cui modificazioni principali, nella fase acuta, sono lembi edematosi e la formazione di verruche sui bordi valvolari disposte “a rosario”, che esitano, nella fase cronica, nell’ispessimento dei lembi, la fusione delle commissure, l’accorciamento e la fusione delle corde tendinee (infatti la febbre reumatica è responsabile del 99% dei casi di stenosi mitralica). Nei casi più gravi vi può essere un interessamento anche della valvola aortica. A livello microscopico anche nel miocardio troviamo necorsi fibrinoide e i corpi di Aschoff si ritrovano nel tessuto connettivo, in genere in sede perivasale. Possiamo trovare, inoltre, ispessimenti irregolari dell’endocardio noti come placche di MacCallum.
Patogenesi
Si ritiene che la febbre reumatica acuta sia una reazione da ipersensibilità indotta dagli streptococchi di tipo A, ma l’esatto meccanismo patogenetico rimane sconosciuto nonostante i molti anni di ricerca.
Caratteristiche Cliniche
La febbre reumatica è caratterizzata da:
– poliartrite migrante delle grandi articolazioni
– cardite
– noduli sottocutanei
– eritema marginato della cute
– corea di Sydenham, detta anche chorea minor o anche ballo di San Vito, un disordine neurologico caratterizzato da movimenti involontari e non finalizzati
– segni e sintomi aspecifici come febbre, artralgia, livelli citoplasmatici elevati di proteine di fase acuta
PERICARDITE
La pericardite è una malattia infiammatoria (acuta, subacuta, cronica) che colpisce il pericardio, accompagnata da alterazione degli indici infiammatori (VES, PCR), spesso dà dolore intenso, che aumenta in alcune posizioni o per inspirazioni profonde, a volte irradiato.
Una piccola quantità di liquido tra i due foglietti del pericardio è fisiologica ma quando esiste infiammazione il liquido può aumentare. Si parla in questo caso di versamento pericardico, che può avere entità molto variabile e che la maggior parte delle volte si risolve con terapie mediche. Sono spesso presenti alterazioni dell’elettrocardiogramma, non sempre tipiche, e sfregamenti pericardici all’auscultazione.
La pericardite va distinta da altri versamenti patologici che sono:
– Idropericardio: che si verifica quando il versamento è un trasudato, nel caso di aumento persistente della pressione venosa nelle vene toraciche o quando si verifica uno squilibrio tra pressione idrostatica e pressione oncotica (tipico dell’insufficienza cardiaca o della sindrome nefrosica)
– Emopericardio: quando la cavità pericardio è invasa dal sangue che può provenire dal cuore o da rottur dei vasi che decorrono lateralmente.
Sintomi
La pericardite acuta si manifesta con febbre e astenia, tipicamente dispnea. Il dolore toracico è simile a quello causato dall’ischemia, essendo mediato dalla stessa innervazione, quindi è riferito a regione precordiale, spalla e braccio sinistro, collo sul lato sinistro. Caratteristicamente il dolore della pericardite si aggrava coi movimenti del torace e con la tosse. Il paziente tende ad assumere posizione genupettorale. I sintomi possono essere proporzionati all’entità del versamento, che in genere è però una complicanza. A volte possono verificarsi modeste aritmie, generalmente di origine atriale.
In caso si manifesti tamponamento cardiaco, i sintomi sono quelli dello shock cardiogeno, con tachicardia, bassa pressione sistolica, bassa gittata cardiaca e congestione polmonare, polso paradosso, agitazione e stato confusionale, dispnea, cute fredda e pallida.
La pericardite costrittiva generalmente non provoca sintomi, finché la funzione sistolica è preservata. In caso di deficit diastolico rilevante, si manifesta con congestione delle vene del collo in inspirazione, edemi periferici ed epatomegalia. In caso di compromissione sistolica i sintomi sono dispnea ed astenia anche gravi provocati dalla congestione polmonare La fibrillazione atriale è più frequente come conseguenza in caso di pericardite costrittiva.
Cause
La maggior parte delle volte la causa resta sconosciuta, ma molte malattie di origine infettiva o immunologica possono causare pericarditi. L’origine “idiopatica” è una diagnosi di esclusione, dopo indagini su infezioni batteriche, virali e per individuare eventuali malattie autoimmuni.
Infarti o procedure cardiache invasive possono risultare nell’insorgenza di pericardite. La pericardite può essere risultato del coinvolgimento di organi o strutture vicini, di tubercolosi o neoplasie, di immunodeficienze, insufficienza renale, leucemie, traumi del torace, radioterapia.
I versamenti pericardici a volte sono asintomatici o non accompagnati da infiammazione. In questi casi è importante escludere tubercolosi, neoplasie, ipotiroidismo ecc. Se non viene individuata alcuna causa, il versamento è monitorato nel tempo, quando possibile evitando pericardiocentesi o manovre invasive diagnostiche. Malattie autoimmuni quali lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, sindrome di Sjögren, Febbre reumatica sono cause tipiche di pericardite.
Terapia
Le terapie si basano sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori (FANS) e aspirina ad alte dosi.
Per prevenire recidive, molti studi indicano l’utilità della colchicina, anche a basso dosaggio (0,5–1 mg/g). La cura con cortisone è la più diffusa, ma anche una causa importante di ricadute.
Gli antibiotici sono spesso somministrati in caso sospetto di infezione.
Evoluzione
Passata la fase acuta, i controlli sia ematologici (esami del sangue) sia strumentali (ecocardiografia) devono essere ripetuti a intervalli regolari per un periodo variabile.
La prognosi è buona nella maggior parte dei casi, anche in presenza di recidive.
La pericardite costrittiva, così come il tamponamento cardiaco, sono eventi rari.
STENOSI AORTICA
Per stenosi aortica si indica un restringimento dell’anulus aortico, molto diffuso soprattutto in soggetti con difetti valvolari. Nelle persone apparentemente sane, ovvero senza sintomi, il rischio è maggiore dopo i 60 anni di età, con la naturale modifica che interviene con l’invecchiamento. Questo restringimento determina un gradiente pressorio che impone al ventricolo sinistro di sviluppare una maggiore pressione con la sistole al fine di mantenere una gittata cardiaca adeguata alle richieste metaboliche. Il miocardio nel corso degli anni e man mano che la stenosi si fa più grave, sviluppa un’ipertrofia concentrica come meccanismo di compenso.
Segni e sintomi
La classica triade di sintomi nei pazienti con stenosi aortica è:
– Sincope, che avviene durante lo sforzo, causata dalla caduta della pressione arteriosa sistolica quando vi è vasodilatazione sistemica in presenza di un volume d’eiezione fisso (o che comunque non può aumentare rispetto alle esigenze sistemiche, a causa della diminuita area valvolare)
– Dolore toracico (angina pectoris), che tipicamente si presenta sotto sforzo e diminuisce a riposo
– Dispnea, dapprima da sforzo, poi ortopnea, dispnea parossistica notturna.
I sintomi, specie i primi due, si manifestano tardivamente, o comunque quando è presente un certo grado di insufficienza ventricolare sinistra.
I segni tipici rilevabili durante la visita clinica sono:
– Polso arterioso parvus et tardus, ovvero di bassa ampiezza (parvus), con un picco ritardato e a plateau e una discesa graduale (tardus).
– Sdoppiamento paradosso del secondo tono, dato dalla ritardata chiusura della valvola aortica
– Soffio sistolico in focolaio aortico, tipicamente in crescendo-decrescendo, che inizia subito dopo il primo tono, raggiunge la massima intensità a metà sistole e scompare un attimo prima di udire il secondo tono. Si può irradiare al collo ed alla punta (segno di Gallavardin).
– Quarto tono accentuato, causato dall’energica contrazione atriale contro un ventricolo sinistro ipertrofico e quindi poco distensibile
– Click d’eiezione, comune nei bambini e giovani portatori di stenosi aortica congenita
– Pulsus alternans, in caso di disfunzione sistolica del ventricolo sinistro
Eziologia
Cause maggiori
In un grande numero di casi la stenosi è da degenerazione e calcificazione dei lembi valvolari. Tali alterazioni, in era pre-antibiotica, potevano dipendere da un attacco di febbre reumatica da infezione da streptococco, in altri casi da sclerosi idiopatica o da cardiopatica congenita.
La stenosi cronica può comportare una insufficienza del ventricolo sinistro – con relativo scompenso cardiaco – quando si è superato il tempo giusto per la sostituzione chirurgica della valvola, che rappresenta l’unica terapia definitiva per la cura di queste affezioni.
Cause minori
Cause rare della stenosi sono: artrite reumatoide, iperlipoproteinemia omozigote di tipo II, lesioni da radioterapia, malattia di Paget e infine il lupus eritematoso sistemico.
Tipologia
L’ostruzione può essere valvolare, sopravalvolare oppure sottovalvolare (o membranosa).
Stenosi valvolare aortica
La stenosi valvolare è a sua volta suddivisa in congenita, reumatica o anche calcifica (o degenerativa); in questi casi, se non associata ad una stenosi mitralica, si correla alla tipologia congenita o degenerativa
– Stenosi aortica calcificata, la si può osservare in persone con età superiore a 35 anni ed è conseguenza della calcificazione di una valvola che per patologia congenita o reumatica è divenuta soggetta ad alterazioni degenerative.
Stenosi aortica sopravalvolare
È una forma congenita della stenosi, accompagnata di solito da ispessimento intimale e ipertrofia della media. Si crea un gradiente pressorio intra-aortico (mentre nella stenosi valvolare il gradiente è tra ventricolo sinistro ed aorta).
Stenosi aortica sottovalvolare
Questa tipologia si riscontrata in circa 20% di tutte le stenosi aortiche, suddivise in tre varietà anatomiche principali:
– A diaframma, dove è presente una membrana fibrosa circolare. Il diaframma può essere completo od incompleto. La zona di competenza varia da pochi mm a 2–3 cm sempre sotto la valvola aortica.
– A tunnel, con restringimento fibromuscolare diffuso della parte di efflusso del ventricolo sinistro
– Fibromuscolari, con presenza di un “collare” o di uno sperone subaortico.
Tali forme vengono distinte dalla cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, ma in una persona, anche se raramente, le si possono ritrovare entrambe
La terapia radicale di queste forme è esclusivamente chirurgica.
La valvola aortica bicuspide
La valvola aortica bicuspide è un difetto congenito che consiste nell’assenza di una cuspide, con normale funzionamento delle cuspidi rimanenti. Talora può esservi insufficienza.
Tale difetto può predisporre alla calcificazione prematura dei lembi valvolari. Normalmente l’ispessimento e la calcificazione delle valvole, inizia dalla sesta-settima decade, come espressione dell’invecchiamento naturale dell’organismo; in presenza del difetto congenito, tale deposito viene generalmente anticipato.
Esami
L’esame necessario per seguire l’evoluzione della patologia è l’ecocardiogramma Doppler: esame non-invasivo e ripetibile ogni sei-dodici mesi, a seconda del grado di ostruzione. L’angiografia delle coronarie viene eseguita esclusivamente come dato pre-intervento chirurgico.
Terapie
Se il paziente è asintomatico, la stenosi non è severa (velocità massima del sangue attraverso la stenosi, rilevata con ecodoppler, <4 m/s, gradiente medio di pressione transvalvolare <40 mmHg, area dell’orifizio aortico > 1 cm2) e la frazione di eiezione è superiore al 50%, il paziente viene seguito nel tempo. Si attua comunque, a scopo cautelativo, la profilassi antibiotica per evitare l’endocardite infettiva.
Se la stenosi è sintomatica ed è severa (velocità massima del sangue attraverso la stenosi, rilevata con ecodoppler, >4 m/s, gradiente medio di pressione transvalvolare >60-70 mmHg, area dell’orifizio aortico < 1 cm2) è necessario l’intervento chirurgico.
Altri ritengono che il gradiente medio debba essere portato a 80-100 mmHg. Secondo le linee guida americane 2006 sul management del paziente con valvulopatie, discriminante è la frazione di eiezione. Se risulta <50%, si ha indicazione all’intervento chirurgico anche se il paziente è asintomatico.
La terapia chirurgica è in genere legata alla sostituzione della valvola, solo in una minoranza di casi con la valvuloplastica (cioè si corregge il difetto lasciando la valvola nativa). Recentemente, con una tecnica simile all’angioplastica, si sostituisce la valvola senza la toracotomia tradizionale.
Diagnosi correlate
I soggetti con stenosi aortica, secondaria ad una reazione immunitaria con aggressione delle strutture valvolari, possono essere soggetti ad arteriosclerosi.
STENOSI MITRALICA
La stenosi mitralica si definisce come la riduzione dell’orifizio valvolare mitralico del cuore, causata a volte da un processo infiammatorio che colpisce i lembi valvolari od il loro apparato di sostegno, talora invece da processi degenerativi, come la calcificazione dell’anulus legata all’età. Questo determina un ostacolo al passaggio di sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro. Può essere, sebbene in pochi casi, anche di origine congenita.
Eziopatogenesi
La causa della stenosi mitralica era di solito reumatica in era pre-antibiotica. Gli streptococchi di gruppo A possiedono antigeni di superficie strutturalmente simili ad alcune proteine presenti nella struttura valvolare; la reazione antigene – anticorpo che ne deriva causa la formazione di numerosi piccoli noduli fibrotici sui lembi valvolari, che con il tempo vanno incontro a calcificazione e retrazione. Il processo può estendersi alle corde tendinee, che rappresentano il supporto meccanico delle valvole, provocandone il loro irrigidimento fibrotico, con conseguente arresto del movimento dei lembi valvolari, i quali, una volta calcificati, danno alla valvola l’aspetto a “bocca di pesce”.
I lembi valvolari possono essere interessati da altre cause che ne modifichino la struttura e conducano all’alterazione anatomica: la stenosi congenita, le endocarditi, il LES, l’artrite reumatoide, il mixoma e la sindrome da carcinoide.
Sintomatologia
La conseguenza del restringimento valvolare è un aumento di pressione nell’atrio sinistro per superare la resistenza opposta dalla valvola L’aumento pressorio con il progredire della patologia si trasmette per via retrograda a tutto il sistema circolatorio del polmone. I sintomi sono: mancanza di respiro per piccoli sforzi (dispnea da sforzo); facile affaticamento, causato da una bassa gittata cardiaca, cioè da una ridotta quantità di sangue che viene spinto dal ventricolo sinistro verso tutto l’albero arterioso. Con l’avanzare della patologia la dispnea si fa più grave e, in caso di congestione polmonare, si aggiungono ortopnea e dispnea parossistica notturna. L’edema polmonare, cioè un passaggio di liquido dai capillari all’interno degli alveoli polmonari, per improvviso aumento della pressione nei capillari stessi, con conseguente grave sintomatologia dispnoica, può intervenire nei casi più gravi e si può associare emoftoe, ovvero sputo ematico, quando si instaura ipertensione polmonare; causa importante di complicanze e morte sono le embolie polmonari ricorrenti in caso di insufficienza del ventricolo destro. Frequente è la comparsa di fibrillazione atriale, causata dalla valvulopatia e dall’ingrandimento dell’atrio sinistro con possibile comparsa di trombi sulle pareti dell’atrio sinistro o più propriamente all’interno dell’auricola sinistra. La fibrillazione causa sintomatologia soggettiva di cardiopalmo, mentre i trombi possono staccarsi come emboli e migrare soprattutto verso il cervello e provocare un ictus.
Diagnosi
L’obiettività cardiaca varia in rapporto alla gravità della lesione. Alla palpazione, l’itto della punta è percepito in sede normale. In sede precordiale è avvertibile un fremito diastolico, determinato dai vortici generati dal passaggio di sangue attraverso la valvola stenotica. I reperti più utili ai fini diagnostici si ottengono con l’auscultazione, e sono più facilmente udibili al focolaio mitralico e col paziente in decubito laterale sinistro. Il primo tono ha intensità accentuata e durata ridotta. La pausa sistolica è completamente libera. Il secondo tono è aumentato solo quando si sviluppa ipertensione arteriosa polmonare. In protodiastole possiamo avvertire un tono aggiunto (a 0,04-0,12 sec dalla componente aortica del II tono), il cosiddetto schiocco o tono di apertura della mitrale, caratterizzato da breve durata e alta frequenza. Tanto più è grave la stenosi, tanto più lo schiocco sarà precoce. Successivamente ha inizio un soffio a bassa frequenza (rullio diastolico) che ha una durata proporzionale alla gravità della stenosi. In pazienti con ritmo sinusale, si può notare una riaccentuazione del soffio in fase presistolica (rinforzo presistolico), da attribuire alla sistole atriale. Tale reperto scompare dunque in corso di fibrillazione atriale. Tutti i reperti descritti si accentuano con l’aumentare della portata e della frequenza cardiaca. Pertanto, per avere un quadro ascultatorio più netto si può invitare il paziente a svolgere un esercizio fisico anche di lieve entità. Con l’aggravarsi della patologia, i reperti classici finora descritti possono mutare: il I tono e lo schiocco di apertura possono ridursi di intensità per via di calcificazioni diffuse che rendono ipomobili i lembi valvolari; anche il rullio diastolico può diminuire in intensità e durata, in seguito all’instaurarsi di ipertensione polmonare (in questo caso può invece compaire un click protosistolico e un soffio diastolico in decrescendo ad alta frequenza, soffio di Graham-Steel, sul focolaio polmonare, da attribuirsi alla dilatazione dell’arteria polmonare. La graduale scomparsa dei classici reperti auscultatori configura il quadro della cosiddetta “stenosi mitralica silente”. In questa fase, la grave riduzione della portata cardiaca indurrà una vasocostrizione periferica con conseguente stasi venosa; per tali ragioni il paziente mostrerà giugulari turgide, pallore e cianosi dei pomelli e delle labbra (“facies mitralica”).
L‘elettrocardiogramma, quando il paziente è in ritmo sinusale, evidenzia un’alterazione dell’onda P molto caratteristica, tanto da definirla P mitralica; l’ecocolor Doppler è diagnostico per la malattia valvolare nel 100% dei casi. L’Rx del Torace è una tecnica ormai abbandonata per la diagnosi di stenosi mitralica.
TERAPIA
Nessuna terapia è indicata per i pazienti asintomatici di grado 1 della classificazione NYHA (New York Heart Association) che non abbiano fibrillazione atriale. Nel caso della presenza di dispnea, necessita ridurre il cosiddetto precarico, onde evitare l’edema polmonare. Per prevenire gli episodi di fibrillazione atriale possono essere utilizzati degli antiaritmici, ma quando l’aritmia è cronica si userà solo la digossina.
L’intervento chirurgico di valvuloplastica, di commissurotomia, di riparazione valvolare o di sostituzione valvolare si rende necessario prima che la presenza della stenosi diventi severa e, associata alla fibrillazione atriale, causi un grave declino della funzionalità cardiaca.
La commissurotomia si può effettuare soltanto qualora i lembi non siano calcifichi e sia conservato l’apparato sottovalvolare. Tramite una toracotomia anteriore-laterale sinistra, si accede al torace attraverso lo spazio di resezione della V costa. Aperto il pericardio attraverso l’auricola sinistra, si introduce nell’ostio mitralico un divulsore che, aprendosi, forza i lembi valvolari in modo da separare le commissure fuse.
Oggi tale approccio può essere sostituito dalla valvuloplastica a palloncino, procedura simile all’angioplastica.
La sostituzione valvolare mitralica prevede una toracotomia antero-laterale sinistra con escissione sotto-periostale della V costa; il paziente viene posto in circolazione extracorporea (CEC). La valvola viene sostituita con una protesi di misura congrua all’annulus naturale.
La riparazione della valvola mitralica dà risultati migliori nelle insufficienze mitraliche da prolasso e rottura di una corda tendinea (intervento per il quale rappresenta la prima scelta terapeutica). Non può essere attuata nella valvulopatia reumatica, dove la deformazione non è riparabile. L’intervento è eseguito in CEC. Può comprendere:
– accorciamento di corde tendinee allungate;
– sezione di parte di un lembo valvolare;
– trasposizione delle corde tendinee o sostituzione con corde sintetiche;
– uso di anelli contenitrici per ridurre o rimodellare l’annulus dilatato e deformato;
– anello di Carpentier.
INSUFFICIENZA MITRALICA
Per insufficienza mitralica o rigurgito mitralico, si intende il manifestarsi del reflusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro, dovuto ad un’anomalia che determina un’imperfetta coaptazione dei lembi mitralici durante la sistole ventricolare.
Eziologia
In passato la causa più comune di insufficienza mitralica era la malattia reumatica, che causava retrazione e fibrosi delle cuspidi, associando quindi alla insufficienza anche una forma di stenosi mitralica.
Attualmente la causa più comune è la degenerazione mixomatosa della valvola, talvolta associata a difetti congeniti del tessuto connettivo, come ad esempio la sindrome di Marfan.
Lo sviluppo di una cardiomiopatia dilatativa può portare a una insufficienza mitralica “funzionale”, ossia determinata non da alterazioni anatomiche della valvola, ma da alterazioni volumetriche dell’atrio e del ventricolo sinistro.
Anche corde tendinee e muscoli papillari possono causare insufficienza valvolare: le prime se interessate da un processo reumatico che ne provoca la retrazione, i secondi in caso di rottura a seguito di un infarto miocardico.
Ulteriori cause sono l’endocardite e il prolasso valvolare mitralico.
Patogenesi
L’insufficienza mitralica viene distinta in due forme, una acuta e una cronica.
La forma acuta è causata da un’endocardite acuta o dalla rottura di un muscolo papillare, e la conseguente insufficienza non concede all’atrio sinistro il tempo di dilatarsi e di ipertrofizzare per compensare l’aumento di volume e di pressione. Si crea così un rapido aumento di pressione all’interno dell’atrio e nelle vene polmonari, quindi nei capillari polmonari con conseguente edema polmonare.
La forma cronica invece è caratterizzata da rigurgiti ad intensità graduale, permettendo così all’atrio sinistro di adattare le sue pareti con la dilatazione, mantenendo la pressione al suo interno relativamente stabile. Il sangue rigurgitato in atrio sinistro si va a sommare al normale ritorno venoso e al successivo ciclo andrà nel ventricolo sinistro, causando in questo un aumento del volume e della pressione telediastolica. Il ventricolo sinistro compensa talora con l’ipertrofia eccentrica. Il sovraccarico di volume alla lunga può determinare scompenso del ventricolo con diminuzione della frazione di eiezione e quindi della gittata cardiaca.
Segni e sintomi
Questa valvulopatia può rimanere asintomatica, fino alla sua evoluzione in scompenso cardiaco, evoluzione che però si protrae per decenni e non sempre avviene.
I sintomi tipici sono:
– cardiopalmo, dovuto a fibrillazione atriale o a extrasistoli ventricolari
– dispnea, nel caso si arrivi allo scompenso ventricolare
– astenia
– affaticamento
L’esame obiettivo, in particolare l’auscultazione, permette al medico di individuare una serie di segni:
– soffio sistolico, che è il principale segno clinico della malattia. Questo non è in diretto rapporto con la gravità della valvulopatia, infatti se il soffio è intenso può indicare un’insufficienza lieve, mentre un soffio di debole intensità rivela una forma più grave in quanto la valvola non riesce a fare la minima resistenza al flusso retrogrado.
– primo tono ridotto, a causa della mancata coaptazione dei lembi della valvola durante la sistole.
– secondo tono normale o leggermente aumentato.
– comparsa del terzo tono.
Esami
Molti esami vengono effettuati:
– Radiografia del torace, dove si riscontra un ingrossamento delle camere cardiache di sinistra, si può riscontrare un edema polmonare
– ECG, si mostra un ingrandimento dell’onda P e dei complessi QRS;
– Ecocardiogramma con metodica Doppler, esame diagnostico elettivo che consente di identificare la malattia, quantificare l’entità (grado) e fornire indicazioni sulla probabile eziologia;
– Esami di laboratorio
– Cateterismo cardiaco, con il quale si comprende la gravità dell’insufficienza
– Angiografia coronarica
Terapia
Se il rigurgito mitralico è lieve, non serve un trattamento specifico ma l’ecocardiogramma deve essere ripetuto periodicamente. Se compare la fibrillazione atriale, gli ace-inibitori riducono il rigurgito dell’atrio e quindi possono essere aggiunti al trattamento. In casi più acuti o complicati è necessaria la ricostruzione della valvola cardiaca o la sostituzione con protesi valvolare cardiaca.
INSUFFICIENZA AORTICA
Per Insufficienza aortica o rigurgito aortico in campo medico, si intende il manifestarsi del reflusso di sangue dall’aorta nel ventricolo sinistro in diastole, dovuto ad un’anomalia che determina un’imperfetta chiusura della valvola aortica, totale o parziale. Ciò comporta che il ventricolo sinistro si trovi in sovraccarico di volume per l’ingresso al suo interno di sangue proveniente dall’aorta e dall’atrio sinistro. Per mantenere un’adeguata frazione di eiezione, il ventricolo sinistro va incontro ad ipertrofia eccentrica e, con l’aggravarsi della patologia negli anni, subisce ischemia e scompenso.
Sintomatologia
I sintomi clinici sono dispnea, dapprima da sforzo, poi a risposo, con ortopnea e poi dispnea parossistca notturna come segno di ipertensione polmonare, angina pectoris, palpitazioni, come segno di aritmie, sincope ed astenia a causa della ridotta portata cardiaca.
Si reperta un soffio diastolico in decrescendo con massima intensità a livello del focolaio aortico accessorio (punto Erb). Il soffio è ad alta frequenza ed è determinato dal rigurgito di sangue che dall’aorta giunge in ventricolo. Il decrescendo è dovuto all’equipararsi delle pressioni in aorta e ventricolo in diastole. Si reperta anche un soffio sistolico eiettivo alla base.
A causa del rigurgito aumenta la pressione pulsatoria o differenziale. Come conseguenza di questo, l’onda sfigmica è accentuata a livello dei polsi e dà origine a molti segni clinici. Tipico è il pulsus bisferiens, caratterizzato da un’onda con due picchi, il primo dovuto alla sistole, il secondo all’onda di rigurgito. Viene avvertito come ampio e collassante, a causa della sua velocità a scomparire.
Pulsazioni sono evidenti a livello del capo con movimenti ritmici (segno di Musset), a livello dell’ugola (segno di Mueller), a livello del letto ungueale a seguito di una piccola pressione (segno di Quincke), a livello degli arti inferiosi, se accavallati, a livello di fegato e milza.
All’auscultazione dei polsi femorali è udibile un soffio a colpo di fucile (segno di Traube) e un soffio detto ‘va e vieni’. Quest’ultimo (segno di Duroziez) è auscultabile tramite una lieve pressione dello stetoscopio.
Eziologia
Fra le diverse patologie correlate all’insorgenza della forma cronica di insufficienza aortica, ricordiamo:
– Endocardite
– Sindrome di Marfan
– Artrite reumatoide
– Spondilite anchilosante
– Dissecazione aortica
– Sifilide (Aortite luetica – sifilide terziaria)
– Ectasia dell’annulus aortico
– Trauma
– Febbre reumatica
Inoltre anche la bicuspidia valvolare congenita e la disfunzione di una protesi valvolare possono comportare la nascita dell’insufficienza, infine è stato dimostrato che anche alcuni medicinali possono causare l’insufficienza, come gli antagonisti della dopamina.
Esami
Molti esami si utilizzano per valutare al meglio la valvulopatia:
– Radiografia del torace, dove si riscontra un ingrossamento del ventricolo sinistro, se oltre a ciò si osserva anche dilatazione simultanea dell’atrio destro e della vena cava superiore, si deve supporre anche un coinvolgimento di un’altra insufficienza;
– Cateterismo cardiaco, la sua utilità oltre alla misurazione delle pressioni sia quella intracranica che quella intravascolare e quella di escludere altre valvulopatie
– Angiografia coronarica
– ECG
– Ecocardiografia
– Doppler
– Esami di laboratorio
Terapia
Il trattamento farmaceutico consiste nella somministrazione di calcio-antagonisti, come la nifedipina o ace-inibitori
Il trattamento chirurgico avviene tramite sostituzione valvolare, ma ancora oggi è discusso quando sia il periodo migliore per intervenire.
Prognosi
Quando compaiono i sintomi l’aspettativa di vita si abbassa notevolmente, raramente si superano i cinque anni, senza un’adeguata terapia.
CARDIOPATIA ISCHEMICA
L’ischemia miocardica, anche detta cardiopatia ischemica, è un’ischemia coinvolgente il tessuto miocardico, dovuta all’instaurarsi di uno squilibrio tra l’apporto ematico in tale sede, e la richiesta di ossigeno da parte del tessuto stesso, che diventa quindi ipossico.
Eziologia – fattori favorenti
– riduzione del lume arterioso coronarico molto spesso dovuta alla aterosclerosi coronarica
– vasospasmo
– trombosi
– asfissia
– avvelenamento da monossido di carbonio (CO)
– anemia grave
– cardiopatie congenite cianogene
– ipotiroidismo
– cardiomiopatia ipertrofica
– vasculiti
– origine anomala delle coronarie
– spasmo prolungato delle coronarie subepicardiche
– sindrome X cardiaca (malattia microvascolare)
– infezioni croniche da Clamydia pneumoniae
– parodontite che tende ad aumentare i livelli ematici di proteina C-reattiva,di fibrinogeno, e citochine
– sforzo fisico eccessivo
– tachicardia e altre aritmie
– forti emozioni
– fattori favorenti l’aterosclerosi: età, tabacco, ipercolesterolemia, diabete mellito, ipertensione, obesità,familiarità, vita sedentaria, ipertrigliceridemia
– anticorpi antifosfolipidi
– resistenza all’insulina
– pillola anticoncezionale
– Insufficienza cardiaca
– stenosi aortica
– embolia polmonare
– l’angina di Prinzmetal è causata da spasmi nelle arterie coronarie che possono essere:
spontanei nella maggior parte dei casi,o causati da
freddo
stress emotivo
alcolici
farmaci vasocostrittori
cocaina
Sintomi
– dolore toracico,oppressione retrosternale
– bruciore
– irradiazione del dolore alla spalla sinistra, braccio sinistro, scapole, mandibola, epigastrio, collo, gomito, polsi
– dispnea e senso di soffocamento,nel caso di insufficienza cardiaca con rantoli alle basi polmonari,eventualmente edema polmonare
– iperidrosi
– senso di panico
– cardiopalmo (a seguito di aritmie)
– il dolore anginoso in genere inizia lentamente,per giungere all’apice e quindi sparire nell’arco di 10-15 minuti
– si hanno i sintomi solo quando l’ostruzione è superiore al 70% del lume
– nausea, vomito
– ipossia cerebrale con disorientamento e confusione mentale
– astenia
– Differentemente dall’angina stabile, che dura al massimo 10-15 minuti, il dolore provocato dall’infarto miocardico dura più di 30-40 minuti e non è alleviato né dal riposo, né dall’assunzione di farmaci come l’isosorbide dinitrato o la trinitrina.
– ipertensione e tachicardia (infarto anteriore o laterale)
– ipotensione e bradicardia (nell’infarto inferiore) per l’influenza dell’innervazione vagale della parete diaframmatica
– soffio meso-telesistolico può identificare un’insufficienza mitralica acuta per ischemia e necrosi dei muscoli papillari
– sfregamenti pericardici per pericardite
Complicanze
– fibrillazione ventricolare
– rottura del cuore
– tamponamento pericardico
– morte
– embolia da frammentazione del trombo coronarico
– trombosi venosa profonda da allettamento
– embolia polmonare da possibile trombo apicale
– pericardite
– recidive ischemiche
– fibrillazione atriale
– flutter atriale
Diagnosi
– Elettrocardiogramma (ECG)
Nelle prime 24 ore può essere completamente silente. Segni di infarto sono:
sottoslivellamento di ST
sopraslivellamento di ST
Un blocco di branca sinistra preesistente (BBS) potrebbe mascherare le modificazioni dell’ECG
– dosaggio delle troponine cardiache I e T
– dosaggio della creatinfosfochinasi CPK-MB
– dosaggio della mioglobina e emocromo
– profilo coagulativo
– RX torace
– Ecocardiografia Doppler e bidimensionale
– Holter 24 ore
– ECG sotto sforzo
– coronarografia (o angiografia coronarica)
– misura della pressione arteriosa
Laboratorio
– mioglobina
– troponina T e I
– CPK
– CK-MB
– LDH
Questi marcatori riflettono la presenza di necrosi miocardica senza però indicarne il meccanismo responsabile,perciò l’ assenza di evidenza clinica di ischemia cardiaca deve portare a ricercare altre cause come:
– miocardite
– embolia polmonare
– scompenso cardiaco
– dissecazione aortica
– insufficienza renale
– contusione miocardica o altro trauma cardiaco;
– cardiomiopatia ipertrofica;
– aritmie cardiache;
– sindrome tako-tsubo;
– rabdomiolisi con interessamento cardiaco;
– ictus ed Emorragia subaracnoidea;
– malattie infiltrative come l’Amiloidosi, l’emocromatosi, la sarcoidosi e la sclerodermia;
– endocardite, pericardite con coinvolgimento del miocardico;
– tossicità da farmaci o tossine;
– insufficienza respiratoria o sepsi;
– ustioni interessanti oltre il 30% della superficie corporea;
– attività fisica con sforzo estremo.
Diagnosi differenziale
– esofagite
– coliche biliari
– dolori di origine reumatica
– indigestione (raramente)
– Pleurite, il dolore è trafittivo e in genere modificato dal respiro e dalla posizione.
– Pericardite, è forse il dolore più simile a quello dell’infarto, ma è continuo, accompagnato spesso da sfregamenti, si riduce in posizione seduta e mostra un’alterazione all’ECG, spesso caratterizzata da un sopraslivellamento di ST-T diffuso. Gli enzimi sono negativi, tranne nei casi in cui non vi sia un coinvolgimento del miocardio.
– Costocondrite, le articolazioni sternali risultano dolenti spontaneamente e alla palpazione.
– Esofagite da reflusso, dolore retrosternale, in genere più localizzato in epigastrio, che risponde agli antiacidi e mostrano un ECG e un ecocardiogramma nella norma.
– Ulcera gastrica, il dolore è epigastrico, ma si allevia con gli antiacidici e gli inibitori di pompa protonica.
– Pneumotorace, il dolore è acuto, improvviso, localizzato a un emitorace e accompagnato da dispnea improvvisa, la radiografia del torace è dirimente.
– Embolia polmonare, rappresenta una diagnosi differenziale difficile infatti il dolore può essere intenso, retrosternale accompagnato da una dispnea, spesso improvvisa, senza sintomi di congestione polmonare, tipici invece dell’infarto scompensato. L’ecocardiogramma e maggiormente una angio-TAC (tomografia assiale computerizzata) con mezzo di contrasto sono gli esami guida in questi casi.
– Aneurisma dell’aorta toracica dissecante, è forse l’evento più drammatico che un individuo possa sperimentare e nel contempo una diagnosi differenziale più difficile e ingannevole per il medico che debba porre diagnosi. Il sospetto va posto in presenza di un dolore improvviso, profondo e irradiato in diverse sedi (torace, scapola, mandibola, arti superiori); la presenza di un soffio diastolico aortico facilita di molto la diagnosi, ma è di difficile auscultazione; l’ecotransesofageo è diagnostico, dove non sia possibile l’esame principe la risonanza magnetica nucleare.
– Colecistite acuta e pancreatite acuta, presentano sintomi simili all’infarto diaframmatico, ma la negatività dell’ECG, degli enzimi miocardiospecifici e la positività di una TAC e/o eco-addome dileguano i dubbi.
–Herpes zoster, non rappresenta un problema dopo l’eruzione vescicolo-bollosa, ma in taluni casi, specie nei pazienti anziani, può porre dei dubbi a seconda del metamero colpito.
Classificazione
La classificazione clinico-prognostica dell’angina è principalmente di due tipi:
– angina pectoris stabile, è una condizione clinica caratterizzata dall’insorgenza dei sintomi sotto sforzo e sempre agli stessi livelli di affaticamento: questo è il motivo per cui è stata definita angina stabile da sforzo.
– angina pectoris instabile, è una condizione clinica caratterizzata dall’insorgenza dei sintomi a riposo e pertanto non prevedibile: questo è il motivo per cui è stata definita angina instabile.
Viene rinominata anche come “sindrome pre-infartuale”, poiché il primo episodio potrebbe essere abbastanza prolungato da portare all’infarto del miocardio.
La classificazione fisiopatologica distingue le angine in:
– angina primaria dovuta a riduzione di apporto di ossigeno
– angina secondaria dovuta ad aumentato fabbisogno metabolico
Tre forme particolari di angor vengono di seguito riportate:
– l‘angina variante o angina di Prinzmetal, nella quale c’è all’elettrocardiogramma un sopraslivellamento del tratto ST reversibile, dovuto ad uno spasmo coronarico, in genere, se il sintomo è breve, non si rilevano le alterazioni enzimatiche caratteristiche della necrosi miocardica. In questa situazione il rischio di infarto può essere più alto. Questo è il tipico esempio di angina primaria.
– la Sindrome X cardiaca
– la Sindrome tako-tsubo, spesso rilevata in situazioni di stress eccessivo con aumento nel sangue di catecolamine. È prevalente nel sesso femminile.
1) Infarto miocardico acuto
con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI = ST elevation myocardial infarction),nelle vecchie classificazioni veniva definito infarto subepicardico.
Marker biochimici molto elevati
Talora ona Q
2) Infarto miocardico acuto con aumento delle troponine I e T ma senza sopraslivellamento di ST
(NSTEMI = Non-ST elevation myocardial infarction),nelle vecchie classificazioni veniva definito infarto subendocardico.
Marker aumentati
Sottoslivellamento di ST
3) Angina pectoris, senza aumento delle troponine I e T
Marker normali o leggermente aumentati
Circa il 50% dei pazienti colpiti da infarto muore prima di arrivare in ospedale: la percentuale si riduce al 10-15% nell’insieme dei pazienti che giungono in un reparto di emergenza.
INFARTO
– Stadio della necrosi: dura all’incirca 48h, le più pericolose poiché possono comparire problemi del ritmo legati alla riperfusione del vaso occluso; per contro, una fibrillazione ventricolare intercorrente da 1 a 4 settimane dopo l’infarto peggiora la prognosi. L’insufficienza cardiaca può essere presente fin in 1/3 dei pazienti.
– Stadio della cicatrizzazione (30-50 giorni): potrebbero definirsi degli aneurismi ventricolari nel 20% con tromboembolia, pericardite, sindrome di Dressler da 1 a 6 settimane dopo l’infarto.
– Stadio della riabilitazione: mobilizzazione precoce, educazione igienico-dietetica, controllo dell’ansia.
– Stadio della prevenzione delle recidive infartuali: abolizione del fumo, ottimizzazione della terapia diabetica e miglioramento del profilo lipidico, controllo della pressione arteriosa. L’introduzione della dieta mediterranea controlla e diminuisce la mortalità del 40-50% secondo quanto rilevato da numerosi studi.
Se valutiamo l’infarto in base alla localizzazione e alle dimensioni potremmo definirlo in:
– microscopiche, come nella necrosi focale;
– piccole, se è interessato meno del 10% della massa ventricolare sinistra;
– medie, se la massa ventricolare sale dal 10 al 30%;
– grandi, se l’interessamento supera il 30%.
Profilo temporale
– infarto in evoluzione: < alle 6 ore
– infarto acuto: dalle 6 ore ai 7 giorni
– in via di cicatrizzazione: dai 7 ai 28 giorni
– infarto stabilizzato: dai 29 giorni in poi
Vengono riconosciute alcune ulteriori categorie di infarto.
– Tipo 1: infarto miocardico spontaneo correlato a un evento coronarico primario, come nel caso di erosione e/o rottura, fissurazione o dissezione della placca con conseguente trombosi endoluminale.
– Tipo 2: infarto miocardico secondario a uno squilibrio tra richiesta e offerta di ossigeno, come nel caso di spasmo coronarico, embolizzazione coronarica, anemia, aritmie, insufficienza respiratoria, ipertensione arteriosa o ipotensione marcata.
– Tipo 3: morte cardiaca improvvisa e inattesa, con arresto cardiaco, spesso accompagnata da sintomi suggestivi di ischemia miocardica, associata a nuovo sopraslivellamento del tratto ST, o riscontro di blocco di branca sinistra non noto o riscontro angiografico e/o autoptico di recente trombosi coronarica. In ogni caso, morte verificatasi prima di qualsiasi riscontro laboratoristico documentabile con il prelievo di sangue basale.
– Tipo 4a: infarto miocardico correlato a intervento coronarico percutaneo (angioplastica coronarica con posizionamento di stent).
– Tipo 4b: infarto miocardico associato a riscontro angiografico o autoptico di trombosi dello stent.
– Tipo 5: infarto miocardico correlato a intervento di bypass aorto-coronarico.
Prognosi
All’ischemia, se non viene trattata e i valori di afflusso non tornano nella norma, consegue la morte.
L’angina di Prinzmetal generalmente risponde al trattamento con calcio antagonisti.
L’associazione fra acido urico e mortalità è risultata significativa,con un aumento del 12% del rischio di mortalità ad 1 anno per ogni mg/dl di aumento dei livelli di acido urico.
– La medicina riabilitativa è strettamente raccomandata per i pazienti postinfartuati
Terapia
Il trattamento consiste nella riapertura dei vasi stenotici attraverso angioplastica coronarica e/o stent coronarico. La riperfusione è seguita dalla somministrazione di TNF ricombinante che combatte l’aumento di anioni superossido causato dal TNF-β. La terapia medica si avvale del principio MANO:
– morfina cloridrato per il controllo del dolore in caso di infarto;
– acido acetilsalicilico ,300-500 mg per ridurre il rischio di formazione di trombi;
– nitroglicerina come antianginoso, sublinguale in caso di attacco acuto, transdermica per il trattamento prolungato;
– ossigenoterapia in maschera o sonda nasale a 4l/min al fine di mantenere la SpO2 > 90%, ripristina l’ossigenazione del tessuto ischemico nei casi in cui l’ipossia giochi un ruolo fondamentale nella patogenesi.
Inoltre:
– immediato riposo in modo da abbassare il fabbisogno di ossigeno del cuore
– betabloccanti
– calcioantagonisti sono usati per un trattamento continuativo
– statine per correggere il colesterolo
– ranolazina
– ivabradina
– rivascolarizzazione: bypass aorto-coronarici, stent. All’impianto di stent va associata una terapia di doppia antiaggregazione onde evitare trombosi o restenosi dello stent.
– Stent coronarico a rilascio di farmaco
Il trattamento chirurgico non è utile nell’angina di Prinzmetal ,a meno che non si rivelino ostruzioni fisse durante l’angiografia.
– anticoagulanti, warfarin, streptochinasi, urochinasi intracoronarica
– eparina UHF endovena o meglio eparine a basso peso molecolare
– inibitori della glicoproteina IIb-IIIa
– betabloccanti , aceinibitori, calcioantagonisti (per l’ipertensione)
– diuretici (insufficienza cardiaca)
Un discorso a parte per la doppia antiaggregazione necessaria nei pazienti trattati con l’impianto di stent coronarico metallico (Bar Metal Stent) o di stent coronarico a rilascio di farmaco (Drug eluting stent): i farmaci che si associano all’aspirina sono il clopidogrel (Plavix), il ticagrelor (Brilique) e il prasugrel (Efient) per un tempo non inferiore ai dodici mesi.
Successivamente si passerà alla mono-somministrazione del solo acido acetilsalicilico, tranne nei casi in cui si riscontri intolleranza e il farmaco in tal caso sarà sostituito dalla ticlopidina.
Cardiologia interventistica
– catetere a palloncino
– angioplastica coronarica con o senza l’impiego di stent
– complicanza: occlusione precoce dello stent da trombosi dello stesso
– tromboaspirazione: è la tecnica che permette di aspirare il trombo
– posizionamento di pacemaker e defibrillatore cardiaco impiantabile in corso di blocchi atrioventricolari avanzati e nei casi di tachicardie ventricolari
– bypass
Riabilitazione
– test da sforzo al cicloergometro o al treadmill 2-3 settimane dopo l’evento acuto
– test ergospirometrico con valutazione della soglia anaerobica e del picco di VO2 (termine noto anche come massimo consumo di ossigeno)
– programmi di endurance traning o di interval training (simili allo Steady State Training, traducibile in Allenamento in stato costante o Allenamento continuo).
CUORE POLMONARE
Il cuore polmonare è un ingrandimento del ventricolo destro, causato da una qualche malattia polmonare, che porta ad una risposta cardiaca errata. Raramente si è dimostrato anche l’interessamento del lato sinistro del cuore.
Criteri per la definizione
L’ingrandimento per essere patologico deve essere almeno pari a 5 millimetri (della parete ventricolare), ma può essere anche il caso che esso si riscontri durante un’autopsia. In questo caso il peso del ventricolo destro deve superare i 65 grammi.
Tipologia
Ha due forme: una acuta e una cronica. La forma cronica è una della cardiopatie più diffuse fra gli anziani.
Sintomatologia
I sintomi e i segni clinici presentano tosse, lipotimia, dispnea, angina pectoris, emottisi, aritmie quali tachicardia, tachipnea, cianosi, edemi periferici associati all‘ipercapnia,ascite, ipotensione.
Eziologia
Le cause sono riferibili a malattie polmonari, fra cui enfisema, embolia polmonare e ipertensione polmonare.
Fattori di rischio
Fra i fattori di rischio è presente il fumo di sigaretta, anche se è stata registrata un’epidemia della forma cronica nelle donne probabilmente a causa dell’esposizione al fumo di camini a legna.
Esami
– Esami del sangue
– Elettrocardiogramma, da cui si evincono diverse tipologie di tachicardia (tachicardia sinusale, tachicardia atriale multifocale, tachicardia giunzionale) e blocchi cardiaci
– Ecocardiografia
– Radiografia del torace
– Cateterismo cardiaco, che fornisce elementi dettagliati diagnostici e quantificativi (dell’entità del cuore polmonare, ovvero dell’ingrandimento cardiaco)
Terapia
Ossigenazione, come trattamento farmacologico si somministrano diuretici, corticosteroidi e vasodilatatori. Il trattamento chirurgico deve essere apportato se si evidenziano delle complicanze quali l’apnea notturna o in casi specifici quali la tromboembolia polmonare. L’intervento risolutivo rimane il trapianto del polmone anche in combinazione con il cuore quando esso sia possibile.
Prognosi
Si può evolvere in un’insufficienza cardiaca congestizia. La mortalità varia a seconda della malattia scatenante (ad esempio nella BPCO è all’incirca del 30%).
CARDIOMIOPATIA DILATATIVA
La cardiomiopatia dilatativa (detta anche miocardiopatia dilatativa e in passato miocardiopatia congestizia) è una condizione patologica del cuore che si manifesta con la dilatazione ventricolare e la disfunzione sistolica.
Eziologia
– coronaropatia diffusa con danno ischemico del miocardio
– deficit alimentari
beriberi
kwashiorkor
– malattie endocrine
diabete mellito
malattie della tiroide
feocromocitoma
– agenti infettivi
batteri
rickettsie
virus
protozoi
elminti
miocardiopatia di Chagas
– farmaci
chemioterapia
– sostanze tossiche
etanolo
cocaina
– cardiomiopatia dilatativa idiopatica (se non vi è causa nota) geneticamente determinata,i geni coinvolti corrispondono a proteine del citoscheletro e non del sarcomero.
Da recenti studi è emerso che i soggetti che presentano un numero estremamente frequente di extrasistole (molte migliaia al giorno) possono sviluppare una forma di cardiomiopatia dilatativa. In questi casi, riducendo o annullando il numero delle extrasistole (ad esempio tramite ablazione radioelettrica) si assiste, nella quasi totalità dei casi, a una progressiva regressione della cardiomiopatia.
Sintomi
Nella cardiomiopatia dilatativa la funzione di pompa del ventricolo sinistro e/o del ventricolo destro è compromessa portando ad una progressiva dilatazione.
– dolore toracico aspecifico,è spesso l’unico sintomo
– sincope (talvolta) conseguente ad aritmie ed embolia periferica o polmonare
– la condizione di rischio è a partire da una frazione di eiezione del 35% o inferiore
Esami
Esistono vari esami, tutti utili per comprendere meglio sia il danno, sia eventuali altri danni collaterali.
– Radiografia del torace, attraverso la quale si osservano gli eventuali versamenti pleurici, le strie di Kerley B, e un aumento dell’ombra cardiaca, solitamente indicata come un aumentato rapporto cardio-toracico.
– Elettrocardiogramma, dove si possono riscontrare delle alterazioni del tratto ST e dell‘onda T, e le varie aritmie susseguenti alla dilatazione (la più comune risulta la fibrillazione atriale)
– Ecocardiografia, con tale esame si comprende meglio la gravità della dilatazione e la relativa ipocinesia segmentaria del ventricolo sinistro.
– Cateterismo cardiaco, che risulta utile per la valutazione delle pressioni telesistolica e telediastolica, nonché la pressione atriale sinistra.
Terapia
Il trattamento è mirato all’insufficienza cardiaca.
– diuretici
– inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina
– sartani
– bloccanti dei recettori betaadrenergici
Valvulopatia aortica/mitralica
Nei casi di cardiopatia dilatativa da valvulopatia aortica / mitralica, eseguendo la sostituzione valvolare prima della irreversibilità della cardiopatia, si assiste spesso ad una riduzione dei diametri e dei volumi del cuore, ed a un aumento della frazione di eiezione.
Trapianto cardiaco
Il trapianto cardiaco si impone nei casi più gravi per salvare la vita alla persona. Un device intracardiaco per la terapia di risincronizzazione dell’attività elettrica del cuore (ICD – CRT) può essere impiantato per risolvere l’aritmia secondaria alla cardiomiopatia e/o per accompagnare il paziente durante l’attesa del trapianto cardiaco.
Defibrillatore cardiaco impiantabile
Il defibrillatore cardiaco impiantabile (in inglese implantable cardioverter-defibrillator o ICD) è un dispositivo elettrico utilizzato nei pazienti a rischio di morte cardiaca improvvisa. Esso viene impiantato chirurgicamente sottocute nella regione pettorale, preferibilmente a sinistra, posizionando gli elettrodi negli atri e nei ventricoli per via transvenosa.
Funzionamento
L’uso si fonda sulla generazione di piccoli impulsi elettrici in grado non solo di eseguire una defibrillazione efficace nel 95% dei casi, ma anche di fornire una stimolazione cardiaca bicamerale fisiologica e di monitorare a distanza l’attività ritmica del cuore discriminando tra aritmie sopraventricolari e aritmie ventricolari.
Indicazioni
Lo scopo dell’impianto di un ICD è quello di prevenire la morte aritmica per tachicardia ventricolare o per fibrillazione ventricolare.
I pazienti candidati all’impianto di un ICD possono essere distinti in tre categorie :
– pazienti affetti da cardiopatia ischemica, con bassa frazione di eiezione e presenza di scompenso cardiaco, che presentano alto rischio di tachiaritmie ventricolari (prevenzione primaria);
– pazienti sopravvissuti a un primo arresto cardiaco dovuto a tachicardia ventricolare o a fibrillazione ventricolare in assenza di ischemia cardiaca (prevenzione secondaria);
– pazienti che presentano condizioni cliniche rare ma ad alto rischio di morte cardiaca improvvisa, quali la sindrome del QT lungo, la sindrome di Brugada, la displasia aritmogena del ventricolo destro, miocardiopatia ipertrofica.
Per quanto riguarda la presenza di tachicardia ventricolare idiopatica, si deve procedere all’ablazione transcatetere prima di impiantare il defibrillatore.
Struttura
L’ICD è formato da:
– Circuito elettronico, che ha una diversa struttura interna rispetto ai normali pacemaker
– Batteria
– Memoria
– Microprocessore che ha il compito di coordinare tutto l’insieme
Tipologia
Esistono vari tipi di defibrillatore impiantabili, le forme bicamerali sono utilizzate maggiormente negli USA, studi si discostano da tale scelta raccomandando la forma monocamerale se non vi sono bradiaritmie.
ICD sottocutaneo
L’ICD sottocutaneo (o S-ICD) è un defibrillatore impiantabile per via sottocutanea (sottopelle). A differenza di un ICD transvenoso, in cui gli elettrocateteri sono inseriti all’interno del cuore attraverso una vena e adesi alla parete cardiaca, l’elettrocatetere dell’ICD Sottocutaneo viene posizionato sottopelle, lasciando intatti il cuore e le vene eliminando di fatto alcune complicanze (es. infezioni sistemiche, perforazioni cardiache). Tuttavia il dispositivo risulta è più largo rispetto ad un defibrillatore transvenoso. Ciò può significare che ci voglia più tempo per abituarsi alla sua presenza, anche se è soggettivo perché dipende dall’anatomia della persona. L’S-ICD può essere più visibile a petto nudo. Inoltre è maggiormente esposto agli urti.
Il generatore d’impulsi e l’elettrodo del sistema S-ICD vengono impiantati sottopelle a livello sottocutaneo: il generatore d’impulsi sul lato sinistro del corpo esterno alla gabbia toracica, l’elettrodo in posizione parallela allo sterno. Mediante punti di riferimento anatomici, l’elettrodo S-ICD viene infilato sottopelle. Il sistema S-ICD protegge il cuore da aritmie maligne senza la necessità di impiantare degli elettrocateteri all’interno del cuore. L’S-ICD lascia intatti il cuore e gli accessi venosi.
Complicanze
Le complicanze acute, dovute alla procedura di impianto, sono:
– dislocazione degli elettrodi
– formazione di ematomi
– emorragie
– infezioni
– pneumotorace
Le complicanze tardive derivano in genere dall’erogazione di scariche inappropriate da parte del dispositivo. Questo può verificarsi quando gli elettrodi sono malfunzionanti, quando vi sono interferenze elettromagnetiche o quando il circuito non riesce a distinguere correttamente tra aritmie sopraventricolari (quali la fibrillazione atriale) e ventricolari. L’erogazione di scariche multiple (che se non hanno una carica sufficiente vengono ripetute continuamente senza alcun esito) può costituire un problema all’organismo, determinando non solo uno stato di ansia nel paziente, ma anche un vero e proprio danno fisico al miocardio con peggioramento della funzione ventricolare.
In caso di intervento chirurgico, occorre disattivare l’ICD e riprogrammarlo solo a intervento terminato.
Follow up
Se non si registrano danni o anomalie, i dispositivi durano dai 5 ai 9 anni. Il paziente deve essere sottoposto a controlli periodici almeno ogni 6 mesi nei primi anni, per monitorarne le condizioni cliniche ma anche per raccogliere informazioni attraverso il dispositivo stesso.
RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE
TUMORI DEL CUORE
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